Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2254 del 03/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 2254 Anno 2014
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: OLIVIERI STEFANO

SENTENZA
sul ricorso 3388-2012 proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

2013
2114

SOCIETA’ ONGETTA SRL;
– Intimato –

Nonché da:
SOCIETA’

ONGETTA

SRL

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato

Data pubblicazione: 03/02/2014

in ROMA VIA DEI MONTI PARIOLI 48, presso lo studio
dell’avvocato MARINI GIUSEPPE, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ANDREA CODEMO giusta
delega a margine;
– controri corrente e ricorrente incidentale –

AGENZIA DELLE DOGANE;

intimato

avverso la sentenza n. 115/2011 della COMM.TRIB.REG. di
VENEZIA, depositata il 16/11/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/06/2013 dal Consigliere Dott. STEFANO
OLIVIER’:
udito per il ricorrente l’Avvocato CAPUTI che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso principale e rigetto
incidentale;
udito per il controricorrente l’Avvocato MARINI RENATO
delega Avvocato MARINI GIUSEPPE che ha chiesto il
rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto del
ricorso incidentale.

contro

Svolgimento del processo

La Commissione tributaria della regione Veneto con sentenza
16.11.2011 n. 115, ha parzialmente accolto l’appello proposto da
ONGETTA s.r.l. avverso la sentenza di prime cure che aveva dichiarato
legittimi gli avvisi di rettifica emessi dall’Ufficio di Treviso della Agenzia

dalla società sulle importazioni, effettuate negli anni 2003 e 2004, di merci
dalla Romania (al tempo Paese extracomunitario nel quale la società contribuente
aveva esportato in conto lavorazione seta grezza e filati di seta, che aveva
precedentemente importato dalla Repubblica Popolare della Cina), ed in ordine

alle quali l’Ufficio finanziario aveva disposto la revisione a posteriori degli
accertamenti, rideterminando il valore delle merci dichiarato nelle bollette
dalla società, in quanto inferiore a quello indicato dalla stessa società nelle
precedenti bollette di importazione delle materie prime dalla Cina.

I Giudici territoriali ritenevano corretto il ricorso da parte dell’Ufficio
doganale del criterio residuale di determinazione del valore della merce
previsto dall’art. 31 CDC (fondato sulla “media dei valori” della merce indicati
nelle bollette relative alle importazioni dalla Cina effettuate negli stessi anni 2003 e
2004), atteso che -per stessa ammissione del legale rapp.te della società resa ai
verbalizzanti- la merce proveniente dalla Cina presentava notevoli differenze

qualitative tra i singoli lotti delle partite di seta grezza che si riflettevano sui
diversi valori presi a comparazione, e rilevavano altresì che -non avendo la
società importatrice tenuto una regolare contabilità di magazzino che consentisse di
identificare le singole partite di merce importate ed esportate- non era stato

possibile individuare una precisa corrispondenza tra i singoli lotti di merce
importati dalla Cina ed i singoli lotti di merce esportati per le lavorazioni e
quindi nuovamente importati dalla Romania (e quindi tra il valore indicato per
1
RG n. 3388/2012
Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Co est.
Stefano
ieri

delle Dogane con i quali venivano recuperati i maggiori dazi e l’IVA dovuti

ciascuno dei lotti cinesi ed il valore indicato per ciascuno dei lotti rumeni), con la

conseguenza che l’applicazione del criterio del valore di transazione più
basso, previsto dall’art. 150 reg. esec. n. 2454/1993, avrebbe determinato
una situazione abnorme. Peraltro aggiungevano i Giudici di merito, la
stessa società contribuente in sede di procedimento di revisione aveva
ammesso che il valore indicato nelle bollette relative alle merci rumene

La CTR veneta riteneva, invece, fondata la doglianza della società in
ordine alla illegittima liquidazione della maggiore IVA alla importazione
(conseguente alla rettifica della base imponibile costituita dal valore delle merci), in

quanto era incontroverso che le merci importate dalla Romania erano
vincolante al regime di deposito fiscale IVA con la conseguenza che
“l’importatore…al momento della estrazione della merce dal deposito…è
tenuto ad emettere autofattura…che viene registrata sia tra gli acquisti che
tra le vendite dando luogo alla cosiddetta inversione contabile o reverse
charge…realizzando il principio di neutralità fiscale” e che, pertanto, non
poteva essere richiesta un maggiore imposta in quanto il contribuente, in
contrasto con la giurisprudenza comunitaria, sarebbe stato privato del
fondamentale diritto alla detrazione d’imposta. In ogni caso non vi era stato
pregiudizio fiscale in quanto, anche se la società avesse emesso la
autofattura indicando correttamente il valore della merce, l’importo relativo
all’ IVA dovuta e quello relativo all’IVA detraibile si sarebbero annullati.

Avverso la sentenza notificata il 24.11.2011 ha proposto ricorso per
cassazione la Agenzia delle Dogane con un unico complesso motivo con il
quale si denunciano vizi inerenti alla violazione e falsa applicazione di
norme di diritto.

2
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Con est.
Stefano livieri

fosse errato e non rappresentasse il valore effettivo.

• 4 ‘

Ha resistito la società con controricorso e ricorso incidentale affidato a
sette motivi.

Motivi della decisione

§ 1. Dagli atti difensivi della parti e dalla sentenza di appello, emergono i

– la società contribuente ha acquistato materie prime (seta grezza e
filati) importandole dalla Cina
– ha quindi esportato “in conto lavorazione” tali beni in Romania (al
tempo Paese non appartenente alla Comunità economica europea), ove in

parte sono stati trattati senza modifiche delle caratteristiche
merceologiche, ed in parte hanno subito trasformazioni che ne hanno
modificato la classificazione doganale
– tali prodotti sono stati, quindi, reintrodotti in Italia dalla medesima
società contribuente, che ha presentato regolare dichiarazione
doganale ai fini della importazione definitiva provvedendo alla
liquidazione ed al versamento del dazio relativo, mentre non è stata
corrisposta anche l’IVA all’importazione, avendo la società
espressamente indicato che la merce era stata introdotta in un
deposito fiscale IVA ai sensi dell’art. 50 bis DL n. 331/1993
– successivamente come riferito dalla stessa resistente (pag. 3 e 14
controricorso) la merce è stata, dapprima estratta dal deposito fiscale,

e quindi è stata ceduta ad altro operatore nazionale: al momento della
estrazione la società ha emesso autofattura “annotando un importo a
titolo IVA, pari al 20% sul valore di introduzione delle merci stesse
in deposito, sia sul registro Iva acquisti che sul registro Iva vendite”;

all’atto della cessione nazionale , la società ha poi applicato l’Iva con
3
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Co
st.
Stefan Olivieri

seguenti fatti incontestati :

.11

aliquota al 20% sull’importo del corrispettivo (indicato in fattura),
provvedendo a versare il relativo importo
– gli avvisi di rettifica dell’Ufficio doganale hanno ad oggetto la
rideterminazione della base imponibile dell’IVA dovuta alla
importazione, avendo contestato l’Ufficio che il valore della merce
dichiarato alla importazione dalla Romania appariva incongruo in

degli stessi anni dalla Cina.

