Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22550 del 07/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 07/11/2016, (ud. 21/09/2016, dep. 07/11/2016), n.22550

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10223-2015 proposto da:

I.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo studio dell’avvocato DANIELE

MANCA BITTI, rappresentata e difeso dall’avvocato GIULIA DI DONATO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, C.F. (OMISSIS), in persona

del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE ABRUZZO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 815/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 16/10/2014 R.G.N. 455/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/09/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 16 ottobre 2014) in parziale riforma della sentenza n. 1374/2013 del Tribunale di Pescara, dichiara interamente compensate fra le parti le spese di lite, conferma integralmente, per il resto, la sentenza appellata, di rigetto del ricorso di I.A. volto ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatole dal Ministero dell’Istruzione, Università e della Ricerca (d’ora in poi: MIUR) in data 18 luglio 2012.

La Corte d’appello dell’Aquila, per quel che qui interessa, precisa che:

a) le risultanze processuali consentono di affermare che l’appellante ha rifiutato di sottoporsi a visita medica per due volte – una il 28 ottobre 2010 e una il 3 aprile 2012 – e che pertanto sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. n. 171 del 2011, art. 6, comma 3, che ha dato attuazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-octies;

b) come affermato dal primo giudice nell’ambito del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 3, non ha carattere cogente la comunicazione al dipendente dell’avvenuta trasmissione degli atti all’ufficio competente per il procedimento disciplinare individuato ai sensi del comma 4, mentre ha carattere perentorio il termine ivi stabilito con riguardo alla suindicata trasmissione degli atti;

c) è da accogliere invece l’ultimo motivo di appello con il quale si chiede la compensazione delle spese processuali, data la presumibile buona fede dell’appellante, la obiettiva controvertibilità delle questioni trattate e la loro novità.

2. Il ricorso di I.A. domanda la cassazione della sentenza per cinque motivi; resiste, con controricorso, il MIUR, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi dei motivi di ricorso.

1. Il ricorso è articolato in cinque motivi.

1.1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione degli artt. 333 e 436 cod. proc. civ., per nullità del procedimento. Error in procedendo.

Si impugna la statuizione con la quale la Corte territoriale ha stabilito che il licenziamento disciplinare è stato irrogato per otto assenze alle visite mediche di verifica, senza considerare che sul punto doveva considerarsi formato il giudicato interno, visto che il primo giudice aveva affermato che le suddette assenze erano due e che tale affermazione andava considerata come un capo autonomo da impugnare specificamente, mentre nella specie l’Amministrazione non ha proposto appello incidentale al riguardo, ma una semplice eccezione accolta dalla Corte aquilana.

1.2. Con il secondo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione di numerosi articoli del codice civile e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-octies; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe fatto cattivo uso dei canoni ermeneutici applicabili anche al licenziamento in quanto non avrebbe considerato che le uniche assenze poste a base del licenziamento erano quelle del 2012 e che, comunque, il MIUR non era abilitato a sindacare i certificati medici.

Si aggiunge che le assenze del 2010 peraltro tutte giustificate sono state valutate dal MIUR solo per la proporzionalità e che comunque delle assenze del 2012 una sola (quella del 3 aprile 2012) è stata considerata ingiustificata, pertanto non ricorrerebbero i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 171 del 2011, art. 6, che richiede la presenza di almeno due assenze ingiustificate alle visite mediche collegiali.

1.3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 55 e 55-bis, dell’art. 1418 cod. civ., dell’art. 91 del CCNL Comparto Scuola.

Si sostiene che la Corte aquilana ha escluso che alla mancata comunicazione all’interessata dell’avvenuta trasmissione degli atti all’Ufficio Scolastico Regionale potesse attribuirsi natura, senza avvedersi della contrarietà di tale statuizione con quanto stabilito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 3, e senza rilevare che, invece, la assenza di tale adempimento comporta di per sè la nullità del licenziamento, in quanto ha impedito all’interessata di conoscere subito i fatti contestati.

1.4. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione della L. n. 400 del 1988, art. 17,comma 1, lett. b); del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-octies; del D.P.R. 27 luglio 2011, n. 171, artt. 2 e 6.

