Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22549 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. II, 16/10/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 16/10/2020), n.22549

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24682/2019 proposto da:

J.L., elettivamente domiciliato in Benevento, via fratelli

Addabbo n. 3/d, presso lo studio dell’avv.to DOMENICO RUSSO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE CASERTA

RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 24/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio in

data 08/09/2020 dal Consigliere Dott. LUCA MARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Napoli, con decreto pubblicato il 24 luglio 2019, respingeva il ricorso proposto da J.L., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto del richiedente non era credibile e che in ogni caso non ricorrevano i presupposti non essendo stata allegata alcuna persecuzione nei confronti del richiedente. Questi aveva dichiarato di essere di religione musulmana e di essere espatriato nel (OMISSIS) dopo la morte della madre avvenuta per mano della seconda moglie del padre. Dunque, questi non aveva lasciato il proprio paese per ragioni di natura persecutoria e, dunque, non poteva riconoscersi la protezione richiesta, non essendoci alcun fondato rischio di atti persecutori in caso di rimpatrio, nè di condanna a morte o di esecuzione di una condanna già emessa o di tortura o di altra forma di trattamento inumano e degradante. Non ricorrevano, pertanto, neanche i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Il Gambia, infine, sulla base di fonti di conoscenza aggiornate, non versava in una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato.

Quanto alla protezione umanitaria non emergevano ulteriori elementi di vulnerabilità che potessero essere positivamente valutati in favore del ricorrente e tantomeno i presupposti di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, tali da far ritenere sussistenti le condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. In particolare l’attestato di frequenza scolastica non era sufficiente a ritenere pienamente integrato il ricorrente sul territorio nazionale.

3. latta Lamin ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e art. 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 12, comma 1 bis e artt. 2 e 27, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il ricorrente lamenta l’omesso esame della vicenda raccontata e la sua riconducibilità all’invocata protezione non rilevando affatto che la vicenda fosse afferente a motivi familiari, dovendosi invece verificare in concreto la minaccia del danno grave, in violazione del dovere di cooperazione istruttoria, senza neanche assumere informazioni sulla situazione socio politico economica del Gambia.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. c) e d) ed art. 6, comma 2, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

La censura attiene alla violazione del principio del contraddittorio per avere deciso in ordine alla protezione sussidiaria solo sul rapporto EASO del 2017 mentre dal sito degli ministero degli affari esteri (OMISSIS) emergeva una situazione del Gambia di generale insicurezza acuita dall’istituzionale ricorso al sistema di cosiddette vendette private.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 5, art. 14, art. 9, comma 2, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

A parere del ricorrente sussiste la condizione di vulnerabilità tale da sentire il riconoscimento della protezione umanitaria, sia in relazione alla situazione soggettiva personale del richiedente, sia in relazione alle condizioni del paese e sia in relazione alla loro valutazione comparativa.

4. I tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili, anche ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, come interpretato da questa Corte a Sezioni Unite con la pronuncia n. 7155 del 2017.

In primo luogo, il Tribunale ha ritenuto che il racconto del richiedente non evidenziasse elementi tali da far ritenere sussistenti i presupposti per il riconoscimento dello Status di rifugiato o per accordare la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b. Tale valutazione implica un accertamento in fatto non sindacabile se non per omesso esame di un fatto decisivo che tuttavia il ricorrente non indica (Cass. ord. 30105 del 2018).

Il Tribunale ha anche motivato sia in relazione alla situazione soggettiva del ricorrente sia in ordine alla situazione complessiva del Gambia, sicchè è del tutto evidente che non vi è stata alcuna violazione di legge o omessa motivazione nell’accezione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Ne consegue che la censura si risolve in una richiesta di nuova valutazione dei medesimi fatti. Peraltro, al di là della veridicità del racconto la vicenda narrata non descrive alcuna forma di persecuzione e, dunque, non rientra in nessuna delle situazioni che consentono il riconoscimento delle forme di protezione internazionale.

Il Tribunale ha anche esaminato, richiamando le fonti internazionali di conoscenza, la situazione generale del Gambia precisando che, in base a tali fonti, non vi fossero situazioni di violenza indiscriminata in conflitto armato. Come si è detto le suddette valutazioni costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito e sono sindacabili solo mediante il paradigma del vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti o come anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. In conclusione il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del Gambia anche in relazione al racconto del richiedente.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

5. In conclusione il ricorso è inammissibile. Nulla sulle spese non essendovi altre parti costituite.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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