Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22529 del 28/10/2011

Cassazione civile sez. I, 28/10/2011, (ud. 12/07/2011, dep. 28/10/2011), n.22529

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI ERCOLANO, elettivamente domiciliato in Roma, Via Fogliano,

n. 35, nello studio dell’Avv. Alfredo Pieretti; rappresentato e

difeso, giusta procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.

SORIA Sergio e Andrea Scognamiglio;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui uffici in Roma, Via dei

Portoghesi, 12, è per legge domiciliata;

– controricorrente –

e contro

R.G., in proprio e quale procuratore speciale di

C.L. – + ALTRI OMESSI

elettivamente

domiciliato in Roma, Via Monte Zebio, n. 32, nello studio dell’Avv.

ACCARDO Fabio che lo rappresenta e difende, unitamente all’Avv. Luca

Accardo, giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

P.C., QUALE PROCURATORE SPECIALE DI C.L. –

+ ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliato in Roma, via Prospero Alpino, n.

76, nello studio dell’Avv. Tonino Presta; rappresentato e difeso

dall’Avv. Renato Iacona, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

nonchè sul ricorso proposto in via incidentale da:

R.G., in proprio e quale procuratore speciale di

C.L. – + ALTRI OMESSI

come sopra

rappresentato;

– ricorrente incidentale –

contro

P.C., QUALE PROCURATORE SPECIALE DI C.L. –

+ ALTRI OMESSI

come sopra rappresentato;

– controricorrente a ricorso incidentale –

e contro

COMUNE DI ERCOLANO PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimati –

nonchè sul ricorso proposto in via incidentale da:

P.C., QUALE PROCURATORE SPECIALE DI C.L. –

+ ALTRI OMESSI

come sopra rappresentato;

– ricorrente incidentale –

contro

R.G., in proprio e quale procuratore speciale di

C.L. – + ALTRI OMESSI

COMUNE DI ERCOLANO,

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli, n. 1707,

depositata in data 1 giugno 2005;

sentita la relazione all’udienza del 12 luglio 2011 del Consigliere

Dott. Pietro Campanile;

sentito l’avv. Soria per il Comune di Ercolano;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Federico Sorrentino, il quale ha concluso per il rigetto di

tutti i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – R.G., nella qualità di procuratore speciale degli assegnatari della comunione immobiliare instauratasi a seguito dello scioglimento della Cooperativa Villaggio Vesuvio, con atto di citazione notificato in data 31 dicembre 1994, premetteva che il Sindaco del Comune di Ercolano aveva disposto l’occupazione d’urgenza del fondo appartenente a detta cooperativa in virtù di ordinanza del Commissario di Governo n. 69 del 29.12.1980, allo scopo di realizzare alloggi provvisori per la popolazione terremotata; che il TAR aveva annullato l’ordinanza sindacale con la quale era stata disposta l’occupazione d’urgenza: in relazione al risarcimento dei danni, già richiesti in via giudiziale, era intervenuta una transazione con il Comune di Ercolano, comprensiva del periodo di occupazione fino al 30 giugno 1990; che il Comune, ai sensi della L. 1. n. 80 del 1984, art. 6, aveva disposto l’espropriazione del terreno, che non era mai stato liberato, destinandolo ad attrezzature pubbliche e a edilizia residenziale pubblica; tanto premesso, chiedeva la Condanna del Comune di Ercolano e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per quanto di loro spettanza, al rilascio del fondo, libero da persone e cose, nonchè al pagamento dei danni relativi al protrarsi dell’occupazione dopo il 1 luglio 1990.

Nel corso del giudizio alcuni assegnatari, previa revoca della procura al R., si costituivano tramite nuovo procuratore, tale P.C..

1.1 – Espletata consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza non definitiva depositata il 16 aprile 2004 il Tribunale adito condannava il Comune di Ercolano al rilascio del fondo, nonchè al pagamento della somma di Euro 566.488,30, in relazione all’occupazione illegittima del bene; condannava altresì la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, della somma di Euro 1.371.690,20, oltre rivalutazione e interessi.

1.2 – Proponeva appello la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che eccepiva il difetto di legittimazione attiva degli istanti, la propria carenza di legittimazione passiva e la prescrizione del diritto; proponevano impugnazione in via incidentale sia il R. che il P., nonchè il Comune di Ercolano, riproponendo le eccezioni di difetto di giurisdizione, di carenza di legittimazione attiva degli attori e della propria, nonchè contestando l’entità delle somme liquidate.