Si rileva che i giudice del merito non hanno considerato che il MIUR ha utilizzato, per irrogare un licenziamento per giustificato motivo soggettivo, la contestazione adottata ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-octies e del D.P.R. n. 171 del 2011, art. 6, i quali però disciplinano una fattispecie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Si sostiene che l’art. 55-octies cit. avrebbe permesso di disciplinare con regolamento il licenziamento per inidoneità psico-fisica del lavoratore – purchè sia permanente – ma non quella di regolamentare un nuovo tipo di licenziamento disciplinare per mancata sottoposizione alla visita di controllo, reiterata per almeno due volte, che non sia stata preceduta da una valutazione dell’Amministrazione datrice di lavoro sull’idoneità alla mansione svolta.

Di conseguenza l’adozione del licenziamento D.P.R. n. 171 del 2011, ex art. 6, se non si accompagna ad una adeguata motivazione in ordine agli elementi di fatto che facciano presumere l’inidoneità a svolgere la mansione non è legittima, come risulta confermato dalla circolare MIUR 8 novembre 2010, n. 88 che non prevede l’ipotesi del licenziamento per assenza ingiustificata alla visita della Commissione Medica di Verifica.

1.5. Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 2106 c.c.; del D.P.R. 27 luglio 2011, n. 171, artt. 6 e 7; dell’art. 3 del CCNL Comparto Scuola.

Si afferma che le disposizioni che regolano la materia avrebbero dovuto indurre l’Ufficio Scolastico Regionale a tenere in considerazione il principio di proporzionalità e quello di gradualità e quindi a valutare se fosse possibile utilizzare la dipendente in altre mansioni, prima di irrogare il licenziamento.

Questo è, infatti, il principio giurisprudenziale applicabile all’ipotesi di licenziamento per accertata inidoneità psico-fisica al lavoro, che, a maggior ragione, dovrebbe valere per il licenziamento per omessa presentazione alle visite mediche.

3 – Esame delle censure.

2. Il ricorso non è da accogliere per le ragioni di seguito esposte.

3. Il primo motivo non è ammissibile in quanto si basa su un erronea lettura della sentenza impugnata.

3.1. La ricorrente, infatti, facendo riferimento alla pagina 5 della sentenza, sostiene che la Corte aquilana avrebbe stabilito che il licenziamento in oggetto “è stato irrogato per otto assenze alle visite mediche di verifica”, diversamente dal giudice di primo grado che aveva accertato che le assenze alle visite mediche erano due (del 5 febbraio 2012 e del 3 aprile 2012).

Viceversa, dalla complessiva lettura della sentenza, risulta che il numero di visite indicato a pagina 5 è quello desunto dalla contestazione disciplinare mentre – come indicato nella successiva pagina 7 – la Corte territoriale ha affermato la sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 171 del 2011, art. 6, comma 3, di attuazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-octies, per ingiustificato rifiuto di sottoporsi a visita medica “per due volte”, come il primo giudice anche se individuando tali due volte in modo parzialmente diverso, precisamente facendo riferimento alla visita del 28 ottobre 2010 (anzichè a quella del 5 febbraio 2012) e alla visita del 3 aprile 2012.

Questo errore di fondo, cui si accompagna la mancata contestazione della ricostruzione della vicenda effettuata dal Giudice di appello nei termini anzidetti, rende inammissibile il primo motivo, dal momento che le censure di asserita violazione di un ipotetico giudicato interno risultano formulate muovendo da una premessa che non trova riscontro nella sentenza impugnata.

3.2. Anche il secondo motivo è inammissibile, in quanto, – nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge, contenuto nella prima parte dell’intestazione del motivo tutte le censure proposte si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata formulate in modo non conforme all’art. 360 c.p.c., n. 5, – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis – in base al quale la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili, evenienze che non risultano denunciate nella specie (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928).

3.3. Il terzo motivo non è fondato.

Secondo consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte (vedi, per tutte: Cass. 10 agosto 2016, n. 16900 e Cass. 8 agosto 2016, n. 16637):

a) il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis per gli illeciti disciplinari di maggiore gravità, imputabili al pubblico dipendente, come quelli che comportano il licenziamento, contiene due previsioni: 1) con la prima (comma 3), è imposto al dirigente della struttura amministrativa in cui presta servizio il dipendente la trasmissione degli atti all’ufficio disciplinare “entro cinque giorni dalla notizia del fatto” e la “contestuale” comunicazione all’interessato; 2) con la seconda (comma 4) si prescrive all’ufficio disciplinare la contestazione dell’addebito al dipendente “con l’applicazione di un termine” pari al doppio di quello stabilito nel comma 2 (ossia quaranta giorni) e inoltre si stabilisce che la violazione dei termini “di cui al presente comma” comporta per l’amministrazione la decadenza dal potere disciplinare;