§ 2. Con l’unico motivo la Agenzia delle Dogane impugna la sentenza di
appello censurandola in relazione al vizio di violazione e falsa applicazione

degli artt. 67-70 Dpr n. 633/72 e dell’art. 50 bis DL n. 331/93 conv.
in legge n. 427/93
dell’art. 14 disp. prel. c.c. e dei principi generali di interpretazione
delle leggi eccezionali.

2.1 L’argomento decisivo sul quale poggia la intera esposizione del
motivo può essere riassunta nelle seguenti proposizioni:

l’Iva alla importazione costituisce un diritto doganale (diritto di
confine) ex art. 34 Dpr n. 43/1973 TULD e deve essere accertata,

liquidata e riscossa per ogni operazione doganale (art. 70co l Dpr n.
633/72)

l’art. 50 bis comma 4 lett. b), del DL n. 331/1993 conv. in legge n.
427/1993 (la norma, nel testo vigente alla data delle operazioni oggetto di
causa, dispone: “Sono effettuate senza pagamento dell’imposta sul valore
aggiunto le seguenti operazioni: b) le operazioni di immissione in libera
pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito
IVA”) che regola la custodia, nei depositi fiscali IVA, dei beni

nazionali e comunitari che non siano destinati alla vendita al minuto
4
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Co
Stefano

st
vieri

quanto inferiore a quello della materia prima importata nel corso

A

nei locali dei depositi medesimi, ed assoggetta ad IVA (comma 6)
“l’estrazione dei beni…ai fini della loro utilizzazione o in esecuzione
di atti di commercializzazione nello Stato” effettuati dai soggetti
passivi d’imposta, configurerebbe

“una fattispecie complessa

legittimante l’agevolazione” che si perfeziona solo se vi sia stata una
regolare operazione di immissione delle merci in libera pratica ed
una altrettanto regolare introduzione delle merci nel deposito fiscale,
rappresentando tali adempimenti gli elementi costitutivi della non
imponibilità della operazione
– poiché la società ha importato in libera pratica le merci dalla
Romania fornendo dichiarazioni doganali inesatte relativamente al
valore delle merci importate -valore che è stato pertanto oggetto di
rettifica da parte dell’Ufficio doganale- deve intendersi che la fattispecie

complessa non si sia perfezionata e dunque non può trovare
applicazione la norma dell’art. 50 bis comma 4 lett. b) del decreto
legge indicato, essendo tenuta la società importatrice a versare l’IVA
alla importazione.

§ 3. L’argomentazione svolta a sostegno del motivo, con la quale si viene
a confutare specificamente la tesi giuridica, accolta nella sentenza
impugnata, secondo cui la introduzione delle merci importate nel deposito
fiscale IVA imporrebbe alla società di emettere soltanto una
autofatturazione (secondo il sistema cd. di “reverse charge”) senza
versamento dell’IVA, si incentra pertanto nella critica della interpretazione
che i Giudici territoriali hanno fornito della norma sui depositi fiscali IVA,
e tanto è sufficiente a ritenere manifestamente destituita di pregio la
eccezione di inammissibilità del ricorso principale proposto dalla società
resistente fondata su una soggettiva, ipotetica ed improbabile, diversa
ricostruzione del motivo di impugnazione dedotto dalla Agenzia fiscale,
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RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Co est.
Stefand Olivieri

”sub specie” di asserito vizio motivazionale che, in quanto tale, avrebbe
dovuto essere fatto valere con l’appropriato mezzo di censura (art. 360co 1
n. 5 c.p.c.).
Del pari destituita di fondamento è la eccezione di inammissibilità del
ricorso principale, proposta dalla società resistente, in relazione ad una
ipotizzata “carenza di interesse” della Agenzia delle Dogane: è appena il

soccombente in grado di appello sul punto concernente la pretesa tributaria
avente ad oggetto il diritto di confine (Iva cd. doganale) e tanto basta a
ravvisare l’interesse alla impugnazione ex art. 100 c.p.c. della parte
processuale che intenda modificare la statuizione a sé sfavorevole. A ben
vedere, peraltro, la eccezione pregiudiziale si palesa del tutto impropria, in
quanto gli argomenti a sostegno della stessa concernono piuttosto il merito
della controversia, venendo la parte resistente a desumere -impropriamentela carenza di interesse della ricorrente, dalla soluzione interpretativa della
norma in questione, sostenendo che la auto-fatturazione verrebbe ad attuare
il principio di neutralità fiscale tutte le volte in cui -come nella speciedifetti un cedente/prestatore di servizi soggetto passivo di IVA, principio
che verrebbe inammissibilmente ad essere alterato laddove si consentisse
allo Stato membro di assoggettare il cessionario/committente ad imposta
impedendogli di portare corrispondentemente in detrazione l’IVA assolta.

§ 4. Tanto premesso, il motivo di ricorso principale è fondato.

4.1 Occorre premettere che il “deposito doganale” in cui vengono
introdotte le merci extracomunitarie rientra tra i cd. “regimi economici
doganali sospensivi” ex art. 4 n. 16 lett. c), art. 84 paragr. 1, lett. a) e b) ,

artt. 98 ss del reg. CEE n. 2913/1992 (CDC). L’effetto della introduzione
delle “merce non comunitaria” nel deposito doganale è quello di sottrarla,
6
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Co est.
Stefano livieri

caso di rilevare al riguardo come l’Ufficio doganale sia risultato

4

finché permane il vincolo di quel regime, al “dazio alla importazione” ed
alle altre misure di politica commerciale, mentre la introduzione nel
deposito doganale di “merce comunitaria” può costituire eventualmente secondo specifiche disposizioni normative-

condizione necessaria per

beneficiare di misure agevolative connesse alla “esportazione” della merci.

4.2 In relazione agli “altri diritti doganali” che possono essere riscossi
in dipendenza delle operazioni di importazione, tra i quali debbono
ricomprendersi anche “le altre imposizioni alla importazione” (cfr. art. 2
paragr. 2 Sesta direttiva n. 77/988/CEE del 17.5.1977 “sono soggette alla imposta
sul valore aggiunto…le importazioni di beni”; artt. 1 e 67 ss. Dpr n. 633/1972; art.
34 Dpr n. 43/1973 TULD; art. 3 Dlgs n. 374/1990), occorre rilevare che i

singoli Stati membri sono autorizzati dall’art. 16, paragr. 1, della Sesta
direttiva a non assoggettare ad IVA alcune operazioni (a condizione che “non
mirino ad una utilizzazione o consumo finali e che l’importo della imposta sul valore
aggiunto percepito al momento della immissione al consumo corrisponda
all’importo della tassa che avrebbe dovuto essere percepito se ognuna di tali
operazioni fosse stata tassata alla importazione o all’interno del paese”), tra cui in

particolare:

“le importazioni di beni destinati ad essere immessi in un

regime di deposito diverso da quello doganale” (Parte A.), nonché “le

cessioni di beni” destinati ad essere immessi in depositi provvisori in
dogana, o in zone o depositi franchi, o vincolati ad un regime di deposito
doganale o di perfezionamento attivo, o ad essere incorporati in piattaforme
ubicate nel mare territoriale, o destinati ad essere immessi in un regime di
deposito diverso a quello doganale (Parte B. lett. a, 6, c, d, e).
“merce importata”