1.3 – La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’eccezione inerente al difetto di giurisdizione;

affermava inoltre che, con la revoca da parte di alcuni assegnatari della procura al R. si era determinata l’improponibilità, in parte qua, della domanda del R., così disattendendosi la tesi secondo cui si sarebbe trattato di un mandato collettivo, irrevocabile senza la revoca da patte di tutti i mandanti.

In riferimento alla responsabilità del Comune e della P.C.M., la corte territoriale, premesso che il Sindaco nel disporre l’occupazione di urgenza aveva agito come commissario di governo, osservava che, in deroga al principio di carattere generale secondo cui in ipotesi del genere si considera responsabile la sola amministrazione statale, nel caso di specie, avendo il Comune stesso disposto l’espropriazione dell’area, ai sensi della L. n. 80 del 1984, art. 6, comma 3, si era verificata una trasformazione del titolo, da requisizione in uso temporaneo ad occupazione preordinata all’espropriazione, ragion per cui – non essendo intervenuta, come affermato nella sentenza di prima grado sul punto non interessata da specifiche censure, l’irreversibile trasformazione del fondo – il Comune era tenuto non solo a rispondere dell’occupazione relativa a tale periodo, ma anche alla restituzione del suolo rimasto inutilizzato, comprendendo tale obbligazione anche quella di sostenere le spese necessarie per la riduzione in pristino dell’immobile. Per tale ragione, rigettata ogni doglianza circa l’incongruità delle somme determinate dal Tribunale in relazione alla pretesa risarcitoria, in riforma dell’impugnata decisione veniva rigettata ogni domanda proposta dagli attori nei confronti della PCM, ed il Comune veniva condannato a pagamento in favore dei primi, di quanto già posto a carico della PCM. Veniva viceversa accolta la doglianza del Comune di Ercolano in merito alla determinazione dei danni derivanti dalla illegittima occupazione successiva al 1 luglio 1990, commisurati agli interessi legali sul valore del fondo, considerata la natura agricola, pari ad Euro 206.749,32.

1.4 – Per la cassazione di tale decisione il Comune di Ercolano ha proposto ricorso, affidato a sei motivi.

Resistono con controricorso il R., il P. e la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Il R. propone ricorso incidentale, cui il P., parimenti ricorrente in via incidentale, resiste con controricorso.

Il Comune di Ercolano, la PCM ed il R. hanno prodotto memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Deve in primo luogo dìsporsi la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

2.1 – Con il primo motivo del ricorso principale il Comune di Ercolano denuncia violazione, erronea e falsa applicazione della L. 18 aprile 1984, art. 6, commi 4, 5 e 6 e del D.L. 26 novembre 1980, n. 776, art. 3, lett. B), convertito con L. 23 dicembre 1980, n. 874, nonchè delle ordinanze del Commissario straordinario di governo per le zone terremotate della Campania e della Basilicata n. 7 bis del 28.11.1980, n. 69 del 14.14.4.1981. Violazione, erronea e falsa applicazione della L. 20 marzo 1965, n. 2248, art. 7, all. E, della L. 14 maggio 1981, n. 219, art. 3, della L. 6 agosto 1981, n. 450, del D.L. 27 febbraio 1982, n. 57, art. 2, convertito, con modificazioni, con L. 29 aprile 1982, n. 187, della L. n. 128 del 1990, degli artt. 2043, 1299 e 2055 c.c.; artt. 112 e 113 c.p.c., nonchè violazione dei principi in tema di legittimazione sostanziale. Carenza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione. Omesso esame di un punto decisivo della decisione: il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

2.2 – Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. 20 marzo 1865, art. 7, all. E; del D.L. 26 novembre 1980, n. 776, art. 3, lett. B, convertito, con modificazioni, con L. 23 dicembre 1980, n. 874, dell’ordinanza commissariale 29.12.1980, n. 69, della L. 18 aprile 1984, n. 80.

Violazione dei principi in tema di legittimazione passiva. Difetto ed erronea motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e n. 5.

2.3 – Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2056 c.c., degli artt. 112, 113, 115, 116, 194, 195, 201 c.p.c.. Mancato esame e valutazione di un punto decisivo della controversia prospettato nell’appello incidentale del Comune di Ercolano ed in quello principale della P.C.M.. Insufficiente motivazione, erroneità, irrazionalità ed eccessività nella individuazione e nella quantificazione operata dal c.t.u. dei danni materiali e per il ripristino dello stato dei luoghi. Violazione dei principi in tema di legittimazione passiva. Insufficienza e contraddittorietà della motivazione: il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

2.4 – Con il quarto motivo si deduce violazione e omessa applicazione del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 325, art. 55, come novellato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302, art. 1, lett. pp. Violazione e omessa applicazione della L. 1 agosto 2002, n. 166, art. 4. Violazione e falsa applicazione della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis, comma 3 bis, comma 4 e comma 7 bis; della L. n. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16, come modificato dalla L. 26 gennaio 1977, n. 10, art. 14.

