Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22536 del 07/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/11/2016, (ud. 14/09/2016, dep. 07/11/2016), n.22536

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17845/2015 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 4,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO GELLI, che lo rappresenta e

difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, c.f. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO CARPI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 70/2015 della COMMISSION TRIBUTARIA REGIONALE

di BOLOGNA, emessa il 13/10/2014 e depositata il 15/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLA VELLA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue.

1. Con ricorso notificato in data 8-20/7/2015, il contribuente deduce come primo motivo la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. D) e degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c.”, per avere la C.T.R. erroneamente giustificato “la scelta dell’Agenzia di non avvalersi di altri documenti contabili più attendibili e precisi (le buste paga) nella determinazione delle ore lavorate rispetto ai Modelli DM10”, con la presenza di una “contabilità irregolare, quale presupposto della non contestata modalità di accertamento”, quando invece l’accertamento analitico-induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), “richiede e presuppone l’attendibilità complessiva della contabilità”; così legittimando il ricorso ad “una praesumptum de praesumpto, poichè il modello DM 10 esprime il numero delle giornate lavorate ed è vincolato ad una ulteriore presunzione semplice, vale a dire che le giornate lavorative siano tutte di otto ore”.

1.1. Il motivo risulta palesemente infondato.

1.2. Costituisce invero ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che, “anche in presenza di una contabilità formalmente corretta, ma complessivamente inattendibile”, è legittimo il ricorso all’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), ove esso “risulti fondato sui presunzioni assistite dai requisiti previsti dall’art. 2729 c.c. – cioè gravi, precise e concordanti – “e desunte da dati di comune esperienza, oltre che da concreti e significativi elementi offerti dalle singole fattispecie” (ex plurimis, Cass. sez. 5, nn. 4555/98; 2744/00; 8839/03; 951/09; 23096/12; 23550/14; 22937/15).

1.3. In particolare questa Corte, nel confermare che “il giudice tributario ha il potere di controllare l’operato della P.A. e di verificare se gli effetti che l’ufficio ha ritenuto di desumere dai fatti utilizzati come indizi siano o meno compatibili con il criterio della normalità”, ha anche ribadito che “gli elementi assunti a fonte di presunzione che legittimano l’accertamento analitico-induttivo della condizione reddituale del contribuente non debbono essere necessariamente plurimi, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave”, e, soprattutto, che la valutazione della relativa “rilevanza, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria” (Cass. sez. 5, un. 6689/16; 403/16; 25706/15; 656/14).

1.4. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata è adeguata, avendo il giudice d’appello valutato la congruità e ragionevolezza del metodo seguito dall’amministrazione nel calcolo delle ore lavorate “in base ai giorni lavorativi individuati dai modelli DM10 tenuti dall’azienda”, respingendo la doglianza del contribuente, per cui esse sarebbero superiori a quelle risultanti dalle buste paga, proprio per la complessiva inattendibilità della contabilità (“presupposto della non contestata modalità dell’accertamento”); nè ricorre la prospettata ipotesi di “doppia presunzione”, poichè il dato di partenza da cui sarebbe stato presunto il numero di ore lavorative giornaliere (il DM10) non è a sua volta di tipo presuntivo, bensì certo ed oggettivo.

2. Il secondo motivo denunzia la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, per avere la C.T.R. addotto “motivazioni contraddittorie e insufficienti sugli altri punti posti a base dell’avviso di accertamento, vale a dire la ripartizione degli sconti e il consumo energetico”.

2.1. Il motivo presenta plurimi profili di inammissibilità: in primo luogo, la censura motivazionale avverso una sentenza pubblicata dopo l’11 settembre 2012 doveva proporsi secondo il vigente paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (“omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”); in secondo luogo, appare affetta da illogicità la contestazione di insufficienza e contraddittorietà di una motivazione che, allo stesso tempo, si assume anche – e più radicalmente – omessa (e che peraltro risulta assolutamente chiara, puntuale e coerente); infine, la censura integra in realtà una contestazione sul merito della vicenda, non consentita in sede di legittimità (ex plirimis, Cass. s.u. n. 7931/13; Cass. nn. 12264/14, 26860/14, 959/15, 3396/15, 14233/15).

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore dell’amministrazione controricorrente, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in Euro 2.300,00 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2016

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