Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22552 del 10/08/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/08/2021, (ud. 05/05/2021, dep. 10/08/2021), n.22552

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32951-2018 proposto da:

T.N., elettivamente domiciliata in ROMA, Piazza Cavour

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa dall’avvocato VINCENZO TOSCANO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2267/2018 della COMM. TRIB. REG. LAZIO,

depositata il 10/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

05/05/2021 dal Consigliere Dott. BALSAMO MILENA.

 

Fatto

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA

1. T.N. ricorre, sulla base di tre motivi, illustrati nelle memorie difensive depositate in prossimità dell’udienza, per la cassazione della sentenza n. 2267/2018, depositata il 10.04.2018, con la quale la CTR del Lazio, nel riformare la sentenza di prime cure che aveva accolto il ricorso della contribuente, accoglieva il gravame dell’Agenzia delle Entrate, sul presupposto della legittimità della stima disposta dall’amministrazione finanziaria sulla base delle quotazioni Orni e sui dati evincibili da altre banche dati (Bir, Fiaip, Borsino.net); provvedendo a rideterminare il valore di mercato del fabbricato individuato dall’Agenzia, in considerazione del fatto che la CTP del Lazio – nell’ambito del giudizio introdotto dai coobbligati in solido – aveva rideterminato il valore al mq dell’immobile oggetto dell’atto impositivo.

L’amministrazione finanziaria replica con controricorso.

Diritto

ESPOSIZIONE DEI MOTIVI DI DIRITTO

2. La prima censura prospetta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 113,115,116,324 e 342 c.p.c.ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere i giudici regionali, sotto il primo profilo, erroneamente applicato il principio di diritto secondo il quale la non contestazione dei fatti vale quale relevatio ab onere probandi per il deducente, con la conseguenza che il fatto non contestato deve essere ritenuto provato dal giudice.

Al riguardo si assume che l’amministrazione finanziaria aveva omesso di contestare la perizia prodotta in giudizio, svolgendo le prime difese in merito soltanto nel grado di appello e, dunque intempestivamente; che inoltre, i primi giudici avevano statuito sulla base delle valutazioni contenute nella perizia di parte, evidenziando che le difese tecniche non erano state contestate dall’ufficio, con la conseguenza che gli elementi forniti dalla parte ricorrente assurgevano al rango di elementi di prova.

Si afferma, altresì, che detto capo della sentenza non era stato impugnato in appello, avendo l’appellante proposto mere contestazioni alla perizia di parte, ritenute comunque tardivamente formulate solo in sede di gravame, il che avrebbe determinato il passaggio in giudicato sulla questione relativa alla non contestazione delle difese tecniche.

3. Con il secondo motivo, denunciano la violazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonché la nullità della sentenza per error in procedendo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), si lamenta che i giudici regionali non avrebbero dichiarato l’inammissibilità della domanda nuova proposta dall’Agenzia, con la quale in sede di appello aveva ridotto il valore stimato dell’immobile da Euro 996.000,000 ad Euro 896.400,00, alla luce della sentenza della CTP emessa nei confronti dei coobbligati in solidi ed allegata solo nel giudizio di impugnazione. Lamentando il difetto motivazionale della sentenza d’appello nella parte in cui nulla ha illustrato con riferimento alla nuova documentazione.

4. Con l’ultimo mezzo, si censura la sentenza impugnata per nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4), per manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), nonché violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52 e degli artt. 112 e 113 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3); per avere i giudici regionali omesso di motivare in ordine agli elementi dai quali hanno inferito la congruità del valore di Euro 896.400,00 attribuito all’immobile; omettendo di argomentare sulle deduzioni di natura tecnica trascritte nelle controdeduzioni prodotte in sede di gravame e sulle quali si fondava la decisione di primo grado.

In aggiunta, si censura la decisione impugnata per aver operato il riferimento ai valori OMI, ai criteri desunti da Borsini.net ed altre quotazioni, le quali non possono costituire fonte tipica di prova, ma solo strumento di ausilio ed indirizzo per l’esercizio della potestà di valutazione estimativa.

5. La prima censura è destituita di fondamento.

In tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, determinano l’inammissibilità dell’appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni; ciò in quanto l’articolo cit. deve essere interpretato restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi pertanto consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cass. n. 15519/2019; n. 30341/ 2019; n. 707 del 2019; n. 20379 del 2017). Ne consegue che la difesa svolta in appello dall’ente finanziario, con riferimento alla perizia di parte” contiene una contestazione della sentenza di primo grado, con esclusione della sussistenza di un giudicato interno.