Violazione e falsa applicazione dei criteri di cui al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 325, artt. 37 e 40; nonchè dei principi in tema di legittimazione passiva per quanto attiene al carico dell’obbligazione indennitaria e risarcitoria post 30 giugno 1990. Violazione e falsa applicazione della L. 2 marzo 1865, n. 2248, art. 7, all. E, nonchè del D.P.R. n. 616 del 1977, art. 88, n. 9. Violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c.. Motivazione carente, insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

2.5 – Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., comma 2, e art. 1282 c.c.; della decorrenza degli interessi legali, nonchè erronea e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

2.6 – Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. , e segg., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

3 – I primi due motivi possono essere congiuntamente trattati, poichè attengono al tema della legittimazione passiva in relazione all’obbligazione di ripristino e di restituzione delle aree. Essi debbono essere rigettati, in quanto infondati, per aver la corte territoriale correttamente applicato i principi affermati da questa Corte in casi assolutamente analoghi (Cass., sez. Un. 13 luglio 2000, n. 488; Cass., 24 luglio 2000, n. 9695). E’ stato, invero, stabilito che, in tema di occupazioni d’urgenza attuate a seguito del sisma del 1980 nelle regioni Campania e Basilicata, la norma di cui alla L. n. 80 del 1984, art. 6, ha introdotto una disciplina innovativa rispetto al passato, comportando una trasformazione funzionale del titolo in forza del quale le aree erano state provvisoriamente requisite – mutando, cioè, la requisizione in uso temporaneo in occupazione preordinata all’espropriazione -, con conseguente possibilità, per i Comuni, di espropriare le aree originariamente occupate per un uso temporaneo (tale da prevederne, cioè, la restituzione ai proprietari), ma senza escludere che l’acquisizione delle aree stesse dovesse realizzarsi attraverso un formale procedimento di espropriazione in tutti i casi in cui non si fosse già verificata l’acquisizione del bene a titolo originario per la sua avvenuta irreversibile trasformazione a seguito dell’esecuzione dell’opera pubblica prevista. Ne consegue che, ove l’attività svolta sul suolo requisito non ne abbia comportato l’irreversibile trasformazione (nel qual caso il risarcimento del danno sarebbe stato dovuto dall’Amministrazione centrale), il Comune deve essere ritenuto obbligato a corrispondere l’indennità di occupazione legittima per il periodo successivo all’avvenuta trasformazione della requisizione in occupazione, ed a restituire il suolo rimasto inutilizzato dopo la scadenza del termine della detta occupazione. Appare evidente come, emergendo chiaramente, sulla base di tale orientamento, mantenutosi sempre costante (cfr. Cass., 13 maggio 2010, n. 11715) che l’obbligazione di restituzione del bene compete al Comune, stessa sorte debba attribuirsi a quella di riduzione in pristino, la quale alla prima è strettamente correlata: i rilievi fondati sugli aspetti di natura diacronica, invocati nel ricorso principale, attengono, conseguentemente, al tema dei rapporti fra i Comuni e l’amministrazione centrale.

3.1 – Non sussiste la dedotta violazione del principio della domanda per essersi affermata la responsabilità diretta del Comune in relazione all’obbligazione in esame a fronte di una richiesta di condanna degli enti convenuti “ciascuno per quanto di sua spettanza”.

Con tale locuzione l’individuazione dei soggetti giuridicamente tenuti alla restituzione e alla riduzione in pristino veniva evidentemente rimessa alle valutazioni dell’autorità giudiziaria, la quale, pertanto, avendo a tanto proceduto, sulla base, per altro, di una corretta applicazione di un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, non ha violato il principio contenuto nell’art. 112 c.p.c., a tacere del fatto che la corte territoriale si è pronunciata, in parte qua, nell’ambito delimitato, anche in sede di appello, dalle contrapposte richieste della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Comune di Ercolano.