b) attraverso la previsione dei suindicati termini, alla “ratio” generale della norma – rappresentata dalla necessità della individuazione di un apposito Ufficio per i procedimenti disciplinari (UPD), per i procedimenti relativi a fatti puniti con sanzioni più severe rispetto a quelle indicate nel comma 1, onde garantire meglio il diritto di difesa del dipendente – si aggiunge la “ratio” della salvaguardia dell’esigenza di rendere più veloce l’esercizio del potere disciplinare, attraverso la previsione di regole che mettono in correlazione, funzionale e temporale, le attività e le fasi del procedimento, anche nei casi in cui queste si svolgano davanti ai due diversi organi individuati come “competenti”, tant’è che il termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento gestito dall’UPD viene fatto decorrere dalla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, “anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora”;

d) peraltro, gli effetti dell’eventuale omissione della “contestuale comunicazione all’interessato” della trasmissione di cui all’ultima parte citato art. 55 bis, comma 3, non si riverberano sul procedimento disciplinare e sul suo svolgimento, che prosegue regolarmente, in quanto la comunicazione “all’interessato” ha una funzione meramente informativa, senza alcun pregiudizio per le garanzie difensive, le quali vengono in considerazione solo se ed in quanto venga avviato, dall’organo competente, il vero e proprio procedimento disciplinare;

e) del resto, la suddetta norma non contiene alcun alcuna previsione sanzionatoria in relazione ai casi in cui la comunicazione al lavoratore sia stata omessa e neppure contiene una qualche espressione letterale dalla quale possa desumersi la cogenza dell’adempimento, non essendo esso costruito in termini di “obbligo”, obbligo che peraltro non sarebbe nemmeno configurabile, atteso che tutto il materiale relativo alla “notizia” del fatto disciplinarmente refluisce nella contestazione;

f) nessun pregiudizio dei diritti di difesa del sottoposto a procedimento disciplinare potrebbe, pertanto, derivare dall’eventuale mancanza della comunicazione preliminare informativa da parte del soggetto che vi è tenuto, ove si consideri che il lavoratore, nei cui confronti sia, poi, avviato il procedimento disciplinare, ha il diritto di accedere agli atti istruttori, anche per potere verificare il rispetto dei termini perentori, come è espressamente previsto dall’ultima parte dell’art. 55-bis, comma 5 (“Il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori riguardanti il procedimento”).

In base alle suddette considerazioni il terzo motivo di ricorso va rigettato, ribadendosi il principio di diritto secondo cui: “In tema di illeciti disciplinari di maggiore gravità imputabili al pubblico dipendente, la comunicazione all’interessato della trasmissione degli atti da parte del responsabile della struttura all’UPD, prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 3, ha una funzione meramente informativa, sicchè gli effetti dell’eventuale omissione di tale adempimento non si riverberano sul procedimento disciplinare e sul suo svolgimento, che prosegue regolarmente”.

3.4. Infondati sono anche il quarto e il quinto motivo, da esaminare insieme data la loro intima connessione.

Entrambi i motivi, infatti, muovono dall’erroneo presupposto secondo cui sarebbe illegittima l’irrogazione del licenziamento D.P.R. n. 171 del 2011, ex art. 6 che non si accompagni ad una adeguata motivazione in ordine agli elementi di fatto che facciano presumere l’inidoneità psico-fisica del dipendente a svolgere la mansione, come risulterebbe confermato dalla Circolare MIUR 8 novembre 2010, n. 88, ove non si prevede l’ipotesi del licenziamento per assenza ingiustificata alla visita della Commissione Medica di Verifica.

3.5. Al riguardo deve essere, in primo luogo, precisato che:

a) le circolari ministeriali non sono fonte del diritto ma semplici presupposti chiarificatori della posizione espressa dall’Amministrazione su un dato oggetto, la cui inosservanza può dare luogo al vizio di eccesso di potere dell’atto amministrativo quando ciò avvenga senza adeguata motivazione (Cass. 12 gennaio 2016, n. 280; Cass. 14 dicembre 2012, n. 23042; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1577; Cass. 6 aprile 2011, n. 7889);

b) nella specie, peraltro, la Circolare del MIUR richiamata è stata emanata prima del D.P.R. 27 luglio 2011, n. 171, recante il “Regolamento di attuazione in materia di risoluzione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche dello Stato e degli enti pubblici nazionali in caso di permanente inidoneità psicofisica, a norma del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 55-octies”, come tale avente rango superiore.

