Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22552 del 27/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 27/09/2017, (ud. 19/07/2017, dep.27/09/2017),  n. 22552

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. CORBO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25998-2011 proposto da:

F.J., elettivamente domiciliata in ROMA VIA DELLA

SCROFA 14, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO DIDDI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, AGENZIA DELLE ENTRATE DI BELLUNO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 10/2011 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 07/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/07/2017 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

p. 1. F.J. propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 10/26/11 del 7 marzo 2011 con la quale la commissione tributaria regionale del Veneto, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’atto di contestazione ed irrogazione di sanzioni notificatole dall’agenzia delle entrate per omessa compilazione, nella dichiarazione dei redditi 2004/2005, del quadro RW relativamente a somme di denaro da lei asseritamente destinate all’estero attraverso la General Dinamics S.A., società finanziaria operante in (OMISSIS); così come risultante dall’indagine di polizia giudiziaria diretta dalla Procura della Repubblica di Belluno.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: l’obbligo di dichiarazione derivasse, nella specie, dal fatto che, sulla base degli accordi intercorsi tra le parti, le somme dovessero confluire su conti svizzeri della società mandataria; – visto questo vincolo di destinazione all’estero, irrilevante fosse lo storno truffaldino del 90% dei capitali conferiti, del quale la F. era rimasta vittima; – non sussistessero i presupposti di non sanzionabilità per incertezza normativa, ovvero per l’intervenuto contegno delittuoso di terzi.

Nessuna attività difensiva è stata posta in essere, in questa sede, dalli agenzia delle entrate.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso la F. lamenta “violazione di legge, errata applicazione di norme di diritto, contraddittorietà della motivazione. Error in procedendo per omessa considerazione di documenti decisivi. Omessa pronuncia”.

Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente affermato la violazione dell’obbligo dichiarativo di cui al D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 4, in presenza di una mera “intenzione” di investimenti all’estero; in realtà mai effettuati, come risultante dalla stessa indagine penale. In particolare, la sottoscrizione – presso la General Dinamic srl di (OMISSIS) – di un contratto di mandato di consulenza e gestione con la General Dinamic S.A. di Lugano non comprovava l’effettiva realizzazione di impieghi finanziari da parte di quest’ultima all’estero; evenienza smentita dal fatto che gli asseriti investitori non avevano avuto alcun rapporto diretto con la società svizzera, e che le somme conferite erano state tutte distratte ed appropriate.

p. 2.2 Il motivo è infondato sotto tutti i profili nei quali si articola.

La commissione tributaria regionale – con valutazione fattuale congruamente motivata, e dunque qui non sindacabile – ha appurato che le somme di denaro erano state dalla F. rimesse alla società svizzera, tramite l’intermediario italiano, per impieghi all’estero. Ciò risultava – sul piano contrattuale – dall’avvenuta stipulazione del mandato di gestione con la destinazione dei fondi in Svizzera; e – sul piano operativo – dall’effettiva apertura, a tal fine, di un conto corrente presso la società elvetica General Dinamic SA..

Ferma restando l’avvenuta distrazione della massima parte delle somme, è incontroverso che quantomeno il 10% di quanto conferito confluì su tale conto.

In definitiva, la circostanza che gli importi in questione siano stati, in massima parte, successivamente sottratti ed indebitamente appropriati, non ne escludeva l’effettiva messa a disposizione, da parte del contribuente, della società operante in Svizzera.

Ciò appare sufficiente ad integrare la nozione di detenzione di cui al D.L. n. 167 del 1990, art. 4, convertito in L. n. 227 del 1990, art. 4; vista la finalità sostanziale del c.d. “monitoraggio fiscale” instaurato a seguito della liberalizzazione valutaria.

Sull’ampiezza ed onnicomprensività di tale nozione normativa, si richiama quanto affermato da Cass. 26848/14 la quale, nel recepire i precedenti di cui in Cass. nn. 17051/10, 9320/03 e 10332/07, ha ritenuto integrata la detenzione,ex art. 4 cit. – “avuto riguardo alla ratio legis del c.d. monitoraggio fiscale” ed all’esigenza di rendere quanto più efficace il controllo delle operazioni finanziarie da e verso l’estero – anche in tutte le ipotesi in cui il soggetto, quand’anche non beneficiario effettivo del trasferimento, abbia comunque “la disponibilità e/o la possibilità di movimentazione di detti investimenti e/o attività”.

E tale situazione – nella valutazione che ne ha reso il giudice di merito era qui positivamente riscontrabile in capo alla società finanziaria, alla quale le somme dovevano essere rimesse in esecuzione di vincolo contrattuale di investimento e gestione oltreconfine.

Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, pertanto, non può dirsi che la sanzione, nella specie, abbia colpito una mera “intenzione” di investimenti esteri poi non realizzatisi; rilevando invece, secondo l’intendimento e lo scopo pratico perseguito dal legislatore, il dato oggettivo ed attuale della detenzione di somme affidate alla società svizzera.

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso la F. deduce “omessa motivazione, violazione di norme di diritto. Error in procedendo per omessa considerazione di documenti decisivi. Omessa pronuncia”.

Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente affermato la violazione dell’obbligo dichiarativo in questione, nonostante che il D.L. n. 167 del 1990 cit., art. 4, comma 1, imponesse l’obbligo dichiarativo soltanto per gli investimenti esteri ovvero le attività estere di natura finanziaria, attraverso cui potevano essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia; là dove, nella specie, gli asseriti impieghi esteri avrebbero dato origine a redditi assoggettati all’imposta sostitutiva del 12,50% da parte dell’intermediario, con conseguente non imponibilità in Italia.

