Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22549 del 07/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 07/11/2016, (ud. 15/09/2016, dep. 07/11/2016), n.22549

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3447-2014 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.L., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CAMOZZI 1, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO CUCCI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCO CALO’, MARCO

PICCHI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1303/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 29/01/2013 R.G.N. 1094/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/09/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito l’Avvocato RAMPIONI RICCARDO per delega Avvocato CALO’ MARCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paolo, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza del 29 gennaio 2013, la Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto da G.L. nei confronti di Poste Italiane Spa dichiarando l’illegittimità del licenziamento intimato in data il (OMISSIS) per superamento del periodo di comporto, con le conseguenti statuizioni reintegratorie e risarcitorie previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18.

La Corte territoriale ha condiviso l’assunto del primo giudice secondo il quale la società avrebbe ingiustificatamente respinto la richiesta della lavoratrice di imputare a ferie un periodo di assenza. Secondo la Corte, dal complesso dell’istruttoria testimoniale, risulterebbe provato che la G. formulò richieste informali di fruizione delle ferie, prendendo a tal fine contatto con una collega, la quale ne riferì al funzionario responsabile; poichè a tali richieste informali fu data risposta negativa, in difetto di allegazione e prova di ragioni giustificative del rifiuto datoriale al mutamento del titolo dell’assenza, è stata confermata l’illegittimità del licenziamento.

2.- Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Poste Italiane Spa, con un motivo. La G. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.- Con l’unico motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la Corte di Appello, “fornendo evidentemente una parziale ed acritica valutazione delle prove, ha basato la sua decisione unicamente su tale testimonianze, senza tenere in alcuna considerazione le deposizioni pur rese dagli altri testimoni escussi, nonchè le prove documentali prodotte in corso di causa”.

Secondo parte ricorrente non risulterebbe pienamente dimostrato che la G. abbia mai avanzato richieste dirette a conoscere l’esatto numero dei giorni di malattia fruiti e neppure richieste scritte al fine di poter fruire delle ferie residue.

4.- Il ricorso è inammissibile.

Con il motivo che lo sostiene, nonostante si denunci formalmente la violazione di norme di diritto a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella sostanza si contesta la ricostruzione della vicenda storica così come apprezzata concordemente dai giudici del merito, tanto che si critica la valutazione delle prove testimoniali e documentali effettuata da costoro.

Poichè la sentenza della Corte territoriale risulta depositata in data 29 gennaio 2013, si applica il punto n. 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nella versione di testo introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modificazioni in L. n. 134 del 2012, la quale consente il ricorso per cassazione solo per “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. n. 8054 del 2014) hanno espresso su tale norma i seguenti principi di diritto: a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.

Il motivo in esame risulta sicuramente inadeguato rispetto all’osservanza di tali enunciati, traducendosi nella sostanza in un diverso convincimento rispetto a quello espresso dai giudici del merito ed invocando una revisione del giudizio sul fatto non consentito in sede di legittimità.

5.- Conseguentemente il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Poichè il ricorso per cassazione risulta nella specie proposto in data 29 gennaio 2014 occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento di Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2016

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