Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22532 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. III, 16/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 16/10/2020), n.22532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30248-2019 proposto da:

M.M., rappresentato e difeso dall’avv. MICHELE PAROLA per

procura in calce al ricorso ed elettivamente domiciliato presso il

suo studio in Cuneo, viale Angeli 24;

– ricorrenti –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1358/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 02/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

M.M., cittadino della Guinea, propone un motivo di ricorso nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso la sentenza n. 1358/2019 della Corte d’Appello di Torino, pubblicata in data 2.8.2019, non notificata.

Il Ministero non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

La vicenda personale del ricorrente è appena richiamata nel ricorso e meglio esposta nella sentenza impugnata, che l’ha ritenuta poco credibile: essa è focalizzata sul fatto che la sua famiglia, appartenente al gruppo etnico maninka, sarebbe stata coinvolta in uno scontro etnico da parte del gruppo koniankè, e che il fratello, nel convincimento del ricorrente, fosse stato ucciso a seguito degli scontri. La corte d’appello ha accertato che l’etnia di appartenenza del ricorrente non risultava coinvolta in scontri etnici nella sua zona di provenienza, dove i koniankè avevano avuto bensì degli scontri, ma con altro gruppo etnico, e più in generale che la situazione della Guinea fosse in corso di normalizzazione e democratizzazione.

Il ricorrente fa presente di aver chiesto sia il riconoscimento della protezione sussidiaria che della protezione umanitaria, ma di insistere col ricorso per cassazione esclusivamente in riferimento alla protezione umanitaria.

Con l’unico motivo di ricorso, deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione alla protezione umanitaria.

Deduce che, in riferimento alla protezione umanitaria, la sentenza impugnata si è appiattita sulla valutazione di rigetto effettuata in ordine alla protezione maggiore, ovvero sulla non credibilità della ricostruzione del ricorrente, il quale tra l’altro non aveva descritto alcun atto di persecuzione posto in essere nei suoi confronti prima di lasciare il paese, e sulla mancanza di una situazione di pericolo diffuso in Guinea.

Segnala che varie sentenze di merito hanno ritenuto la vulnerabilità dei cittadini guineani, tenuto conto anche del livello di integrazione da questi conseguita nel nostro paese.

La corte d’appello non avrebbe quindi ben considerato nè la situazione politico sociale della Guinea, nè l’integrazione del M.M., e neppure che i due parametri dovessero essere presi in considerazione in correlazione l’uno con l’altro.

Il ricorso è inammissibile.

Il motivo di censura è appena abbozzato, non si confronta direttamente con la pronuncia, nulla dice riguardo a quale fosse il percorso di integrazione del ricorrente nè quale fosse nel dettaglio la sua storia personale, ovvero non indica da quali dati quanto meno allegati e non adeguatamente considerati emergesse la sua condizione di vulnerabilità, asseritamente ignorata dalla corte territoriale, che afferma: “nel caso di specie il richiedente non prospetta in realtà alcuna situazione di particolare vulnerabilità”. In definitiva, non segnala efficacemente alcuna violazione di legge, e neppure tenta di provocare la corte ad un nuovo giudizio in fatto, ma semplicemente afferma che la corte d’appello non ha ben considerato la sua situazione.

La sentenza impugnata, proveniente dalla Corte d’appello di Torino, contiene alcuni passaggi le cui affermazioni vanno corrette in quanto, nella loro assolutezza, esprimono un canone di giudizio errato, benchè non siano decisive, dovendosi comunque pervenire alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

In particolare, va corretta la seguente affermazione contenuta nella sentenza impugnata:

– il livello di integrazione sociale raggiunto non può in alcun modo concretizzare i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria. L’affermazione non si pone in aperto contrasto con quanto affermato dalle Sezioni Unite:”In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato” (Cass. n. 29459 del 2019), e tuttavia essa, nella sua secchezza, è fuorviante in quanto svaluta fino a zero il percorso di integrazione compiuto in Italia dal richiedente il permesso umanitario.

Ciò nondimeno, il ricorso non supera il vaglio preliminare di ammissibilità in quanto è assolutamente generico, non indica affatto quale fosse il livello di integrazione sociale raggiunta e che sarebbe stata sottovalutata dalla corte d’appello.

Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività processuale in questa sede.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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