Inoltre, la violazione contestata andava esclusa in base all’art. 4 citato, comma 4, essendo emerso dall’indagine penale l’intermediazione della General Dinamic Consulting srl, con sede legale in Bergamo; la quale faceva firmare mandati a favore della General Dinamic di Lugano ed impiegava i denari per finalità distrattive.

p. 3.2 Nemmeno questo motivo può trovare accoglimento.

Con esso si vorrebbe accreditare una versione fattuale contrapposta a quella recepita dal giudice di merito (tanto di primo quanto di secondo grado).

Dalla cui ricostruzione si evince che i contratti e le somme venivano sì procurati e raccolti dall’intermediario residente (la GD Consulting srl), ma sempre a nome e per conto della società svizzera (gestore fiduciario non residente). Non risulta dunque nè che la srl operasse ritenute o imposte sostitutive di sorta, nè che all’attribuzione delle somme alla consociata svizzera si associasse qualsivoglia forma di tassazione delle stesse a favore del fisco italiano; così da asseritamente superare la funzione pratica del monitoraggio ex art. 4 cit..

Funzione, del resto, che non è direttamente impositiva del patrimonio o della fonte reddituale, bensì di mera verifica e conoscenza degli “investimenti” e delle “attivita” finanziarie” movimentate sull’estero.

In tal senso si esprimeva anche l’art. 4 cit., comma 2, (vigente all’epoca dei fatti, ancorchè poi abrogato dalla 1.97/13), secondo cui, ai fini dell’obbligo dichiarativo, rilevavano – in quanto tali – i “trasferimenti da, verso e sull’estero che nel corso dell’anno hanno interessato gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria”; ciò quand’anche “al termine del periodo di imposta i soggetti non detengano investimenti e attività finanziarie della specie”.

p. 4.1 Con il terzo motivo di ricorso la F. lamenta “violazione di norme di diritto. Error in procedendo per mancata considerazione del documento n. 3 del 2^ grado e dello stesso PVC a base dell’accertamento. Omessa pronuncia”. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che l’applicazione della sanzione era qui preclusa dalle obiettive condizioni di incertezza della fattispecie e, comunque, dal fatto che la omessa dichiarazione, in assenza di redditi imponibili, si risolveva in una contravvenzione di natura meramente formale.

La F. ha inoltre richiesto, in subordine al mancato accoglimento dei su riportati motivi di ricorso, che la sanzione inflitta venga comunque applicata con cumulo giuridico (sanzione base aumentata dalla metà fino al triplo, D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 12, comma 5).

p. 4.2 Si tratta di motivo inammissibile.

Esso si risolve nella pedissequa materiale dedizione dell’atto di appello; senza la formulazione critica di una vera censura a quanto osservato dal giudice di secondo grado, sui seguenti fondamentali aspetti decisori: l’insussistenza, nella fattispecie, di alcuna incertezza normativa legittimante l’esenzione sanzionatoria, stante la chiarezza ed univocità del disposto di cui all’art. 4 cit.; – la natura non formale ma sostanziale dell’obbligo dichiarativo, perchè ricollegato, attraverso la raccolta ed il monitoraggio dei dati relativi ai movimenti di capitali, alla ricostruzione della base e formazione reddituale; – l’insussistenza della causa di non punibilità di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3, non vertendosi nella specie di “mancato pagamento” del tributo per fatto denunciato all’autorità giudiziaria ed addebitabile esclusivamente a terzi (là dove in nessun modo l’appropriazione indebita delle somme da parte di terzi avrebbe potuto esonerare dall’obbligo dichiarativo); – l’insussistenza altresì dell’ipotesi di “autore mediato”, non trattandosi, nella specie, di applicare la normativa di tutela del contribuente a fronte di atti illeciti commessi da professionisti infedeli.

Ciò va detto anche con riguardo all’istanza di applicazione del cumulo giuridico la quale – per quanto effettivamente riproponibile in sede di legittimità ove già proposta nel giudizio di merito: Cass. 26457/14 necessita purtuttavia anch’essa di una formulazione corretta; cioè specificamente incentrata su una completa ed esauriente ricostruzione della vicenda applicativa della sanzione e dei fatti di causa ad essa relativi, tale da porre questa corte in condizione di compiere la dovuta valutazione con i caratteri di immediatezza, concentrazione ed attinenza al decisum impugnato che connotano il vaglio di legittimità.

Nella specie, la ricorrente si limita a “girare” a questa corte (ric. pag. 17) la stessa istanza di cumulo giuridico già presentata alla commissione tributaria regionale; senza, tuttavia, fornire elementi di sorta in ordine: alla entità della sanzione concretamente inflittale ed ai criteri della sua quantificazione, così come seguiti dall’ufficio impositore; – alla effettiva disapplicazione del cumulo giuridico (affermata, ma non dimostrata) da parte di quest’ultimo (che, pure, risulta aver emesso un unico atto di contestazione); – alla indicazione di tutti gli elementi fattuali che potrebbero concretamente legittimare l’applicazione del regime di cui all’art. 12, comma 5; – alla circostanza che, proprio per l’insussistenza in concreto dei presupposti di legge, la mancata pronuncia, sul punto, della commissione tributaria regionale possa, in ipotesi, assumere la valenza di un rigetto implicito (per il che sarebbe stata necessaria una specifica ed autosufficiente censura di legittimità; non bastando, per le già svolte considerazioni, la mera riproposizione della richiesta).

Non si provvede sulle spese, vista la mancata partecipazione al giudizio dell’agenzia delle entrate.

PQM

 

La Corte:

– rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile, 19 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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