6.1.Del pari infondato è la censura relativa alla intempestività delle difese dell’amministrazione finanziaria concernenti gli elementi valutativi di cui alla perizia tecnica di parte.

Si osserva, a tal proposito, che nel giudizio tributario – strutturato come giudizio d’impugnazione di un provvedimento contenente la pretesa dell’amministrazione finanziaria, nel quale l’ufficio assume la veste di attore in senso sostanziale ed il dibattilo processuale è delimitato, da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo e, dall’altro, dalle questioni dedotte dal contribuente nel ricorso introduttivo (Cass. nn. 10779/2007, 15849/2006, 9754/2003) – il divieto di proporre in appello nuove eccezioni (non rilevabili d’ufficio), posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, riguarda le eccezioni in senso tecnico, ossia gli strumenti processuali con cui il contribuente, convenuto in senso sostanziale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale. Tale non può considerarsi l’argomentazione difensiva tendente ad inficiare la sentenza sotto un profilo logico ulteriore rispetto a quello esposto in primo grado, perché le difese, le argomentazioni e le prospettazioni con cui Amministrazione si difende dalle contestazioni già dedotte in giudizio non costituiscono, a loro volta, eccezioni in senso tecnico (Cass. n. 2413/2021; n. 23862/2020;n. 31626/2018; n. 31224/2017).

7. Destituito di fondamento è altresì il secondo mezzo.

In materia tributaria, non costituisce domanda nuova, ed e’, pertanto, proponibile in sede di gravame, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, la mera variazione quantitativa del “petitum” dipendente da una normativa sopravvenuta o da un evento, parimenti sopravvenuto, necessariamente collegato a quello iniziale (Cass. n. 11470/2014; n. 9810 del 2014; n. 8978 del 2003).

La mera precisazione quantitativa del petitum che si collega necessariamente all’evento iniziale di cui rappresenta il naturale sviluppo non trova ostacolo nel divieto di domande nuove in appello, il quale non si riferisce alle domande che traggono origine da una normativa o da un evento sopravvenuti (Cass. n. 8978 del 2003; v. anche Cass. n. 15792 del 2002, la quale precisa che “non costituisce domanda nuova ed e’, pertanto, proponibile in appello, la mera variazione quantitativa del petitum dipendente o da una normativa sopravvenuta o da un evento anch’esso sopravvenuto e necessariamente collegato a quello iniziale”). Nel caso di specie, l’amministrazione, in sede di impugnazione, si è limitata ad una mera variazione quantitativa della pretesà tributaria – del petitum, essendo essa attore in senso sostanziale – in ragione di un evento sopravvenuto nel corso del giudizio, rappresentato dalla sentenza della CTP resa nel diverso giudizio instaurato dai coobbligati dell’odierna ricorrente.

8. L’ultimo motivo è inammissibile sotto il profilo della dedotta manifesta illogicità della motivazione.

Sul punto si ricorda il fondamentale arresto con cui è stato precisato che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016; Sez. 3, Sentenza n. 7402 del 23/03/2017; Cass. n. 23940/2017; n. 22598/2018). Nel caso in esame la motivazione risulta idonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione avendo il decidente esposto chiaramente le ragioni di fatto e di diritto in virtù delle quali ha ritenuto la congruità della motivazione e dei valori attribuiti all’area, individuando anche i criteri adottati dall’Agenzia e considerando i valori attribuiti al medesimo cespite nell’altro giudizio introdotto dai coobbligati in solido della T..

8.1 Il motivo che denuncia violazione delle norme rubricate per avere il decidente ritenuto la congruità delle quotazioni Orni e dei valori rinvenuti nel sito Borsini.net, che, in quanto nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza sarebbero idonee solamente a condurre ad indicazioni di valori di larga massima, non potendo costituire fonti tipica di prove, merita, invece, accoglimento.

Questa Corte, con indirizzo condiviso, ha precisato che: “In tema di accertamento dei redditi di impresa, in seguito alla sostituzione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, ad opera della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 3, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi; così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purché siano gravi, precise e concordanti”. L’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti” (Cass. n. 2155 del 2019; Cass. n. 9474 del 2017). Il principio è applicabile anche all’imposta di registro, con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea (Cass. n. 11439 del 2018).

