Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22531 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. III, 16/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 16/10/2020), n.22531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29719-2019 proposto da:

S.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA,

32, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO GREGORACE, che lo

rappresenta e difende per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ex lege;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 532/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 22/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- S.B., cittadino del Gambia, propone ricorso nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso la sentenza n. 532/2019 della Corte d’Appello di Torino, pubblicata in data 22.3.2019, non notificata.

Il Ministero ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si dichiara disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

2. – Il ricorrente, proveniente dal Gambia, riferisce nel ricorso la propria vicenda personale, riportata anche nella sentenza impugnata: di essere stato abbandonato dal padre prima della nascita, che la madre era stata uccisa dagli abitanti del villaggio perchè aveva partorito un bambino senza essere sposata, di essere stato allevato dallo zio, lasciato privo di istruzione, avviato ai lavori più umili, e che era stato arrestato allorchè aveva inavvertitamente, bruciando alcune erbe secche, provocato un incendio che si era allargato al campo vicino a quello in cui stava lavorando e alla attigua foresta governativa. Scappava dalla prigione e quindi si allontanava dal paese.

3. – Il Tribunale rigettava la sua domanda volta alla concessione della protezione internazionale e in subordine umanitaria, in quanto rilevava che la situazione interna del Gambia era notevolmente migliorata, fino a farne uno dei paesi dotati di migliori garanzie democratiche del continente africano, e riteneva che la sua fuga fosse conseguente ad una vicenda meramente privata.

4. – L’appello del S. veniva giudicato inammissibile, in quanto i giudici di appello evidenziavano che l’appellante si era limitato a richiedere il riconoscimento dello status di rifugiato e le altre due protezioni riproponendo considerazioni generiche e senza contrastare e confutare le affermazioni contenute nella sentenza di primo grado.

5. – Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 342 c.p.c. ovvero denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla dichiarata inammissibilità dell’atto di appello per mancanza di specificità dei motivi.

Sostiene di aver contestato, nel proprio atto di appello, la carenza istruttoria del primo giudizio, in riferimento alla parte dell’ordinanza che riteneva non sussistenti i requisiti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 in relazione alla costante violazione dei diritti umani nel paese di provenienza, ed il requisito di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c) ai fini della concessione della protezione sussidiaria. Rilevava che i motivi di appello erano stati espressamente riportati nella sentenza impugnata, che poi, contraddittoriamente, dichiarava inammissibile l’impugnazione per mancanza di specificità dei motivi.

Sostiene che l’atto di appello sia stato strutturato in conformità ai dettami della Corte, in base ai quali “L’art. 342 c.p.c., come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. conv. con modif. in L. n. 134 del 2012, non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il “quantum appellatum”, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonchè ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata” (Cass. n. 2143 del 2015, Cass. n. 21336 del 2017).

6. – Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata dapprima riporta per esteso la sentenza di primo grado, che rigetta integralmente la domanda dell’odierno ricorrente, da un lato ritenendo non credibile la sua ricostruzione dei fatti, dall’altro inanellando una serie in affermazioni atte a contrastare il fenomeno della migrazione per motivi economici, a teorizzare la necessità, alla luce della normativa vigente, di ridurre la concedibilità del permesso di soggiorno per motivi umanitari a ristrette eccezioni e a svalutare, simmetricamente, la rilevanza dei percorsi di integrazione effettuati nel nostro paese.

Accanto a queste affermazioni, viene riportata l’analisi della situazione storico-sociale-economica del Gambia, paese tra quelli africani in migliori condizioni di evoluzione positiva.

Quindi, vengono riprodotti i motivi di appello formulati dal ricorrente, che occupano le pag. 7 e 8 del provvedimento impugnato, ovvero i ben quattro punti nei quali si articolavano le censure dell’attuale ricorrente, in merito al mancato riconoscimento delle tre protezioni richieste, nei quali si inquadra l’impugnazione facendo riferimento alle norme violate. Quindi, a pag. 9, la sentenza impugnata dichiara l’appello inammissibile perchè privo di argomenti idonei a confutare le ragioni addotte dal primo giudice, laddove ha ritenuto inverosimili i fatti così come allegati dal ricorrente e comunque non integranti i presupposti per il riconoscimento delle protezioni richieste. La sentenza precisa anche che l’appello è eccessivamente generico, e che l’appellante omette, in sede di appello, di fornire elementi probatori attendibili in ordine alla effettiva situazione di pericolo limitandosi al generico richiamo allo scenario politico del Gambia, senza alcuna ulteriore specificazione.

7. Nella decisione d’appello si intravede, guardando oltre la pronuncia di inammissibilità, un implicito convincimento del giudice dell’impugnazione nel senso della piena condivisione delle valutazioni del primo giudice non avendo l’appellante introdotto argomentazioni convincenti per mutare la decisione.

E tuttavia, la pronuncia adottata è strutturata nel senso della inammissibilità dell’appello, e di conseguenza è errata e deve essere cassata, in quanto i motivi, come riprodotti nella stessa sentenza di appello, non mancavano di specificità ed erano legittimamente volti a provocare, su tutte le domande, riproposte in quanto giudicate infondate dal tribunale, una nuova, autonoma valutazione da parte del giudice di appello di tutte le circostanze oggetto di giudizio, non potendo la corte d’appello legittimamente arrestarsi a fronte della mancata introduzione di elementi di valutazione nuovi ed appiattirsi sulla valutazione del primo giudicante senza compiere una propria, autonoma valutazione del compendio istruttorio con il solo limite del quantum devolutum ovvero dell’ambito devolutivo dei motivi di appello.

Ciò in conformità al principio per cui gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (principio affermato da S.U. n. 27199 del 2017 e poi ripreso, tra le altre, da Cass. n. 13535 del 2018), con la precisazione che non può considerarsi aspecifico e deve, quindi, essere dichiarato ammissibile, il motivo d’appello che esponga il punto sottoposto a riesame, in fatto ed in diritto, in modo tale che il giudice sia messo in condizione (senza necessità di esplorare, in assenza di parametri di riferimento, le vicende processuali) di cogliere natura, portata e senso della critica, non occorrendo, tuttavia, che l’appellante alleghi e, tantomeno, riporti analiticamente le emergenze di causa rilevanti, le quali risultino investite ed evocate non equivocamente dalla censura, diversamente da quel che è previsto per l’impugnazione a critica vincolata (Cass. n. 7675 del 2019).

Questo sia per non confiscare il diritto dell’appellante di giungere ad una nuova pronuncia che esamini i fatti che ha sottoposti al giudice – il quale dovrà anche tener conto, sotto il profilo del raggiungimento della prova, del dovere di cooperazione istruttoria che grava sul giudicante in tema di protezione internazionale – e quindi per consentire la verifica di legittimità di tale decisione, dinanzi alla Corte di cassazione, alla stregua del parametri normativi prescelti.

Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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