Pertanto l’assoggettamento della

(viene definita

“importazione”, dall’art. 7 paragr. 1 Sesta direttiva, l’ingresso nel territorio della
Comunità di un bene non rispondente alle condizioni di cui agli artt. 9 e 10 del
Trattato CE, ovvero di un bene relativo al Trattato CECA non in libera pratica, o
ancora di un bene diverso dai precedenti proveniente da un territorio terzo) al

7
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tic. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

C s. est.
Stef o Olivieri

I

a
.

vincolo di uno dei regimi previsti dall’art. 16 paragr. 1, Parte B, lett. a, b,
c, d, della Sesta direttiva, impedisce che l’ingresso del bene nel territorio

della Comunità perfezioni la fattispecie impositiva ai fini IVA, dato che
questa viene a realizzarsi soltanto al momento in cui cesserà il regime al
quale la merce è stata assoggettata. E’ quanto si verifica al momento della
“estrazione” (della materiale uscita dall’area recintata) della merce custodita nel
“la

importazione è effettuata nello Stato membro nel cui territorio il bene
stesso è svincolato da tali regimi” (art. 7 paragr. 3, cui rinvia l’art. 10 paragr.
3 —relativamente al fatto generatore ed alla esigibilità della imposta-, della Sesta
direttiva).

4.3 La merce importata nel territorio doganale della UE (immessa in libera
pratica, e divenuta merce comunitaria con la liquidazione ed il versamento dei dazi

doganali) ed immediatamente introdotta nel “deposito fiscale ai fini IVA”
(che deve essere qualificato come “deposito non doganale autorizzato”, ed al quale,
pertanto, non è applicabile la disciplina del regime sospensivo del dazio prevista
invece per i “depositi doganali” -i quali assolvono invece anche alla funzione di
depositi fiscali-), consente alla ditta importatrice (od al diverso soggetto che ne
ha acquistato la proprietà potendo la merce in custodia essere oggetto di successive
cessioni senza uscire dal deposito) di differire al momento della estrazione

della merce dal deposito (idest: al momento in cui viene a cessare il regime di
deposito fiscale) l’insorgenza della obbligazione avente ad oggetto il

versamento della imposta sul valore aggiunto che deve essere applicata
sulle “operazioni di immissione in libera pratica di beni non comunitari”, e
che nella specie erano state invece effettuate al momento della
importazione “senza pagamento” dell’IVA, in virtù della speciale norma
tributaria agevolativa sul regime dei depositi fiscali di cui all’art. 50 bis
co4 lett. b) del DL n. 331/1993 (“Sono effettuate senza pagamento

dell’imposta sul valore aggiunto le seguenti operazioni: b)le operazioni
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ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

est.
C
Stefano livieri

deposito fiscale IVA: con la estrazione della merce, infatti,

di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere
introdotti in un deposito IVA”).

4.4

Occorre premettere al riguardo che l’art. 1 del Dpr n. 633/1972

individua tra le operazioni imponibili, accanto alla cessione di beni ed alla
erogazione di servizi, le “importazioni da chiunque effettuate” (cfr. arti 5,
L’ “IVA alla importazione” deve, dunque, essere tenuta distinta dalla
“IVA ed. interna”:

ed infatti diverso è il fatto generatore della

obbligazione; diverso è il calcolo della base imponibile (art. 67); diverso è
il sistema di accertamento, liquidazione e riscossione (art. 70 IVA); diversa
è l’autorità competente all’accertamento (Ag. Dogane; Ag. Entrate).

4.5 La disciplina dei depositi IVA ha subito diverse modificazioni che
possono essere sinteticamente riassunte come segue. Anteriormente alla
direttiva CEE n. 7/95 del 10.4.1995, modificativa della VI dir. CEE n.
77/388 del 17.5.1077 (la dir. n.7/95 ha integrato l’art. 28 quater -collocato nel
titolo XVI bis della Sesta direttiva relativo al regime transitorio degli scambi
intracomunitari-, modificando l’art. 16 della VI direttiva n. 77/388 -che autorizzava
gli Stati membri a non assoggettare ad IVA le operazioni di importazioni di beni da
Paesi extrauropei destinati a depositi fiscali non doganali autorizzati- ed estendendo
tale disciplina anche ai beni derivanti da scambi intracomunitari immessi nei predetti
depositi fiscali), costituivano “importazioni” soggette ad IVA (diritto di
confine) anche le operazioni di immissione in libera pratica di beni da

introdurre in un “deposito non doganale autorizzato” (art. 67co1 lett. a), Dpr
n. 633/72), nonchè le operazioni di estrazione di tali beni dal deposito

predetto per la immissione al consumo (art. 67co1 lett. e), Dpr n. 633/72), con
la differenza che -nel primo caso- era previsto un regime di “sospensione
d’imposta” (IVA).
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RG n. 3388/2012
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C
t.
Stefano livieri

6, 7, 10 della Sesta direttiva n. 77/388 del 17.5.1977).

Successivamente alle modifiche disposte dalla direttiva comunitaria n.
7/95, la disciplina ai fini IVA della immissione ed estrazione dei “beni
importati” (dai Paesi extraeuropei e dagli altri Stati membri) nei depositi
non doganali autorizzati continua a trovare fondamento nella norma
comunitaria dell’art. 16 della VI direttiva n. 77/388 (estesa anche gli scambi
intracomunitari dall’art. 28 quater) e, per quanto concerne l’ordinamento

legge 29.10.1993 n. 427, norma inserita dall’art. 1 della legge 18.2.1997 n.
28 (che ha disposto anche la modifica dell’art. 67co1 lett. a), e soppresso la lett. e)
del medesimo articolo del Dpr n. 633/72 IVA) con la quale è stata data

attuazione alla direttiva n.7/95 del 10.4.1995 modificativa della VI dir.
77/388 del 17.5.1077.

4.6 La norma della Sesta direttiva comunitaria ha autorizzato gli Stati
membri ad adottare misure volte a “non sottoporre all’imposta sul valore
aggiunto”,

tra l’altro,

“le importazioni di beni

[comunitari ed

extracomunitari] destinati ad essere immessi in un regime di deposito
diverso da quello doganale” (art. 16 paragr. 1, parte A) “a condizione che
non mirino ad una utilizzazione e/o ad un consumo finali e che l’importo
della imposta sul valore aggiunto percepito al momento dell’immissione in

consumo corrisponda all’importo della tassa che avrebbe dovuto essere
percepito se ognuna di tali operazioni fosse stata tassata alla importazione
o all’interno del paese” (art. 16 paragr. 1).
La norma statale di attuazione (legge n. 28/1997 introduttiva dell’art. 50 bis
DL n. 331/93), ha quindi disposto che vengono effettuati “senza pagamento

dell’imposta sul valore aggiunto”, tra l’altro, “gli acquisti intracomunitari
di beni, eseguiti mediante introduzione in un deposito IVA” (art. 50 bis
comma 4 lett. a) e “le operazioni di immissione in libera pratica di beni non

comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA” (art. 50 bis
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Coest.
ivieri
Stefan

