Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22544 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. II, 16/10/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 16/10/2020), n.22544

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22191 – 2019 R.G. proposto da:

B.K.O., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Avellino, alla via Malta, nn.

4-6, presso lo studio dell’avvocato Vincenzina Salvatore che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso.

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, – c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 5448/2019 del Tribunale di Napoli;

udita la relazione nella camera di consiglio del 23 luglio 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. K.O.B., cittadino della Nigeria, di religione cristiana, formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che era cresciuto con la famiglia della madre di religione musulmana; che a seguito della morte del padre si era trasferito a Benin City, presso i parenti paterni e la moglie del padre, e qui si era convertito al cristianesimo; che nel gennaio del 2014 era stato accusato ingiustamente della morte di un figlio della moglie del padre; che, per sottrarsi alla vendetta, era ritornato dalla madre; che tuttavia i parenti materni con violenza e minacce ne pretendevano la conversione all’islam; che si era dunque determinato ad abbandonare la Nigeria ed aveva raggiunto l’Italia, transitando per il Niger.

2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale rigettava l’istanza.

3. Con decreto n. 5448/2019 il Tribunale di Napoli respingeva il ricorso con cui K.O.B., avverso il provvedimento della commissione territoriale, aveva chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine il riconoscimento della protezione sussidiaria, in ulteriore subordine il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenziava il tribunale che, anche alla luce degli esiti dell’interrogatorio cui si era fatto luogo all’udienza del 5.6.2019, era da condividere il giudizio di inverosimiglianza delle dichiarazioni rese dal ricorrente dinanzi alla commissione territoriale.

Evidenziava segnatamente che le dichiarazioni risultavano nel complesso incongrue e dunque inattendibili.

Evidenziava quindi che non sussistevano i presupposti necessari ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato.

Evidenziava poi che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2014, art. 14, lett. c).

Evidenziava infine che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenziava segnatamente, nel quadro della debita valutazione comparativa, che, in ipotesi di rimpatrio, K.O.B. non si sarebbe ritrovato in condizioni di particolare vulnerabilità in dipendenza, per un verso, del carattere deficitario delle allegazioni di cui al ricorso, in dipendenza, per altro verso, dell’inattendibilità delle dichiarazioni rese; che in siffatti termini non aveva valenza il rapporto di lavoro addotto a riscontro della pretesa integrazione nel tessuto socio – economico italiano.

4. Avverso tale decreto ha proposto ricorso K.O.B.; ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), art. 3, comma 3, lett. a), e art. 7, dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d), e comma 8.

Deduce che il Tribunale di Napoli avrebbe dovuto vagliare la sua personale vicenda e segnatamente la situazione attualmente esistente in Nigeria, suo paese d’origine, avvalendosi dei poteri istruttori officiosi di cui è investito.

Deduce che invero la popolazione della Nigeria versa in una situazione di gravissima insicurezza a causa delle attività terroristiche; che a causa inoltre della situazione di squilibrio sociale esistente il tribunale avrebbe dovuto reputare fondati gli addotti timori per la sua incolumità in caso di rimpatrio.

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 4 e 14.

Deduce che ha errato il tribunale a disconoscere la protezione sussidiaria.

Deduce segnatamente che avrebbe dovuto beneficiare della protezione sussidiaria “in ragione dell’attuale situazione di instabilità socio – politica dello Stato di provenienza, essendo innegabile che, ad oggi, la Nigeria non è un Paese sicuro” (così ricorso, pag. 6); che dai rapporti delle organizzazioni internazionali si evince che in Nigeria esiste una situazione di gravissima insicurezza in conseguenza dell’attività terroristica di “Boko Haram” e dell’attività di contrasto posta in essere dalle forze di sicurezza.

Deduce ulteriormente che il tribunale avrebbe dovuto considerare le condizioni socio – politiche della Nigeria alla stregua della situazione esistente al momento della decisione.

7. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa motivazione, la nullità dell’impugnato decreto in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4.

Deduce che ha errato il tribunale a reputare inattendibili le sue dichiarazioni, viepiù che ha fornito puntuale resoconto della sua vicenda.

Deduce che ha errato il tribunale a disconoscere la protezione umanitaria; che a tal riguardo il decreto impugnato è del tutto immotivato.

Deduce ulteriormente che, qualora rimpatriato, si ritroverebbe in condizioni di particolare vulnerabilità, viepiù in considerazione della situazione di instabilità socio – politica che coinvolge l’intera Nigeria.

8. Il primo motivo di ricorso è inammissibile (e del pari è inammissibile la doglianza, veicolata dal terzo motivo, con cui analogamente si censura il giudizio, espresso dal tribunale, di inattendibilità delle dichiarazioni rese).

9. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento “di fatto” è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. (ord.) 5.2.2019, n. 3340).

10. Su tale scorta, nel segno dunque del novello dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 alla cui stregua il primo motivo si qualifica, e nel solco dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, si rappresenta quanto segue.

Da un canto, il Tribunale di Napoli ha dato compiutamente conto della incongruenza e della inverosimiglianza delle dichiarazioni rese dal ricorrente.

