Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22538 del 07/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/11/2016, (ud. 14/09/2016, dep. 07/11/2016), n.22538

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18631/2015 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SS.

APOSTOLI, 66, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO LEO, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DITLE ENTRATE, c.f. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 837/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, emessa 14/01/2015

e depositata il 29/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLA VELLA;

udito l’Avvocato Fausta Eugeni (delega Avv. Maurizio Leo), difensore

della parte ricorrente che si riporta agli scritti e insiste per

l’accoglimento.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue.

1. Con il primo motivo si deduce la “nullità della sentenza impugnato per violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 241 del 1990, art. 21-septies, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, per non avere la C.T.R. rilevato la nullità assoluta – asseritamente rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio dell’avviso di accertamento, in quanto sottoscritto non dal capo dell’ufficio ma dal “capo area accertamento” in assenza di delega scritta.

1.1. Il motivo è infondato, alla luce del consolidato indirizzo di questa Corte per cui “le forme di invalidità dell’atto tributario, ove anche dal legislatore indicate sotto il nomen di nullità, non sono rilevabili d’ufficio, nè possono essere fatte valere per la prima volta nel giudizio di cassazione”, per esse operando il principio generale di conversione in mezzi di gravame (Cass. sez. 5, 22803/15, 22810/15, 21307/15, 18448/15, 25756/14).

1.2. Nel caso di specie, è pacifico (v. ricorso) che la questione di nullità prospettata in questa sede non era stata sollevata nei gradi di merito, sicchè ogni indagine al riguardo deve ritenersi preclusa.

2. Il secondo mezzo censura la “violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. D) e degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) “, per avere la C.T.R. trascurato completamente di adattare il metodo di accertamento presuntivo “alle caratteristiche specifiche dell’attività concretamente esercitata”, richiamando gli elementi indiziari contenuti nell’avviso “senza calarli, in alcun modo, nella concreta realtà del contribuente”, ignorando le circostanze di fatto allegate dal contribuente a giustificazione del “reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento standardizzato de qua”, cd omettendo di verificare la contestata carenza dei presupposti della metodologia seguita (parametri o studi di settore).

3. Analogamente, il terzo mezzo attiene alla “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4) e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, in quanto la C.T.R. si sarebbe limitata “a riprodurre in maniera isolata noti insegnamenti, senza adattarli alla fattispecie, così ponendo in essere “una motivazione palesemente apparente”, “apodittica e tautologica”, caratterizzata da “un generico ed acritico rinvio agli atti del processo dell’Ufficio”.

4. Il quarto censura l’omesso esame circa un fitto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, con riferimento alle “precarie condizioni di salute” del contribuente.

5. I motivi, esaminabili congiuntamente, sono infondati.

6. Invero, premesso che dalla sentenza impugnata emerge chiaramente che l’amministrazione finanziaria ha proceduto ad accertamento analitico-induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), (stante “la rilevata antieconomicità della gestione, la non congruità e la non coerenza del risaltato d’esercizio allo studio di settore”, con riguardo all’attività di pizzeria-ristorante), e non alla “procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore” (di cui gli stessi giudici regionali esplicitano i tratti distintivi), la motivazione dei giudici d’appello non risulta affatto apparente, nè generica ed astratta, ma anzi puntualmente calibrata sulle circostanze di fatto della fattispecie concreta, ampiamente riportate nel corpo dell’ampio ed articolato tessuto motivazionale, peraltro corredato da pertinenti richiami alla giurisprudenza di questa Corte.

7. Dagli atti di causa non risulta nemmeno il preteso “omesso esame” delle “condizioni di salute del titolare, sottoposto a programma terapeutico di riabilitazione alla droga”, in quanto i giudici d’appello, dopo aver dato atto della relativa considerazione nella pronuncia di prime cure (favorevole al contribuente), hanno evidentemente ritenuto quell’aspetto non decisivo, a fronte degli ulteriori elementi emersi, perciò concludendo che “di fronte alla analitica e precisa ricostruzione operata dall’amministrazione finanziaria, il contribuente non ha formulato elementi utili a scongiurare la legittimità e la fondatezza delle contestazioni contenute nell’avviso di accertamento” (dettagliatamente indicate a pag. 4 della sentenza). E’ del reso pacifico che spetta esclusivamente al giudice di merito la selezione degli elementi del suo convincimento (Cass. nn. 26860/14, 962/15).

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in Euro 2.300,00 oltre spese prenotate a debito.

sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2016

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