interno, nelle disposizioni dell’art. 50 bis del DL 30.8.1993 n. 331 conv. in

comma 4 lett. b: dal combinato disposto con il precedente comma 1, che consente la

custodia nei depositi IVA soltanto dei “beni nazionali e comunitari”, ne deriva che i
beni di importazione extracomunitaria, per essere immessi in un deposito IVA,
debbono essere stati dichiarati in dogana alla importazione per la “immissione in
libera pratica” in modo da acquistare previamente la posizione doganale di “beni
comunitari” ai sensi dell’art. 79 reg. CEE n. 2913/1992 CDC), prevedendo inoltre

o in esecuzione di atti di commercializzazione nello Stato può essere
effettuata solo da soggetti passivi d’imposta agli effetti dell’IVA e comporta
il pagamento della imposta” (art. 50 bis comma 6, primo periodo), e che la
imposta, calcolata sulla “base imponibile.., costituita dal corrispettivo o
valore relativo alla operazione non assoggettata all’imposta per effetto
della introduzione” (ovvero al maggior valore determinato, in caso di successive
cessioni, dal corrispettivo o valore dell’ultima di tali cessioni, incrementato da
eventuali prestazioni di servizi rese su detti beni: art. 50 bis comma 6, secondo
periodo)

“è dovuta dal soggetto che procede alla estrazione, a norma

dell’articolo 17, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica
26 ottobre 1972 n. 633 e successive modificazioni…”, ovvero dal soggetto
che ha successivamente acquistato i beni in custodia,

“mediante

integrazione della relativa fattura” -con la indicazione della imposta e della
eventuale variazioni di valore della merce- e doppia annotazione della fattura

nei registri delle vendite e degli acquisti (art. 50 bis comma 6, ultima parte).
In relazione al predetto intervento normativo è stato correttamente
osservato dalla dottrina, che il regime fiscale dei beni importati ed immessi
in un deposito IVA, impropriamente configurato come “sospensione
d’imposta” dall’art. 67 Dpr n. 633/72, è stato inquadrato più esattamente
nello schema della “imponibilità differita della operazione”

(cfr.

analogamente circolare n. 16/D Agenzia delle Dogane in data 26.4.2006 tit. 3),

nel senso che, se con l’accettazione della dichiarazione doganale della
merce non comunitaria, presentata dalla ditta importatrice ai fini della
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C
Stefan

est.
livieri

che “l’estrazione dei beni da un deposito IVA ai fini della loro utilizzazione

”immissione in libera pratica” (con il conseguente acquisto per i beni importati
della posizione doganale di “merci comunitarie”: artt. 48, 59, 79 del reg. CEE n.
2913/92, CDC), si realizza compiutamente la fattispecie tributaria-doganale

della “importazione” ovvero della introduzione dei beni destinati al
consumo nel territorio doganale della Comunità (art. 201 paragr. 1, lett. a)
CDC; art. 36 Dpr n. 43/1973 TULD), con conseguente insorgenza della

dazio, tuttavia non insorge contestualmente anche l’obbligo di pagamento
dell’IVA all’importazione (diritto di confine), in quanto, in considerazione
dello specifico vincolo di destinazione della merce in un “deposito non
doganale autorizzato” (ex art. 16 dir. CEE n. 77/388 ed art. 50 bis DL n.
331/93) che deve risultare dalla stessa dichiarazione alla importazione

accompagnata dal documento comprovante la effettiva materiale
introduzione della merce nello spazio fisico predisposto, rimane
temporaneamente impedita la realizzazione del “presupposto d’imposta” da
cui insorge la obbligazione tributaria avente ad oggetto l’IVA alla
importazione ricompresa tra i “diritti di confine” (tali sono definiti, ex artt. 34
TULD e 3co2 Dlgs n. 374/1990, “i dazi, i prelievi e le altre imposizioni

all’importazione ed all’esportazione previsti dai regolamenti comunitari”) e che si

distingue per l’appunto dall’IVA cd. “interna” (il cui presupposto è invece
costituito dalle cessioni a titolo oneroso di beni e dalla erogazione verso corrispettivo
di prestazioni di servizi, effettuati nell’esercizio di imprese, arti o professioni: artt. 1,
2 e 3 Dpr n. 633/72: la oggettiva differenza dei fatti generatori dell’

“IVA

all’importazione” e dell’ “IVA cd. interna”, è individuata in modo inequivoco,
rispettivamente, dall’art. 10, paragr. 2 e paragr. 3 della VI direttiva n. 77/388), in

quanto la obbligazione viene a perfezionarsi soltanto al momento della
materiale “estrazione” della merce dal deposito IVA: le norme comunitarie
e nazionali, infatti, considerano espressamente la operazione di estrazione
della merce come “fatto generatore d’imposta” in conseguenza del quale il
“soggetto estrattore” è

costituito come soggetto passivo obbligato al
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ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Con est.
Stefano livieri

obbligazione doganale avente ad oggetto la liquidazione e la riscossione del

versamento dell’IVA alla importazione, indipendentemente dalle modalità
del successivo utilizzo diretto o commerciale, che verrà fatto della merce
estratta, e dunque e indipendentemente dalle eventuali successive
operazioni di cessione dei beni (interna -imponibile-; intracomunitaria -non
imponibile-; alla esportazione verso Paesi terzi -non imponibile-) che tale
soggetto eventualmente andrà ad effettuare -ove non intenda utilizzare

saranno quindi regolate ai fini dell’IVA interna secondo la pertinente disciplina
comunitaria e nazionale).

Ne segue che l’affermazione contenuta nella Circolare del 10/6/1998 n.
145 – Min. Finanze – Dip. Entrate Aff. Giuridici Serv. VII (recante : Legge
18 febbraio 1997, n. 28. Norme di recepimento della Direttiva 95/7/CE concernente
semplificazioni in materia di imposta sul valore aggiunto sui traffici internazionali e
rnodifìche alla disciplina del plafond.) secondo cui per effetto delle modifiche

all’art. 67 Dpr n. 633/72 -introdotte dall’art. 1, comma 1, lett. b), della Legge
n. 28 del 1997- “l’immissione in libera pratica di beni destinati ad essere

introdotti in un deposito fiscale e’ da considerarsi importazione, non piu’
in sospensione d’imposta, bensi’ non soggetta all’LV.A.

sulla base di una

dichiarazione dell’importatore circa la destinazione del bene comprovata
anche dalla restituzione di copia del documento doganale di importazione
munito dell’attestazione, sottoscritta dal depositario, di avvenuta presa in
carico delle merci nel registro previsto per i depositi IVA dall’art. 50-bis,
comma 3, del D.L. n. 331 del 1993”, in quanto da ritenersi meramente volta
a chiarire la portata delle disposizioni legislative interpretate, non può
essere intesa

-come sembrerebbe ipotizzare la parte resistente-

come

riconoscimento della sostituzione al previgente regime di sospensione
d’imposta di un nuovo regime fiscale di esclusione o non imponibilità od
esenzione della operazione di importazione delle merci extracomunitarie
(introdotte nel deposito fiscale IVA) dalla imposta sul valore aggiunto-diritto
13
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Con st.
Stefano 3ivieri

personalmente la merce- dopo la estrazione dal deposito fiscale (tali operazioni

di confine, limitandosi piuttosto la circolare a reiterare la medesima

espressione utilizzata nell’art. 16 paragr. 1, della VI direttiva CEE n.
77/388 del 17.5.1977, e riprodotta nell’art. 1 comma 2 lett. i) della legge n.
28/1997, con la quale viene ad essere ridefinita la fattispecie tributaria
dell’IVA all’importazione, in caso di introduzione delle merci nel deposito
fiscale, secondo l’indicato schema del mero

“differimento”

della

estrazione dei beni dal deposito fiscale.