La reintroduzione della presunzione semplice, sopprimendo la presunzione legale (relativa) di corrispondenza del corrispettivo della compravendita al valore normale del bene, introdotta dalla citata disposizione, non impedisce al giudice di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e gravità, tuttavia non riconoscibili nel solo valore OMI, che va pertanto combinato con ulteriori indizi qualora allegati.

Le quotazioni OMI, risultanti dal sito web dell’Agenzia delle entrate, difatti, non costituiscono una fonte tipica di prova del valore venale in comune commercio del bene oggetto di accertamento, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, essendo idonee a condurre ad indicazioni di valore di larga massima (Cass. n. 25707 del 2015).

Quei parametri emergenti dall’OMI, in altre parole, hanno la valenza probatoria di un indizio, e dunque devono essere valutati solo nel contesto di un più ampio quadro indiziario dal quale si possa inferire il maggior valore di un immobile rispetto a quanto dichiarato nell’atto di trasferimento, a maggior ragione se si considera che i detti parametri costituiscono a loro volta il frutto di una rielaborazione tramite un procedimento inferenziale di dati eterogenei (Cass. n. 245550/ 20202: n. 2155 del 2019; Cass. n. 21813 del 2018).

Analogamente, le quotazioni rilevate dal sito Borsino.net si fondano su un procedimento inferenziale di dati eterogenei, trattandosi di un listino relativo alle transazioni economiche inerenti l’area di interesse, dove i fattori considerati sono i “prezzi medi”, “individuati” in base alla posizione in cui si trova l’immobile e alla sua destinazione d’uso (residenziale, commerciale, ecc.), ovvero altri parametri come le condizioni in cui versa l’edificio, fino ad utilizzare coefficienti correttivi.

La circostanza che si utilizzino ai fini della determinazione dei valori venali in comune commercio plurime quotazioni di stima rilevate con le medesime procedure non conferisce a detti elementi indiziari la natura di fonte tipica di prova.

Il riferimento alle stime effettuato sulla base dei valori OMI o dei parametri del Borsino.net non è quindi idoneo e sufficiente a rettificare il valore dell’immobile, tenuto conto che il valore dello stesso può variare in funzione di molteplici parametri (Cass. n. 18651 del 2016; Cass. n. 11439 del 2018; Cass. n. 21813 del 2018). Ne consegue che un avviso di liquidazione fondato esclusivamente sui valori OMI o su analoghi parametri, in difetto di ulteriori elementi forniti dall’Agenzia delle entrate, non può indicare congruamente il valore venale in comune commercio del bene.

8.2 Mette conto, del resto, considerare che, ai sensi del D.P.R n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, l’Amministrazione può procedere alla rettifica dei valori considerando: a) i trasferimenti a qualsiasi titolo e le divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni; b) ovvero il reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari; c) altri elementi di valutazione” di cui si può tener conto ” anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni”.

Si tratta di criteri pari-ordinati, non sussistendo tra i vari parametri indicati dall’art. 51 cit., un rapporto gerarchico e di subordinazione dell’ultimo ai primi, nulla autorizzando a ritenere il terzo residuale e subordinato alla oggettiva impossibilità di ricorrere ai parametri oggettivi di cui ai precedenti criteri, di talché il terzo parametro non può esser posto su un piano inferiore rispetto al metodo comparativo, specificamente enunciato dalla legge; restando ferma la necessità che il criterio in concreto adottato dall’ufficio sia specificamente indicato in avviso, in modo tale da permettere al contribuente la piena comprensione della pretesa e l’esercizio del diritto di difesa (Cass. 1961/18; n. 29143/ 2018 ed altre).

Questa Corte ha precisato che, in tema di imposta di registro e di INVIM, deve escludersi che, ai sensi e per gli effetti del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 51, comma 3 – là dove prevede che l’ufficio, ai fini della rettifica del valore dei beni immobili, può fare ricorso a vari parametri, “nonché ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni” -, si configuri un criterio di valutazione non autonomo (alternativo agli altri e idoneo, al pari di essi, a sorreggere l’accertamento), ma semplicemente integrativo rispetto agli altri due criteri in precedenza contemplati dalla norma (il criterio comparativo e quello del reddito). A tal riguardo, l’interposizione della congiunzione “nonché” non presenta, di per sé, alcuna caratteristica lessicale decisiva, posto che alla menzionata congiunzione non è estraneo il significato di “e anche” (Cass. n. 4141/2021; Cass. n. 1961 del 26/01/2018; Cass. n. 2951 del 10/02/2006).

