Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22533 del 10/09/2019

Cassazione civile sez. III, 10/09/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 10/09/2019), n.22533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17127-2017 proposto da:

D.P.E., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

FIORELLO TATONE;

– ricorrente –

contro

S.A.S., in proprio e nella qualità, domiciliato ex

lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO SERGIO SCAMPOLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 729/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 02/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/05/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’avvocato S. convenne D.P.E. per sentirlo condannare al pagamento della somma di Euro 1.400 a titolo di competenze professionali maturate per l’attività prestata nel giudizio penale tenutosi dinanzi al Tribunale di Chieti e alla Corte d’Appello e conclusosi con la condanna del D.P. per i reati contestatigli.

Il convenuto, costituendosi in giudizio, formulò domanda riconvenzionale evidenziando numerosi pretesi inadempimenti del professionista ai propri obblighi professionali, quali il non aver mai domandato l’assoluzione dell’imputato, il non aver richiesto l’applicazione di riti alternativi, il non aver fatto constare l’avvenuta revoca della costituzione di parte civile nel processo penale.

Il Tribunale di Chieti accolse la domanda dell’attore e rigettò la domanda riconvenzionale del convenuto argomentando che, in ordine alle doglianze proposte in relazione alla condotta del professionista, nell’ambito di opposizione a precetto intimato per il pagamento di Euro 21.395,29, detto giudizio si era concluso con una sentenza di cessazione della materia del contendere sicchè non vi era più ragione per provvedere. Il D.P. propose appello contestando che l’intervenuta declaratoria di cessazione della materia del contendere potesse far venire meno il danno paventato; contestò che il Tribunale non aveva esaminato le specifiche doglianze con particolare riguardo alla possibilità di sentir pronunciare la revoca della costituzione di parte civile nel processo penale, e la omessa domanda di patteggiamento. La Corte d’Appello de L’Aquila, con sentenza n. 729 del 2017, per quel che ancora qui di interesse, ha rigettato l’appello, perchè, pur ritenendo in astratto che il cliente possa opporre al legale l’eccezione di inadempimento, nel caso di specie non vi era prova del fatto che la richiesta di patteggiamento avrebbe escluso dalla scena la parte civile, in mancanza di ogni elemento di prova al riguardo. Neppure meritevoli di accoglimento sono per il giudice d’appello le contestazioni in ordine alla mancata richiesta di assoluzione nel giudizio penale, stante il quadro probatorio del tutto sfavorevole all’imputato, la mancata richiesta di revoca della costituzione di parte civile in ragione della diversità di petitum formulata in sede penale rispetto alla autonoma domanda articolata in sede civile, relativa alla declaratoria di nullità di un testamento. Il Giudice ha altresì rigettato il motivo di appello relativo al compenso dovuto all’avv. S. e, rigettato l’appello, ha condannato l’appellante alle spese del grado.

Avverso la sentenza D.P.E. propone ricorso per cassazione sulla base di sei motivi. Resiste l’avv. S. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo – violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,342 e 346 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c. in tema di riparto dell’onere probatorio, il tutto con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 3 – censura la sentenza per avere, pur in mancanza di esplicita contestazione da parte del legale degli addebiti mossi dal cliente, pronunciato il rigetto dell’appello sulla base di argomenti che non erano rilevabili d’ufficio e che non avevano costituito oggetto del contraddittorio tra le parti. L’avv. S. non avrebbe speso alcuna parola circa la contestazione degli addebiti mossigli mentre la Corte d’Appello non avrebbe potuto rilevare d’ufficio alcuna delle questioni sulle quali ha invece, erroneamente, ritenuto di pronunciarsi, nè sulla mancata richiesta di patteggiamento, nè su vari altri pretesi inadempimenti del legale, quali la mancata eccezione di revoca implicita di parte civile, etc. L’aver delibato su tali questioni determinerebbe innanzitutto violazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè violazione dell’art. 115 c.p.c. in quanto il giudice avrebbe dovuto porre a base della decisione sia i fatti non specificamente contestati dalla controparte sia le prove proposte dalle parti.