4.5 Non è dubbio quindi che, anche dopo la introduzione dell’art. 50 bis
DL n. 331/1993, l’IVA alla importazione debba essere liquidata e pagata,
laddove si verifichi il presupposto della estrazione dal deposito fiscale
(come, peraltro, espressamente prescrive l’art. 50 bis comma 6 DL n. 331/93 :

“l’estrazione dei beni… .comporta il pagamento dell’IVA”).

4.6 Appare, pertanto, evidente l’errore prospettico in cui in cui è caduta
la CTR, e nel quale insistono anche le parti in causa negli scritti difensivi,
laddove si intende estendere la disciplina della detrazione (mediante il
meccanismo della inversione contabile) propria esclusivamente dell’IVAinterna (contenuta nella seconda ed ultima parte dell’art. 50 bis comma 6) anche
all’IVA-diritto di confine che invece deve essere pagata dal soggetto che
estrae la merce e non può essere confusa con le successive operazioni di
cessione della merce estratta, risolvendosi l’adempimento dell’obbligo di
“autofatturazione” ex art. 17co3 Dpr n. 633/72 -previsto dalla norma nel caso
in cui, durante il periodo di giacenza della merce in custodia, non siano state
compiute operazioni di cessione dei beni senza estrazione: in caso contrario l’ultimo
cessionario dovrà provvedere ad integrare la fattura ricevuta mediante indicazione
della imposta ed eventuale variazione dell’importo fatturato al momento della
precedente cessione, ed annotazione sul registro acquisti e vendite-

in un

14
RG n. 3388/2012
tic. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Con est.
Stefano n/ieri

realizzazione del presupposto impositivo al momento della materiale

meccanismo idoneo a realizzare il principio di neutralità della imposta
(interna), realizzando la autofatturazione “una operazione neutra di
compensazione dell’Iva nazionale a debito con quella a credito” (cfr. Corte
cass. V sez. 19.5.2010 nn. 12262 — 12267; id. V sez. 15.5.2013 n. 11642),

impregiudicata l’applicazione dell’IVA all’importazione sulla merce

4.7 Non può ritenersi, peraltro, corretta la tesi sostenuta dalla Agenzia
fiscale secondo cui -con espressione invero sibillina- “qualora l’operatore
presenti a corredo della dichiarazione doganale false dichiarazioni del
valore della merce non può operare l’ipotesi agevolativa nel suo
complesso, ossia l’esonero dalla corresponsione del dazio e dell’Iva
afferente” in quanto l’imposta relativa “alla operazione di importazione di
merce destinata alla introduzione in deposito Iva non è dovuta a
condizione che vi sia una regolare operazione di immissione in libera
pratica ed un altrettanto regolare introduzione della merce nel deposito
fiscale” (ricorso pag. 7): ed infatti la agevolazione di cui all’art. 50 bis
comma 4, DL n. 331/1993 non comporta affatto l’esonero dalla
obbligazione daziaria (nella specie la società ha presentato la merce alla dogana e
liquidato il dazio), ma soltanto un differimento della insorgenza della

obbligazione concernente il diritto di confine (Iva alla importazione), e tale
effetto agevolativo rimane impedito, alla stregua delle norme comunitarie e
nazionali esaminate, esclusivamente nel caso in cui i beni importati non
siano materialmente ed effettivamente introdotti nello spazio del deposito
fiscale, ovvero nel caso in cui l’utilizzo del regime del deposito fiscale
venga ad inserirsi strumentalmente nella realizzazione di uno schema
fraudolento diretto alla evasione d’imposta (ipotesi che non risulta neppure
prospettata dall’Ufficio nel corso dei precedenti gradi di merito), ma non anche nel

caso di accertata difformità del valore della merce dichiarato alla
15
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Co est.
Stefano livieri

estratta dal deposito fiscale.

importazione. In proposito vale rilevare che la dichiarazione doganale di
importazione accettata dalla autorità doganale, può essere su iniziativa dello
stesso dichiarante, soggetta a rettifica, ove risultino errate talune indicazioni
in essa contenute -sempre che tale modifica non si risolva nella indicazione di
“merci diverse” da quelle che ne costituivano l’oggetto iniziale- (art. 65 reg. CEE

n. 2913/1992 CDC, applicabile ratione temporis), e può essere soggetta

data prova della erroneità del regime doganale indicato, o di fatti
sopravvenuti che rendano non più giustificato il vincolo originariamente
indicato nella dichiarazione (art. 66 CDC). Orbene il controllo a posteriori
della dichiarazione divenuta definitiva, è volto a verificare se il regime
doganale prescelto e la liquidazione dei dazi e della altre obbligazioni
accessorie sia stato applicato in base ad elementi della dichiarazione
“inesatti od incompleti”, tanto al fine di regolarizzare la situazione della
merce (art. 78 CDC) : dalla disciplina di cui agli art. 220 e 221 reg. n.
2913/1992 CDC risulta che nel caso in cui le predette “inesattezze od
irregolarità” incidano sulla contabilizzazione del dazio in misura inferiore
a quella dovuta, l’autorità doganale non procede ad invalidazione della
dichiarazione ma alla liquidazione ed alla riscossione del maggior dazio
accertato. La revisione a posteriori dell’accertamento doganale divenuto
definitivo comporta, infatti, la rettifica dell’elemento inesatto o incompleto
contenuto nella dichiarazione doganale e la liquidazione dei maggiori dazi e
degli altri diritti doganali (tra cui anche l’IVA alla importazione: come è dato
desumere dall’art. 70col Dpr n. 633/1972 secondo cui “si applicano per quanto
concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai
diritti di confine”), ma non elimina la dichiarazione di importazione dalla

realtà giuridica né la rende inefficace quanto alla indicazione, in essa
contenuta, del regime doganale (e nella specie del regime del deposito
fiscale) cui si intendono vincolare le merci importate

(ed infatti la

16
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

C4is. est.
Stefb Olivieri

anche ad invalidazione (salvo che le merci siano state già svincolate) ove venga

dichiarazione doganale alla importazione od alla esportazione che risulti incompleta
degli elementi essenziali richiesti -tra cui il valore delle merci: art. 4 co2 lett. e) Dlgs
n. 374/1990; art. 178 reg. esec. n. 2454/93 “dichiarazione di valore”- legittima

l’Ufficio doganale al rifiuto della accettazione della dichiarazione stessa -salvo
ricorrano particolari circostanze giustificative: art. 5 Dlgs n. 374/990- e, nel caso in
cui i dati indicati nella dichiarazione doganale risultino non corrispondenti a quelli

procedere alla revisione a posteriori: artt. 78 e 220 paragr. 1 CDC; art. 11 Dlgs n.
374/1990).