Il sistema presenta una certa disarmonia in quanto il legislatore non ha percorso fino in fondo la linea di prevedere una tassazione fondata esclusivamente su parametri legali e precostituiti, avendo compreso anche il criterio alternativo de “gli altri elementi di valutazione”. Questa disarmonia che prevede che l’ufficio finanziario possa procedere alla rettifica del valore indicato nell’atto con riferimento non solo alle compravendite aventi ad oggetto beni similari o al reddito netto di cui l’immobile sia suscettibile “ma anche ad ogni altro elemento”, deve essere superata dal giudice attraverso la valutazione della valenza probatoria degli elementi indicati dall’ufficio.

Tuttavia, se si tratta di criteri pariordinati, sarebbe illogico ipotizzare che l’amministrazione possa utilizzare accanto ai due parametri precostituiti e legali (il parametro comparativo e quello del reddito netto capitalizzato) “qualsiasi altro elemento” anche se non sussumibile nell’ambito delle presunzioni legali, quale quello desunto dalle quotazioni dei listini pubblici che non assume la dignità di presunzione legale.

Gli elementi sui quali fondare la rettifica del valore in comune commercio del cespite devono avere – come anticipato – le caratteristiche della precisione, della gravità e della concordanza, non risultando idoneo a tal fine il mero scostamento del prezzo di cessione dai valori normali risultanti dalle quotazioni OMI o di altri listini, ma dovendosi valutare a tal fine, ad esempio, il contratto preliminare, l’importo del mutuo contratto dall’acquirente dei cespiti, la perizia di stima ovvero la destinazione dell’immobile, la sua collocazione, la sua tipologia, la superfice, lo stato di conservazione, l’epoca di costruzione, a condizione che tali criteri di valutazione non siano elencati in modo meramente generico e di stile, onde consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa (cfr. Cass. n. 2951 del 10/02/2006; Cass. n. 3419 del 08/03/2001; n. 1961/2018); o ancora la rendita catastale moltiplicata e rivalutata, criterio, quest’ultimo, indicato dal legislatore quale discrimine obiettivo ed automatico, su opzione del contribuente, della ammissibilità della suddetta attività accertativa (v. Cass. n. 29143/2018).

Nel caso di specie la CTR ha ritenuto che il valore fosse stato legittimamente calcolato dall’Ufficio in quanto fondato sui valori OMI, la cui rilevanza probatoria trarrebbe supporto dalle quotazioni del listino ufficiale della Borsa Immobiliare di Roma e dalle altre banche dati. In altri termini, ha attribuito dignità probatoria a quotazioni fondate su procedimenti inferenziali di dati eterogenei attribuendo rilevanza indiziaria grave ad altre quotazioni di analoga natura e dignità rispetto alle quotazioni Omi.

Sennonché, esse non costituiscono fonte tipica di prova, ma strumento di ausilio ed indirizzo per l’esercizio della potestà di valutazione estimativa, sicché quali elementi inferenziali essi sono idonei solamente a “condurre ad indicazioni di valori di larga massima” (Cass. n. 25707 del 2015). Il riferimento alle stime effettuato sulla base di detti parametri, per immobili ubicati nella medesima area dello stesso comune, non sono quindi sufficienti a rettificare il valore dell’immobile, tenuto conto che il valore dello stesso può variare in funzione di molteplici parametri quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico, nonché lo stato delle opere di urbanizzazione (Cass. n. 18651 del 2016; Cass. n. 11439/2018; n. 21813/2018; n. 2155/2019; n. 24550/2020).

In detto contesto, la sentenza emessa dalla CTP del Lazio nel diverso giudizio introdotto dai coobbligati della odierna ricorrente non fornisce elementi utili per individuare i criteri adottati dalla commissione, ai fini della determinazione del valore dell’immobile, per rideterminare il valore indicato nell’atto impositivo. E, pertanto, non contribuisce ad arricchire il carente quadro indiziario prodotto dall’ufficio.

9. L’obiettiva incertezza del quadro giurisprudenziale di riferimento giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

– Accoglie il ricorso;

– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente;

– compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della Corte di cassazione tenuta da remoto, il 5 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2021

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