3.2 – La deduzione dell’irreversibile trasformazione del fondo in funzione della realizzazione delle opere destinate agli alloggi di natura provvisoria, vale a dire in un momento anteriore all’indicato mutamento funzionale del titolo, confligge non solo con le perspicue osservazioni svolte al riguardo nell’impugnata decisione, nel senso della incompatibilità fra la precarietà della sistemazione dei terremotati e l’irreversibilità della trasformazione (essendo pacifico che non risulta eseguita alcuna opera pubblica, come non sia intervenuto alcun decreto di espropriazione), ma anche con i rilievi della corte territoriale, non specificamente impugnati, circa l’assenza di precise deduzioni al riguardo in sede di gravame, a fronte della specifica esclusione di tale irreversibile trasformazione nella decisione di primo grado.

4 – Il terzo motivo, con il quale si censura la determinazione dell’entità dei “danni materiali e ripristinatori”, si risolve in un’inammissibile proposizione, in sede di legittimità, di questioni attinenti al merito della vicenda, laddove il dedotto vizio motivazionale risulta proposto senza rispettare i principi di specificità e di autosufficienza. Con orientamento costante, questa Corte ha affermato il principio secondo cui non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca “per relationem” le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito; pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice “a quo”, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 4 maggio 2009, n. 10222; Cass. 6 settembre 2007, n. 18688; Cass. 28 marzo 2006, n. 7078). Non risultano, invero, proposte davanti al giudice del merito, nel senso che le relative deduzioni non sono state richiamate, nel rispetto del principio di autosufficienza, nel ricorso, le complesse argomentazioni svolte in questa sede circa le valutazioni operate dal consulente tecnico d’ufficio, che, in tal modo, anzichè concretare specifiche censure alla motivazione della decisione impugnata, si risolvono in inammissibili questioni attinenti al merito.

5 – Quanto al quarto motivo, deve constatarsi la caducazione dei criteri invocati dal ricorrente, sia per effetto della pronuncia della Corte costituzionale n. 348 del 2007, che ha dichiarato l’illegittimità della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, sia a seguito della recente pronuncia n. 181 del 2001 dello stesso giudice delle leggi, relativamente al criterio, parimenti invocato, fondato sul c.d. valore agricolo medio.

6 – In relazione alla censura proposta con il quinto motivo, va constatato che il pregiudizio inerente all’illecito permanente costituito dall’illegittima occupazione del fondo è stato correttamente liquidato in misura corrispondente agli interessi legali annui sul valore in questione (Cass. 16744/2007; 563/2006;

10561/1993), con l’aggiunta, per ciascuna annualità, trattandosi di debito di valore, del pregiudizio corrispondente alla svalutazione monetaria subita dal credito ad essa relativo, e con gli interessi legali, come stabilito dalla nota decisione 1712/1995 delle Sezioni Unite di questa Corte.

7 – Con l’ultimo motivo, infine, l’ente ricorrente si duole dell’attribuzione delle spese processuali in favore dei soggetti, inizialmente rappresentati dal R., per i quali la stessa Corte di appello aveva dichiarato l’improponibilitè della domanda.

Le doglianze inerenti alla violazione del principio della soccombenza non sembrano pertinenti alle statuizioni al riguardo contenute nella scrutinata decisione, che, dopo aver dichiarato rilevato la sopravvenuta inefficacia del mandato, poi revocato, in favore del R., ha individuato due gruppi di attori, “rappresentati dai rispettivi procuratori speciali”, in favore dei quali ha disposto il risarcimento dei danni e quindi, il rimborso delle spese processuali, liquidate “per ciascun gruppo”, vale a dire nel rispetto dei limiti dell’accoglimento delle rispettive domande.

8 – Quanto all’appello proposto in via incidentale dal R., deve preliminarmente dichiararsi irricevibile il documento prodotto unitamente alla memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., esulante dagli atti processuali di questo giudizio di legittimità.

Con detto ricorso incidentale la declaratoria di ìmproponibilita delle domande dal predetto R. proposte per conto di quegli assegnatari che in corso di causa avevano revocato la procura conferitagli, nominando rappresentante il P., viene contestata sotto tre distinti profili: a) violazione degli artt. 1722 e 1726 c.c., per essere stata la domanda, in base al principio tempus regit actum, validamente proposta quando il R. rivestiva la qualità di procuratore dei comunisti; b) violazione dell’art. 1723, c.c., comma 2, stante l’inefficacia della revoca nei confronti di mandato conferito anche nell’interesse dello stesso mandatario o di terzi; c) violazione dell’art. 1723 c.c., in relazione alla procura rilasciata per ottenere la restituzione delle aree occupate, non eseguibile per singola quota.