Ne segue che la difformità del valore della merce importata, indicato
nella dichiarazione della società, da quello in concreto accertato
dall’Ufficio doganale, comporterà la emissione dell’avviso di rettifica ai
fini della corretta liquidazione del dazio e dell’Iva all’importazione, nonchè
la irrogazione delle relative sanzioni pecuniarie (cfr. art. 303 Dpr n. 43/1973
TULD che sanziona come illecito amministrativo le difformità dei dati indicati nella

dichiarazione doganale in ordine alla “qualità”, “quantità” e “valore” delle merci),

ma non spiega alcun effetto preclusivo in ordine alla fruizione della
agevolazione in questione, nè determina la sottrazione della merce al
vincolo del regime fiscale di differimento dell’imposta previsto in caso di
immissione dei beni nel deposito IVA.
La critica svolta dalla Agenzia fiscale ricorrente alla sentenza di appello
deve, invece, ritenersi fondata, secondo quanto sopra considerato, nella
parte in cui censura l’errata applicazione da parte dei Giudici territoriali del
meccanismo del cd. “reverse charge” all’Iva-diritto di confine, tale per cui
la emissione della autofattura da parte della società contribuente, al
momento della estrazione del prodotto dal deposito fiscale, esonererebbe
quest’ultima dal versamento dell’ “Iva all’importazione” -essendo quindi
ininfluente su detta imposta la revisione della dichiarazione doganale-, in quanto

secondo i Giudici di merito si tratterebbe di mera operazione contabile “a
risultato zero” che priverebbe di qualsiasi rilevanza la erronea indicazione
17
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Con
t.
Stefano tvieri

effettivamente riscontrabili nella operazione concernente le merci, l’Ufficio bene può

del valore della merce alla importazione: la ontologica distinzione tra l’Iva
interna e l’Iva alla importazione esclude, come si è visto, che con
l’assolvimento dell’

“Iva interna”

mediante autofatturazione possa

operarsi la compensazione dell’ “Iva alla importazione” in quanto, come è
stato rilevato, “il sistema di accertamento dei due tributi è diverso…1’Iva
alla importazione è diritto di confine che deve essere accertato e riscosso

parte deve essere riversata alla Comunità, mentre l’Iva nazionale viene
autoliquidata e versata in relazione alla massa di operazioni attive passive
poste in essere dal contribuente ed inserite nella dichiarazione periodica”
(cfr. Corte cass. V sez. n. 12263/2010 cit.).

4.8 Il fondamento della legittimità del potere di revisione della
dichiarazione doganale e di accertamento del maggior dazio e dell’IVAdiritto di confine, esercitato nella specie dalla Amministrazione doganale,
va, pertanto, individuato: a) nella esistenza delle condizioni che, ai sensi
dell’art. 220 CDC, determinano l’attivazione del controllo a posteriori della
dichiarazione doganale divenuta definitiva (e dunque nella rettifica del valore
della merce importata che costituisce la base per la liquidazione del dazio e degli altri
diritti di confine), b) nella realizzazione -differita al momento della

estrazione dei beni dal deposito fiscale- del presupposto impositivo, al
verificarsi del quale insorge e diviene esigibile la obbligazione del soggetto
passivo avente ad oggetto il pagamento dell’Iva-diritto di confine, ai sensi
dell’art. 50 bis comma 6 primo periodo DL n. 331/1993.
Se, infatti, l’IVA alla importazione, come dispone espressamente la
norma in questione, deve essere corrisposta al momento della estrazione del
prodotto, e se “la base imponibile è costituita dal corrispettivo o valore
relativo alla operazione non assoggettata all’imposta per effetto della
introduzione” della merce nel deposito fiscale (art. 50 bis comma 6 DL
18
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Con est.
Stefano ivieri

nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo, e di cui una quota

331/1993: “…ovvero, qualora successivamente i beni abbiano formato oggetto di
una o più cessioni, dal corrispettivo o valore relativo all’ultima di tali cessioni, in
ogni caso aumentato, se non già compreso, dell’importo relativo alle eventuali
prestazioni di servizi delle quali i beni stessi abbiano formato oggetto durante la
giacenza fino al momento dell’estrazione”),

ne

segue che la erronea

determinazione del valore della merce, incidendo sulla base imponibile,

liquidazione del “diritto di confine”, essendo del tutto irrilevante che la
società estrattrice si sia avvalsa del meccanismo del “reverse charge”
previsto dalla medesima norma per la compensazione del’Iva interna, con
la conseguenza che deve ritenersi legittima la emissione dell’avviso in
rettifica avente ad oggetto il recupero del dazio e dei “diritti di confine”
effettivamente dovuti.
Inconferente è dunque il richiamo della società resistente alla
giurisprudenza comunitaria in tema di diritto del soggetto passivo alla
detrazione della imposta, che esclude la perdita del diritto in questione
anche in presenza di violazioni di obblighi formali purchè siano state
rispettate le condizioni sostanziali cui le norme comunitarie ricollegano
l’applicazione del principio di neutralità dell’IVA (cfr. Corte giustizia
8.5.2008, causa riunite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade s.p.a., seguita da numerose

altre), venendo ad essere poste a confronto fattispecie del tutto diverse.

Nella presente controversia, infatti : 1-non è in contestazione alcuna
violazione formale in quanto gli obblighi attinenti, tanto alle formalità
doganali ed alla introduzione delle merce nel deposito, quanto gli obblighi
concernenti la estrazione del prodotto, la emissione della autofattura e la
annotazione nei registri delle vendite e degli acquisti, risultano tutti
osservati; 2-non vi è alcuna questione in ordine al diritto della società a
portare in detrazione l’ “Iva interna” mediante il meccanismo del “reverse
charge”, concernendo la controversia esclusivamente la corretta
19
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Co est.
Stef o livieri

non è affatto indifferente -come vorrebbe ritenere la società resistente- alla

liquidazione dei dazi e dei diritti di confine (Iva doganale) alla
importazione.

4.9 Il ricorso principale deve quindi trovare accoglimento, avendo
accertato la CTR che la società contribuente al momento della importazione
aveva indicato nella dichiarazione doganale un valore della merce inferiore
non corrispondente a quello

effettivamente verificato, ed avendo ritenuto i Giudici di merito corretto il
procedimento seguito dall’Ufficio doganale per rideterminare l’esatto
valore dei beni sul quale era stato riliquidato il dazio e liquidata l’IVA
all’importazione.

§ 5. Occorre quindi esaminare i motivi del ricorso incidentale
condizionato proposto dalla società.

5.1 Con il primo motivo la società denuncia il vizio logico di
motivazione, non avendo fornito la CTR le giustificazioni in base alle quali
avrebbe ritenuto impossibile applicare il criterio del valore delle transazioni
per le merci identiche o similari di cui all’art. 30 paragr. 2 lett. a) CDC.

