Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2254 del 26/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 26/01/2022, (ud. 17/12/2021, dep. 26/01/2022), n.2254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15093-2020 proposto da:

D.M.N., D.M.A., G.E.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ALBALONGA 7, presso lo studio

dell’avvocato CLEMENTINO PALMIERO, rappresentati e difesi

dall’avvocato RITA MENNA;

– ricorrenti –

contro

COMUNE di GILDONE, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato

presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR,

ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO WALTER CIMA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 523/2/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DEL MOLISE, depositata il 24/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO

DELLI PRISCOLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la parte contribuente proponeva ricorso avverso degli avvisi di accertamento riguardante l’ICI relativo all’anno d’imposta 2009 originati dalla Delib. n. 80 del 2013, del comune di Gildone che rivalutava con effetto retroattivo i terreni della parte contribuente;

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso della parte contribuente riducendo l’imposta richiesta e annullando le sanzioni irrogate ma confermando il valore delle aree così come determinata dall’amministrazione comunale e la Commissione Tributaria Regionale ne respingeva l’appello affermando che, con riferimento alla Delib. della giunta comunale n. 80 del 2013, questa rimane un atto amministrativo puro che non ha leso i diritti del contribuente: inoltre è stata affissa all’albo pretorio del Comune e non è stata impugnata, mentre, quanto alla contestata mancata notifica dei valori adottati, non esiste alcun obbligo da parte dell’Ente di provvedere a tale adempimento, rimanendo a tal fine sufficiente l’affissione del provvedimento; per quanto riguarda poi il valore dei beni oggetto degli accertamenti, la perizia di parte depositata dalla parte contribuente risulta effettivamente soggettiva, non ancorata a precisi o affidabili parametri o riferimenti tabellari o normativi e per contro i valori adottati dal Comune sono stati determinati sulla base dei criteri previsti dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, per le aree fabbricabili.

La parte contribuente proponeva ricorso affidato a due motivi di impugnazione e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per l’accoglimento del ricorso mentre il comune di Gildone si costituiva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la parte contribuente denuncia omessa considerazione ed esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché manifesta ed irriducibile contraddittorietà della motivazione e va evidenziato che il giudice di secondo grado si è limitato a condividere, per relationem, le motivazioni del primo giudice.

Con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 5, e art. 91 c.p.c., per avere il giudice di appello liquidato in favore del Comune le spese legali, pur non essendosi avvalso della difesa tecnica.

Il primo motivo di impugnazione è in parte inammissibile e in parte infondato.

Secondo questa Corte infatti:

l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere assolto “per relationem” con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (Cass. n. 342 del 2021);

l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui ambito non è inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio – atto processuale che svolge funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza c.d. deducente) ovvero, in determinati casi (come in ambito di responsabilità sanitaria), fonte di prova per l’accertamento dei fatti (consulenza c.d. percipiente) – in quanto essa costituisce mero elemento istruttorio da cui è possibile trarre il “fatto storico”, rilevato e/o accertato dal consulente (nella specie, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso in quanto la ricorrente non aveva evidenziato quale “fatto storico” decisivo fosse stato omesso nell’esame condotto dai giudici di merito, limitandosi a denunciare una omessa valutazione delle risultanze della CTU) (Cass. n. 12387 del 2020);

l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. n. 22397 del 2019).

Il motivo di impugnazione è inammissibile in quanto il ricorrente non ha indicato quale sia il fatto controverso e decisivo per il giudizio e in cosa sia consistità la decisività; è inoltre altresì difettoso per carenza di autosufficienza per la mancata allegazione o trascrizione degli avvisi di accertamento e della Delib. n. 80 del 2013 del comune di Gildone da cui avrebbe potuto astrattamente ed eventualmente dedursi tale fatto decisivo.

Il motivo è altresì infondato per quanto riguarda la doglianza relativa ad una presunta motivazione per relationem alla sentenza di primo grado.

La Commissione Tributaria Regionale infatti – affermando che, con riferimento alla Delib. della giunta comunale n. 80 del 2013, questa rimane un atto amministrativo puro che non ha leso i diritti dl contribuente: inoltre è stata affissa all’albo pretorio del Comune e non è stata impugnata, mentre, quanto alla contestata mancata notifica dei valori adottati, non esiste alcun obbligo da parte dell’Ente di provvedere a tale adempimento, rimanendo a tal fine sufficiente l’affissione del provvedimento; per quanto riguarda poi il valore dei beni oggetto degli accertamenti, la perizia di parte depositata dalla parte contribuente risulta effettivamente soggettiva, non ancorata a precisi o affidabili parametri o riferimenti tabellari o normativi e per contro i valori adottati dal Comune sono stati determinati sulla base dei criteri previsti dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, per le aree fabbricabili – lungi dal riportarsi acriticamente alle conclusioni della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, ne ha fatto proprie le conclusioni ma argomentando consapevolmente, in maniera autonoma rispetto alla sentenza di primo grado.

Il secondo motivo di impugnazione è infondato.

Secondo questa Corte, infatti:

nel processo tributario, alla parte pubblica (nella specie, un Comune) assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, contenuto nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2 bis, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti, che sono legittimati a svolgere attività difensiva nel processo (Cass. n. 27634 del 2021; Cass. n. 23055 del 2019).

La Commissione Tributaria Regionale infatti – liquidando quattrocento Euro per le spese del secondo grado di giudizio – si è attenuta al suddetto principio in ragione del quale, quand’anche un Comune sia assistito da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite spetta la liquidazione delle spese.

Ritenuti pertanto infondati entrambi i motivi di impugnazione, il ricorso va conseguentemente rigettato; le spese seguono la soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 1.000, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2022

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