8.1 – Il primo profilo di censura è infondato, in quanto costituisce ius receptum il principio secondo cui il procuratore generale “ad negotia”, cui siano conferiti poteri di rappresentanza processuale, è titolare di una legittimazione processuale coesistente con quella del rappresentato, che può subentrargli nel processo e sostituirlo in qualsiasi momento, perchè il rappresentante non agisce in concorrenza con il rappresentato, ma in sua sostituzione e per suo conto (Cass., 11 gennaio 2002, n. 314; Cass., 9 luglio 1994, n. 6524).

8.2 – Nè può ritenersi che ci si trovi in presenza di una mandato irrevocabile, perchè conferito nell’interesse dello stesso mandatario e di terzi (nella prospettazione del R., i comunisti che non hanno revocato il mandato). Perchè si abbia mandato in rem propriam occorre che l’interesse del mandatario sia assicurato da un rapporto sinallagmatico (fra lo stesso e il mandante) con contenuto bilaterale, che lo sottrae alla unilaterale disposizione del mandante stesso (cfr. Cass., 27 novembre 1975, n. 3963, noinchè, con riferimento al mandato conferito nell’interesse del terzo, Cass., 29 luglio 1995, n. 8343).

8.3 – La tesi della eseguibilità non frazionata di taluna delle domande si sostanzia, a ben vedere, nella riproposizione dell’ipotesi, già rigettata nella scrutinata decisione, del mandato collettivo, essendo per altro evidente che il tema del litisconsorzio necessario, eventualmente sussistente, non si sovrappone al caso del mandato conferito nell’interesse comune. Nel caso di specie il risultato costituito dalla restituzione del bene ben poteva essere conseguito mediante la partecipazione al giudizio di tutti i soggetti interessati, senza che fosse necessario che gli stessi fossero rappresentati da un unico soggetto.

Appare allora evidente che non è il tipo di domanda giudiziale, come pure si sostiene, a qualificare il mandato collettivo, bensì il compimento di un’attività giuridica che non si presti ad essere frazionata, da desumersi, se non dalla specifica pattuizione di tutti i mandanti di non revocare, se non congiuntamente, il mandato (nella specie insussistente), quanto meno dall’esistenza di un affare comune che interessi egualmente tutti i vari mandanti per l’identità dell’oggetto o del contenuto, cioè di un affare unico, indivisibile ed indistinto, non bastando la semplice coincidenza, come nel caso di specie, di interessi distinti e divisi, associati solo casualmente o per opportunità, che può dar luogo invece ad un mandato plurimo (Cass., 24 aprile 1974, n. 1184).

La conferma delle statuizioni contenute nella decisione impugnata comporta, a ben vedere, un giudizio di inammissibilità, per carenza di legitimatio ad processum, del ricorso del R. nella parte in cui, contestando l’efficacia delle revoche dei mandati da parte dei soggetti rappresentati dal P., dichiara di agire in nome e per conto degli stessi.

9 – Con il proprio ricorso incidentale il P., quale rappresentante dei comproprietari indicati in epigrafe, si duole della liquidazione della liquidazione del pregiudizio inerente all’occupazione illegittima del suolo, denunciando violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., e nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il motivo è infondato, in quanto, pur dandosi atto della natura agricola del terreno – che la corte territoriale ha valutato sulla scorta delle risultanze dell’U.T.C., opportunamente valutate, in quanto fondate su una comparazione analitica con i prezzi di vari atti di compravendita stipulati in relazione a suoli contigui ed aventi caratteristiche similari – viene inammissibilmente invocato il ricorso a una mera edificabilità di fatto, costantemente ripudiata, salve ipotesi nella specie non ravvisabili, dalla giurisprudenza di questa Corte.

10 – In considerazione di quanto evidenziato, tutti i ricorsi vanno rigettati. Le spese processuali nei rapporti fra il Comune di Ercolano e i gruppi di proprietari, attesa la reciproca soccombenza, vanno compensate, mentre, nel resto, il regolamento viene effettuato, come da dispositivo, secondo la regola dettata dall’art. 91 c.p.c..

PQM

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Condanna il Comune di Ercolano alla rifusione delle spese processuali in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri, liquidate in Euro 10.000,00 oltre spese prenotate a debito; compensa le spese di lite fra detto Comune e le rimanenti parti.

Condanna il R. in proprio al pagamento in favore dei soggetti rappresentati dal P. delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.500,00 di cui Euro 4.300,00 per onorari.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2011

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