5.2 Il motivo è infondato.

5.3

La CTR ha ritenuto che il criterio sussidiario di cui all’art. 30

paragr. 2 lett. a) CDC, fosse inapplicabile nella specie in quanto, in difetto
di una contabilità di magazzino che consentisse di “tracciare” i singoli lotti
delle merci importate dalla Cina ed i lotti delle merci esportate in Romania
e reimportate con immissione nel deposito fiscale, non era possibile
riconoscere una univoca corrispondenza tra le predette partite di merce (e
20
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Co J. est.
Stefarto Olivieri

-riportato anche nella “autofatturazione”-

quindi tra i rispettivi valori): la stessa ditta importatrice aveva ammesso che
la seta grezza acquistata in Cina “presentava tipologie qualitative molto
differenti tra un loto e l’altro, con ovvia differenziazione dei prezzi pagati”
(sent. CTR pag. 10). Conseguentemente motiva la sentenza di appello,

l’applicazione del criterio basato sui “valori più bassi delle transazioni alla
importazione” —invocato dalla società ai sensi dell’art. 30 paragr. 2 lett. a) CDC e
avrebbe dato luogo ad una

soluzione abnorme in quanto il riferimento al “prezzo più basso” tra i
prodotti importati dalla Cina, avrebbe determinato un risultato del tutto
inadeguato e non rappresentativo dell’effettivo valore di merci
caratterizzate da “livelli qualitativi molto differenti”, costituendo pertanto
un “ragionevole mezzo di adeguamento” alla situazione concreta dei criteri
normativi di determinazione del valore, il metodo adottato dall’Ufficio
doganale fondato sulla media dei prezzi delle merci importate dalla Cina.

5.4 Sul punto la motivazione della CTR appare adeguata a sorreggere il
“decisum”, limitandosi la ricorrente incidentale soltanto a contrapporre
generiche affermazioni, inidonee ad inficiare la coerenza logica della
motivazione.

5.5 La critica della società non investe, infatti le valutazioni in fatto
compiute dai Giudici di merito e poste a fondamento del decisum da
individuarsi:

nella circostanza, indicata nei PPVVCC del 6.5.2005, 16.5.2005 e
24.6.2005 (e riportata anche nel controricorso a pag. 23), secondo cui la
mancanza di una corretta documentazione contabile e di magazzino
della società non consentiva di verificare “per singola partita” la
corrispondenza tra la merce importata dalla Cina e quella esportata e
21
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA sr.!.

Con est.
Stefano tvieri

dell’art. 150 paragr. 3 reg. esec. N. 2454/93-

reimportata dalla Romania “in quanto la Società Ongetta

opera

la sistematica identificazione per lotti della merce solo nella fase
dell’affidamento dell’incarico all’esecuzione delle pattuite
lavorazioni”;
nell’accertamento compiuto dal Giudice di primo grado che aveva
rilevato, al riguardo, che in giudizio non era stata prodotta “alcuna

idonea a “giustificare i prezzi indicati sulle bollette di esportazione”
(controricorso pag. 6), e comunque dimostrativa della “erroneità dei
valori medi utilizzati dalle Dogane” (cfr. sentenza CTR, pag. 2-3);
nello specifico rilievo secondo cui non avrebbe potuto accertarsi
alcuna corrispondenza tra le merci importate dalla Cina e quelle
esportate per la lavorazione e reimportate dalla Romania in quanto,
per stessa ammissione della società, i singoli lotti importati dalla
Cina comprendevano “livelli qualitativi di merci molto differenti fra
loro” (cfr. sent. CTR motiv. pag. 10), con la conseguenza che nella
specie difettavo i presupposti indispensabili per la applicazione del
criterio sussidiario del valore di transazione di merci identiche o
similari di cui all’art. 30 paragr. 2 lett. a) e lett. b) CDC, non
essendovi alcuna certezza sulla “identità” delle merci.

5.6 La società si è limitata, in proposito, a sostenere che detta
corrispondenza “seppur difficile” sarebbe stata possibile in base alla
documentazione contabile, senza tuttavia chiarire alla stregua di quali
specifiche prove documentali, ritualmente prodotte in giudizio, risultava
possibile seguire un diverso “modus operandi” rispetto a quello tenuto
dall’Ufficio, nonché si è limitata ad evidenziare la imprecisione del criterio
basato sulla media aritmetica dei prezzi della merce importata, senza
tuttavia fornire al riguardo alcun elemento circostanziale idoneo ad
22
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Con est.
Stefano livieri

documentazione o prova” -fatture o altri documenti commerciali-

individuare in concreto, tanto per i prodotti importati dalla Cina che per
quelli esportati in Romania e quindi reimportati, i diversi valori che
avrebbero dovuto essere rilevati par ciascuna delle partite di merce in
relazione alla differenti peculiarità qualitative, e dunque idoneo ad
evidenziare errori commessi dall’Ufficio nella applicazione del metodo

5.7

Deve dunque ritenersi immune dalla critica prospettata la

motivazione della sentenza di appello laddove sulla base dei predetti
accertamenti in fatto ha ritenuto che non era possibile in concreto verificare
a quali lotti di seta greggia importata dalla Cina (contraddistinti da diversi
prezzi di importazione) corrispondessero i diversi lotti di seta greggia
esportati in Romania (per eseguire le diverse lavorazioni) e quindi i diversi
lotti di seta greggia e di filati di seta (re)importati dalla Romania dopo le
lavorazioni, e che , risultando impedito un confronto tra “merci identiche”,
veniva meno lo stesso presupposto normativo di applicabilità del criterio di
cui all’art. 30 paragr. 2, lett. a) CDC, con conseguente legittimità del
ricorso da parte dell’Ufficio doganale -per la rideterminazione del valore
delle merci importate dalla Romania- al “metodo ragionevole” di cui all’art.
31 CDC fondato sul calcolo della media dei valori di transazione risultanti
dalle bollette di importazione di seta grezza dalla Cina.

5.8 Di non agevole comprensione è il secondo motivo di ricorso
incidentale con il quale si denuncia ancora vizio logico della motivazione in
quanto la CTR avrebbe utilizzato impropriamente lo schema normativo
della prova presuntiva fondando la conseguenza logica su un fatto incerto
ed incorrendo quindi nel divieto di doppia presunzione.

23
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

Cons. t.
Stefano tvieri

della media aritmetica.

5.9 Premesso che il vizio concernente la applicazione degli artt. 27272729 c.c. integra un “error juris” e doveva, pertanto, essere censurato in
relazione all’art. 360co 1 n. 3 c.p.c. il motivo si palesa manifestamente
inammissibile in quanto difetta del requisito della chiara esposizione del
fatto controverso ex art. 366 c.p.c. (non essendo dato comprendere quale sia
la violazione del divieto di praesumptio de praesumpto operata dalla CTR

merito avrebbe omesso di valutare od inesattamente considerato e che
sarebbero determinanti per modificare l’esito della controversia a favore
della società.

5.10 Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 2727
c.c.) la società espone i medesimi argomenti svolti nel precedente motivo,
recuperando correttamente il vizio di legittimità sotto la specie dell’art.
360co1 n. 3) c.p.c..