Il tribunale ha, tra l’altro, rimarcato che il ricorrente non aveva debitamente chiarito le modalità che avevano condotto all’unione, del tutto eccezionale, della madre, di etnia hausa, rigorosamente osservante la religione islamica, e del padre, di etnia edo e di religione cristiano – pentecostale; che al contempo il ricorrente non aveva spiegato le ragioni per le quali parlava con estrema difficoltà la lingua hausa, ovvero la lingua della madre, con cui pur aveva dichiarato di aver vissuto fino all’età di quindici anni; che pertanto seri dubbi si prospettavano in ordine alla possibilità che K.O.B. avesse vissuto nel Kano State.

D’altro canto, il ricorrente indubbiamente sollecita questa Corte a far luogo ad una “diversa lettura” della vicenda narrata alla luce dell’addotta situazione di grave insicurezza esistente in Nigeria.

11. Si tenga conto che nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; cosicchè, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

Su tale scorta del tutto legittimo è il mancato esercizio, da parte del tribunale, dei poteri istruttori officiosi.

12. Il secondo motivo di ricorso del pari è inammissibile.

13. Il secondo mezzo di impugnazione parimenti si qualifica in via esclusiva in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Col secondo mezzo invero il ricorrente similmente censura il giudizio “di fatto” cui il Tribunale di Napoli ha atteso ai fini del concreto riscontro dell’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

D’altronde, questa Corte spiega che, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

14. Su tale scorta, nel solco del già menzionato insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, si osserva quanto segue.

Per un verso, è da escludere che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della citata pronuncia delle sezioni unite, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui, in parte qua, il Tribunale di Napoli ha ancorato il suo dictum.

Invero il tribunale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

In particolare ha evidenziato che dai rapporti “E.A.S.O.” datati febbraio 2019, novembre 2018 e giugno 2017 – il primo dei quali dunque sostanzialmente coevo al di dell’impugnata decisione – si desumeva che le situazioni di conflitto esistenti in Nigeria non erano localizzate nelle regioni del sud, bensì nelle regioni del nord-est, da cui di certo il ricorrente non proveniva e ove era operante il gruppo terroristico di “Boko Haram”.

In pari tempo per nulla si giustifica la prospettazione del ricorrente, secondo cui il tribunale non ha tenuto conto del rapporto del Ministero degli Esteri datato 13.8.2018.

Invero il tribunale ha precisato che non era da tener conto delle notizie desumibili dal sito del Ministero degli Esteri, in quanto destinate essenzialmente al pubblico dei turisti.

Per altro verso, il tribunale ha sicuramente disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa, ossia la concreta sussistenza dell’ipotesi in astratto prefigurata al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

15. Il terzo motivo di ricorso parimenti è inammissibile.

16. Si premette che, alla luce dei passaggi motivazionali dell’impugnato dictum dapprima riferiti, del tutto ingiustificata è la denuncia di omessa motivazione in punto di protezione umanitaria.

17. D’altra parte, questa Corte senza dubbio spiega che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato” o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 15.5.2019, n. 13079; cfr. Cass. 23.2.2018, n. 4455, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza).

18. E nondimeno non può che darsi atto che le ragioni di censura che il terzo motivo di impugnazione veicola, non si correlano puntualmente alla ratio decidendi in parte qua dell’impugnato dictum.

Infatti il tribunale ha dato conto di un vero e proprio difetto di allegazione delle circostanze atte a consentire il riconoscimento della protezione umanitaria (“tenendo conto (…) anche del contenuto del ricorso, sotto tale profilo deficitario”: così decreto impugnato, pag. 10).

Ebbene siffatto pregnante passaggio motivazionale non risulta specificamente censurato.

19. Comunque, anche ad ipotizzare che correlazione alla ratio decidendi vi sia, il terzo mezzo di impugnazione, al più, reca censura del giudizio “di fatto” cui, pure in parte qua, il tribunale ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente.

20. Ebbene, in quest’ottica, analogamente nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, non può che opinarsi nel senso che nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” inficia, anche in parte qua, il dictum partenopeo.

Del resto, il ricorrente adduce che nel suo paese d’origine è oramai privo di riferimenti familiari (cfr. ricorso, pag. 10) e che, viceversa, ha intrapreso un proficuo percorso di inserimento nel tessuto socio – economico italiano anche attraverso lo studio della lingua italiana (cfr. ricorso, pagg. 10 – 11).

E però in tal guisa sollecita questo Giudice del diritto a valutazioni rilevanti sul piano del giudizio “di fatto”.

21. Dai rilievi tutti in precedenza esposti si evince, in conclusione, che il tribunale ha statuito in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte.

Il ricorso quindi è nel complesso inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, (cfr. Cass. sez. un. 21.3.2017, n. 7155, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, lo scrutinio ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348 bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”).

22. Nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va assunta. Invero il Ministero dell’Interno, alla stregua dell’assolutamente scarno contenuto del controricorso, non ha sostanzialmente svolto difese.

23. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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