3.6. Ciò detto, non potendosi nutrire dubbi sul carattere attuativo dell’art. 55-octies cit. del suindicato regolamento – specificato anche nel titolo – va sottolineato come la lettera d) di tale articolo preveda espressamente: “d) la possibilità, per l’amministrazione, di risolvere il rapporto di lavoro nel caso di reiterato rifiuto, da parte del dipendente, di sottoporsi alla visita di idoneità”.

Ne risulta la assoluta correttezza – e conformità alla normativa richiamata – delle affermazioni della Corte aquilana secondo cui: 1) il D.P.R. n. 171 del 2011, art. 6 cit. non ha carattere innovativo, ma si è limita a precisare il contenuto precettivo della lettera d) del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-octies; 2) come già affermato dal primo giudice alla presente fattispecie è estranea la problematica dell’accertamento della idoneità psico-fisica, in quanto quello di cui si tratta costituisce un autonomo caso di licenziamento disciplinare derivante dal rifiuto reiterato della dipendente di sottoporsi a visita medica.

Tale ipotesi nuova, può aggiungersi, appare avere carattere strumentale al fine di assicurare il rispetto delle altre norme dettate dall’art. 55-octies cit., sempre tutelando il diritto di difesa del dipendente.

4 – Conclusioni.

4. In sintesi, il ricorso deve essere respinto e le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate, in Considerazione della assenza di precedenti pronunce di questa Corte riguardanti l’interpretazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-octies, lett. d), con il D.P.R. n. 171 del 2011, art. 6 cit. (vedi, sul punto: Cass. 19 ottobre 2015, n. 21083).

5. Proprio in considerazione di tale novità, si ritiene opportuno, ex art. 384 c.p.c., comma 1, affermare il seguente principio di diritto:

“nel pubblico impiego contrattualizzato la risoluzione del rapporto di lavoro – a seguito del procedimento di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis – nel caso di ingiustificato rifiuto, da parte del dipendente pubblico, di sottoporsi alla visita medica di idoneità, reiterato per almeno due volte, di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-octies, lett. d), con il D.P.R. n. 171 del 2011, art. 6, costituisce un’autonoma ipotesi di licenziamento disciplinare, finalizzata ad assicurare assicurare il rispetto delle altre norme dettate dall’art. 55-octies cit., sempre tutelando il diritto di difesa del dipendente”.

6. Con riguardo all’istanza depositata dal difensore della ricorrente nella quale, allegandosi il provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati dell’Aquila in data 9 aprile 2015, è stata chiesta la liquidazione delle spese e degli onorari per l’attività difensiva svolta nel presente giudizio, quali risultanti dalla nota spese ivi contenuta, va ricordato quanto segue:

a) in base al consolidato e condiviso orientamento di questa Corte tale ammissione non comporta che siano a carico dello Stato le spese che l’assistito dal beneficio sia condannato a pagare all’altra parte risultata vittoriosa, perchè gli onorari e le spese di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 131, sono solo quelli dovuti al difensore della parte ammessa al beneficio, che lo Stato, sostituendosi alla stessa parte – in considerazione delle sue precarie condizioni economiche e della non manifesta infondatezza delle relative pretese – si impegna ad anticipare (Cass. 19 giugno 2012, n. 10053; Cass. 10 dicembre 2012, n. 22381; Cass. 11 novembre 2013, n. 25295; Cass. 25 marzo 2013, n. 7390; Cass. 21 gennaio 2013, n. 1307);

b) comunque, in tema di patrocinio a spese dello Stato, secondo la disciplina di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la competenza sulla liquidazione degli onorari al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione spetta, ai sensi dell’art. 83 del suddetto decreto, come modificato dalla L. 24 febbraio 2005, n. 25, art. 3 al giudice di rinvio, oppure a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato a seguito dell’esito del giudizio di cassazione. Nel caso di cassazione e decisione nel merito, la competenza spetta a quello che sarebbe stato il giudice di rinvio ove non vi fosse stata decisione nel merito (Cass. 16 luglio 2015, n. 14963; Cass. 13 maggio 2009 n. 11028; Cass. 12 novembre 2010 n. 23007; Cass. 21 gennaio 2013, n. 1307; Cass. 8 maggio 2014, n. 9946).

7. La suddetta attuale condizione della ricorrente di ammessa al patrocinio a spese dello Stato esclude la debenza di quanto previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art., comma 17, (vedi, per tutte: Cass. giugno 2016, n. 11627; Cass. 30 novembre 2015, n. 24391).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa, tra le parti, le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 21 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2016

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