5.11 Il motivo si palesa, tuttavia, egualmente inammissibile in quanto,
da un lato non fornisce elementi chiarificatori sull’asserita violazione del
divieto di doppia presunzione in cui sarebbe incorsa la CTR; dall’altro si
limita a contrapporre al criterio residuale della media dei valori di
transazione delle merci importate dalla Cina, fondato dalla CTR sul criterio
residuale di cui all’art. 31 CDC, il diverso criterio sussidiario fondato sul
valore minimo di dette transazioni (art. 30 paragr. 2 lett. a), b) CDC ed art. 150
paragr. 3 reg. n. 2454/93), senza tuttavia individuare quale sia l’elemento

viziante della statuizione impugnata in relazione al paradigma normativo
dell’art. 2727 c.c. secondo cui da un fatto noto possono trarsi mediante il
criterio della causalità logica le prove del fatto ignorato.

24
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

est.
C
Stefano livieri

veneta) ed omette del tutto di indicare le prove decisive che il Giudice di

5.11 Con il quarto motivo ed il sesto motivo viene denunciata ex art.
360co 1 n. 4) c.p.c. la nullità processuale della sentenza per omessa
pronuncia sullo specifico motivo di gravame concernente la illegittimità
della determinazione del Direttore regionale, assunta all’esito del
procedimento amministrativo di risoluzione della controversia doganale,
senza la preventiva acquisizione del parere del Collegio consultivo dei

dall’art. 68 TULD per la definizione del procedimento; identica censura
viene formulata nei confronti della sentenza di appello con il quinto
motivo ed il settimo motivo con i quali viene prospettato il vizio di

violazione dell’art. 66 e dell’art. 68 TULD, in relazione all’art. 360co1 n. 3)
c.p.c., nella ipotesi -alternativa rispetto alla censura precedente- di una
implicita statuizione di rigetto dei predetti motivi di gravame.

5.12 La CTR pur dopo aver dato atto della proposizione degli indicati
motivi di gravame della società appellante nelle premesse in fatto della
sentenza, ha poi omesso del tutto di prendere in esame le doglianze e di
decidere sul punto.
Tuttavia il vizio processuale riscontrato non determina per ciò stesso la
cassazione con rinvio della sentenza, le volte in cui -come nel caso di
specie- la questione prospettata con il motivo di gravame pretermesso sia
di stretto diritto e non richieda ulteriori accertamenti in fatto, sicchè la
Corte in conformità al principio di ragionevole durata del processo e di
economia dei mezzi processuali, bene può decidere sulla questione stessa.

5.13 Nel merito i denunciati vizi di legittimità della determinazione
dirigenziale sono infondati in quanto, da un lato, neppure è stato allegato
dalla società se e quale nesso di presupposizione necessaria sia ravvisabile
tra il procedimento amministrativo di risoluzione della controversia
25
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

s. est.
Stefan Olivieri

periti previsto dall’art. 66 TULD ed in violazione del termine previsto

>

doganale ex art. 66 ss. Dpr n. 3/1973 ed il procedimento di accertamento in
revisione della dichiarazione doganale ex art. 11 Dlgs n. 374/1990, tale per
cui gli eventuali vizi di legittimità del primo verrebbero a riflettersi con
efficacia caducante o meramente viziante sul secondo: ed infatti la società
non ha neppure indicato quale risultato utile verrebbe a trarre dall’eventuale
accertamento del vizio di legittimità formale della determinazione

dell’avviso di revisione in rettifica. Premesso, infatti, che la fase della
risoluzione amministrativa della controversia, si pone come meramente
eventuale nel procedimento di accertamento in revisione, ne segue che la
impugnazione della determinazione amministrativa per vizi formali del
procedimento attinente la stessa, dovrebbe dichiararsi inammissibile per
carenza di interesse, ove si ritenga -cfr. Corte cass. V sez. 28.7.2010 n.
17602- che i rapporti tra i due procedimenti amministrativi siano regolati
dal principio di alternatività tra i rimedi -contenzioso amministrativo e
giurisdizionale-

esperibili dal contribuente, tale che a seguito della

proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l’avviso di rettifica rimane
precluso l’accesso al rimedio contenzioso-amministrativo. Nella specie,
peraltro, la società ha esperito dapprima quest’ultimo rimedio e,
successivamente alla determinazione confermativa dell’avviso di rettifica,
ha proposto ricorso giurisdizionale avverso quest’ultimo e forse -non
risultando dalla sentenza di appello, nè dalla narrativa degli atti difensivi- anche

avverso la determinazione amministrativa. Orbene se deve escludersi che
la determinazione amministrativa, ove meramente confermativa del
provvedimento impositivo e dunque reiettiva della istanza, venga a
sostituirsi all’avviso di rettifica, tenuto conto che detta determinazione
contenziosa viene a decidere esclusivamente sui rilievi formulati nella
istanza del contribuente, ne segue che ove tali rilievi non vengano accolti
dalla autorità amministrativa contenziosa, il contribuente potrà ed anzi
26
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA s.r.l.

amministrativa, qualora tale vizio non determinasse anche la invalidità

dovrà riproporli avanti il Giudice tributario, impugnando l’avviso di
rettifica e confutando le argomentazioni poste a fondamento della
determinazione negativa: la autonoma impugnazione di quest’ultimo atto
per vizi formali del procedimento contenzioso, non impedirebbe infatti,
comunque, alla Amministrazione convenuta in giudizio di riprodurre come
proprie difese le medesime argomentazioni addotte nella fase contenziosa,

formale della determinazione negativa, alcuna regolamentazione a sè
favorevole del rapporto tributario controverso e dunque non potendo
incidere comunque sulla pretesa impositiva che trova titolo nel’avviso di
rettifica.

Dall’altro lato, vale in ogni caso osservare come i vizi del procedimento
contenzioso dedotti con i motivi di gravame pretermessi dal Giudice di
appello, appaiono comunque infondati in quanto il Collegio consultivo dei
periti deve ritenersi implicitamente soppresso dall’art. 29co4 del DL
4.7.2006 n. 223 conv. in legge 4.8.2006 n. 248, mentre il termine di quattro
mesi entro il quale il Direttore regionale è tenuto a emettere la
determinazione, non rileva ai fini della consumazione del potere di
accertamento doganale (trattandosi di termine meramente ordinatorio che
non può configurarsi, nemmeno in via di interpretazione logica, come
termine stabilito a pena di decadenza), ma soltanto ai fini della decorrenza
del termine ex art. 76 TULD per esperire (venuto meno il ricorso gerarchico al
Ministro ai sensi dell’art. 68 e 69 TULD) il rimedio giurisdizionale avverso

l’avviso di revisione (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 13678 del 12/06/2009).

§ 6. In conclusione accolto il ricorso principale, rigettato il ricorso
indentale, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non occorrendo
27
RG n. 3388/2012
ric. Ag.Dogane c/ ONGETTA sr.!.

est.
C
Stefano livieri

non potendo conseguire quindi il contribuente, dalla mera invalidità

procedere ad ulteriore attività istruttoria, la causa può essere decisa nel
merito, ai sensi dell’art. 384co2 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo
proposto dalla società importatrice e la condanna della parte resistente alle
spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo,dichiarate interamente

P.Q.M.
La Corte :
– accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa la
sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo
proposto dalla società contribuente che condanna alla rifusione delle spese
del presente giudizio liquidate in € 30.000,00 per compensi, oltre le spese
prenotate a debito, dichiarando compensate tra le parti le spese relative ai
gradi di merito.

Così deciso nella camera di consiglio 17.6.2013

compensate le spese relative ai gradi di merito.

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