Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22542 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. II, 16/10/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 16/10/2020), n.22542

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22697 – 2019 R.G. proposto da:

S.L., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Napoli, alla via G. Porzio,

Centro Direzionale, is. G1, sc. “C”, presso lo studio dell’avvocato

Clementina Di Rosa che lo rappresenta e difende in virtù di procura

speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, – c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge.

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 5277/2019 del Tribunale di Napoli;

udita la relazione nella camera di consiglio del 23 luglio 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. L.S., cittadino del Gambia, di religione musulmana, formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che un amico, al quale aveva confidato la propria omosessualità, gli aveva chiesto del denaro in prestito; che in seguito l’amico gli aveva domandato altro denaro; che, rifiutata l’ennesima richiesta di danaro, l’amico per ritorsione lo aveva denunciato all’autorità di polizia per la sua omosessualità; che conseguentemente era stato tratto in arresto, siccome in Gambia l’omosessualità è gravemente punita, e durante la detenzione era stato sottoposto a trattamenti inumani e degradanti; che, riacquistata la libertà, il timore di essere nuovamente arrestato e condannato alla pena di morte lo aveva indotto ad abbandonare il 10.1.2015 definitivamente il proprio paese; che aveva dapprima raggiunto la Libia e dalla Libia si era imbarcato per l’Italia.

2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale rigettava l’istanza.

3. Con decreto n. 5277/2019 il Tribunale di Napoli respingeva il ricorso con cui L.S., avverso il provvedimento della commissione territoriale, aveva chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine il riconoscimento della protezione sussidiaria, in ulteriore subordine il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenziava il tribunale che le dichiarazioni del ricorrente erano del tutto generiche e per nulla circostanziate con riferimento al suo orientamento sessuale, al suo arresto ed al successivo suo rilascio.

Evidenziava altresì il tribunale che le dichiarazioni del ricorrente erano prive di qualsivoglia riscontro documentale nè poteva soccorrere a prova della addotta omosessualità la dichiarazione del responsabile del centro di accoglienza, depositata in allegato al ricorso.

Evidenziava quindi che non sussistevano i presupposti necessari ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato.

Evidenziava inoltre che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2014, art. 14, ex lett. c).

Evidenziava infine che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenziava segnatamente, nel quadro della debita valutazione comparativa, che, in ipotesi di rimpatrio, il ricorrente non si sarebbe ritrovato in condizioni di particolare vulnerabilità in dipendenza, per un verso, della deficitaria allegazione al riguardo, per altro verso, del progressivo miglioramento della situazione sociopolitica del paese d’origine, per altro verso ancora, dell’inidoneità della documentazione allegata a dar ragione del progressivo inserimento nel contesto socioeconomico italiano.

4. Avverso tale decreto ha proposto ricorso L.S.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente ai soli fini della partecipazione alla eventuale udienza di discussione.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,6,7,8 e 14 con riferimento allo status di rifugiato ed alla protezione sussidiaria.

Deduce che, contrariamente all’assunto del tribunale, ha riferito con dichiarazioni coerenti e plausibili la sua tragica e dolorosa vicenda.

Deduce quindi che ha errato il tribunale a negargli lo status di rifugiato.

Deduce che ha errato il tribunale a disconoscere la protezione sussidiaria.

Deduce in particolare che in Gambia esiste una situazione di indiscriminata violenza, come risulta dal portale del Ministero degli Esteri “Viaggiare Sicuri”, dal rapporto di “Amnesty International” del 2017/2018 e dal “World Report 2018” di “Human Rights Watch”.

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, con riferimento alla protezione umanitaria.

Deduce che ha errato il tribunale a disconoscere la protezione umanitaria.

Deduce in particolare che, qualora rimpatriato, verserebbe in condizioni di elevata vulnerabilità, soggettiva ed oggettiva, in considerazione della sua giovane età, dell’assenza di legami sociali, dell’insicurezza sociale e della sistematica violazione dei diritti umani che si registra nel suo paese d’origine, delle violenze sofferte nei paesi di transito.

7. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis; l’omessa istruttoria ex officio.

Deduce che il tribunale si è ingiustificatamente astenuto dall’esercizio dei poteri istruttori officiosi onde acclarare la situazione sociopolitica attualmente esistente in Gambia.

Deduce che, così come risulta dal portale del Ministero degli Esteri “Viaggiare Sicuri”, dal rapporto di “Amnesty International” del 2017/2018 e dal “World Report 2018” di “Human Rights Watch”, la situazione sociopolitica in Gambia è allo stato caratterizzata da instabilità e da violenza diffusa e generalizzata riconducibile all’azione di gruppi terroristici di matrice islamica.

8. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che il tribunale ha del tutto omesso l’esame di una serie di circostanze – ossia della sua giovane età, dell’assenza di legami sociali, della diffusa insicurezza che si registra nel suo paese d’origine, del percorso di integrazione in atto nel tessuto socioeconomico italiano – idonee a dar conto che verserebbe, qualora rimpatriato, in condizioni di particolare vulnerabilità, soggettiva ed oggettiva.