1.1. Il motivo è inammissibile in quanto, come si evince dagli atti difensivi del legale, egli ha contestato punto per punto gli addebiti mossi dal cliente, ed in ogni caso nel giudizio di merito è mancata la prova del danno, presupposto indispensabile per un giudizio risarcitorio, in quanto è mancata la prova, di cui era onerato il ricorrente, cheiove il legale avesse posto in essere una o più delle misure che si pretendono omesse, egli sarebbe stato assolto nel giudizio penale ovvero avrebbe ottenuto un esito a sè meno sfavorevole. Del tutto eccentriche e non connesse alla ratio decidendi sono poi le censure di natura processuale relative alla violazione dell’art. 112 e 115 c.p.c. in quanto il giudice è rimasto pienamente entro il perimetro disegnato dalla domanda.

2. Con il secondo motivo – violazione e falsa applicazione degli artt. 36,40,342 e 346 c.p.c. per avere la Corte esteso la propria delibazione su fatti e circostanze non dedotti nè eccepiti in primo grado e non riproposti in grado di appello con particolare riguardo alla mancata richiesta da parte del legale dell’applicazione della pena.

2.1 n motivo è inammissibile perchè di merito e comunque privo di decivisità in quanto volto a riproporre a questa Corte una valutazione nel merito dei supposti inadempimenti difensivi del legale, e comunque sempre in contrasto con l’acclarata mancanza di prova che, ove il legale avesse posto in essere pretesi comportamenti atti ad ottenere un migliore esito della lite per il cliente, quale ad esempio la richiesta di applicazione del patteggiamento, l’esito sarebbe stato effettivamente più favorevole.

3. Con il terzo motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., dell’art. 1218c.c., art. 2236 c.c. con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè violazione dell’art. 2697 c.c. – il ricorrente censura il capo di sentenza che non ha rilevato gli inadempimenti del legale, sia in sede penale sia in sede civile senza muovere specifici addebiti, con particolare riguardo alla materia civile dell’indegnità a succedere.

3.1 Il motivo è inammissibile perchè, ancora una volta, consiste in una serie di apprezzamenti di merito sia in ordine a possibili diversi esiti del giudizio civile e di quello penale che sarebbero stati raggiunti qualora il legale avesse posto in essere una serie di comportamenti invero ingiustamente pretermessi.

4. Con il quarto motivo – omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti relativo alla violazione del dovere di informativa dell’avvocato al cliente – censura la sentenza nella parte in cui la medesima avrebbe omesso di rilevare che il legale si era reso inadempiente nei confronti del cliente per non avergli prospettato il possibile esito dei giudici civile e penale.

Il legale avrebbe dovuto rappresentare le conseguenze possibili sottese alla mancata contestazione della falsità del testamento olografo, alle questione dell’indegnità a succedere, nonchè avrebbe dovuto agire in giudizio senza abusivamente parcellizzare il preteso credito del legale.

4.1 Anche questo motivo è inammissibile perchè consiste in pretese omissioni circa la valutazione di pretesi singoli inadempimenti del legale e circa la conformità o meno del suo comportamento ai doveri di correttezza e buona fede di cui all’art. 1176 c.c.. Si tratta, con evidenza, di argomenti di merito che non possono trovare ingresso in questa sede.

5 e 6. Con il quinto e sesto motivo il ricorrente censura la sentenza per non aver stigmatizzato il comportamento del legale che avrebbe abbandonato il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo senza giusta causa. Anche questi motivi sono inammissibili perchè le questioni ivi dedotte, ed in particolare la pretesa assenza di giusta causa per il recesso, a fronte di un incontestato inadempimento del cliente rispetto alla parcella professionale del legale, sono rimaste prive di ogni supporto probatorio e dunque appartenenti al giudizio di merito.

7. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, oltre che al cd. “raddoppio” del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3000 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali. Si dà atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2019

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