9. Il primo ed il terzo motivo di ricorso sono strettamente connessi; il che ne suggerisce l’esame contestuale; ambedue i motivi comunque sono inammissibili.

10. Si premette che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento “di fatto” è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. (ord.) 5.2.2019, n. 3340).

11. Su tale premessa, nel segno dunque del novello dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nel solco dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, si rappresenta quanto segue.

Da un canto, il Tribunale di Napoli ha dato compiutamente conto della incongruenza e della inverosimiglianza delle dichiarazioni rese dal ricorrente.

Il tribunale ha, tra l’altro, rimarcato (cfr. pag. 6) che le dichiarazioni del ricorrente erano del tutto incongrue con riferimento alla data del litigio avuto con l’amico e con riferimento alla data di partenza dal Gambia.

D’altro canto, il ricorrente senza dubbio sollecita questa Corte a far luogo ad una “diversa lettura” della vicenda narrata, allorquando assume che i fatti sono stati riferiti con dovizia di particolari e che il tribunale ha attribuito importanza ad aspetti di rilievo secondario (cfr. ricorso, pag. 15).

12. Si tenga conto inoltre che nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; cosicchè, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

Su tale scorta a nulla vale, da un lato, che il ricorrente adduca che nel suo paese d’origine non è operante “un sistema giustizia effettivo capace di tutelare i suoi diritti e la sua incolumità” (così ricorso, pag. 15).

Su tale scorta a nulla vale, dall’altro, che il ricorrente si dolga per il mancato esercizio, da parte del tribunale, dei poteri istruttori officiosi pur in ordine alla situazione socio-politica allo stato esistente in Gambia (cfr. ricorso, pag. 20).

13. Ovviamente, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

14. Cosicchè, nel segno della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nel solco del già menzionato insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, si osserva quanto segue.

Per un verso, è da escludere che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della citata pronuncia delle sezioni unite, possa scorgersi in relazione alle motivazioni alla stregua delle quali il Tribunale di Napoli ha disconosciuto la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c).

Invero il tribunale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

In particolare il tribunale ha evidenziato che dai rapporti “EASO” datati marzo e dicembre 2017 si desumeva che la situazione politica del Gambia è in progressivo miglioramento dopo la fine del regime dittatoriale durato venti anni e l’insediamento del presidente democraticamente eletto.

Per altro verso, il tribunale ha di certo disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa, ossia la concreta sussistenza dell’ipotesi in astratto prefigurata al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Per altro verso ancora, il ricorrente, in fondo, non adduce a supporto delle sue prospettazioni fonti di informazioni più recenti sulla situazione socio – politica attualmente esistente in Gambia (cfr. Cass. 18.2.2020, n. 4037, secondo cui, in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate).

15. Il secondo ed il quarto motivo di ricorso del pari sono strettamente connessi; analogamente se ne giustifica la disamina simultanea; entrambi i motivi in ogni caso sono inammissibili.

16. Questa Corte senza dubbio spiega che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato” o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 15.5.2019, n. 13079; cfr. Cass. 23.2.2018, n. 4455, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza).

17. E nondimeno non può non darsi atto, innanzitutto, che le ragioni di censura che i motivi de quibus agitur veicolano, non si correlano puntualmente alla ratio decidendi in parte qua dell’impugnato dictum.

Infatti il tribunale ha dato conto di un vero e proprio difetto di allegazione delle circostanze atte a consentire il riconoscimento della protezione umanitaria (“il ricorrente non ha specificamente rappresentato alcun profilo di vulnerabilità come sarebbe stato suo onere fare (…)”: così decreto impugnato, pag. 9).

Ebbene siffatto pregnante passaggio motivazionale non risulta specificamente censurato.

18. Comunque, anche ad ipotizzare che correlazione alla ratio decidendi vi sia, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, al più, recano censura del giudizio “di fatto” cui, pure in parte qua, il tribunale ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente.

19. Ebbene, in quest’ottica, similmente nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, non può che opinarsi nel senso che nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” inficia, anche in parte qua, le motivazioni del dictum partenopeo.

Del resto il ricorrente adduce che nel suo paese d’origine è oramai privo di legami sociali (cfr. ricorso, pag. 17) e che, viceversa, ha intrapreso un proficuo percorso di inserimento nel tessuto socioeconomico italiano, tra l’altro, anche attraverso lo studio della lingua italiana (cfr. ricorso, pag. 27).

E però in tal guisa sollecita questo Giudice del diritto a valutazioni rilevanti sul piano del giudizio “di fatto”.

20. Dai rilievi tutti in precedenza esposti si evince, in conclusione, che il tribunale ha statuito in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte.

Il ricorso dunque è nel complesso inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, (cfr. Cass. sez. un. 21.3.2017, n. 7155, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, lo scrutinio ex art. 360 bis c.p.p., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348 bis c.p.c.. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”).

21. Nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va assunta. Invero il Ministero dell’Interno non ha sostanzialmente svolto difese.

22. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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