Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22529 del 10/09/2019

Cassazione civile sez. III, 10/09/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 10/09/2019), n.22529

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21569-2017 proposto da:

T.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TARANTO, 95

LOTTO C SC. A, presso lo studio dell’avvocato DONATO CICENIA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI AVELLINO in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GALLIA, 86, presso lo studio

dell’avvocato GIANLUIGI CASSANDRA, rappresentata e difesa

dall’avvocato OSCAR MERCOLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 274/2017 del TRIBUNALE di AVELLINO, depositata

il 09/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/05/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. La Gala Global Service S.a.S. ricorre, affidandosi a cinque motivi, per la cassazione della sentenza del Tribunale di Avellino che, riformando la pronuncia del Giudice di pace di Lacedonia ed accogliendo, con ciò, l’opposizione della Provincia di Avellino al decreto ingiuntivo emesso in suo favore, aveva respinto la domanda volta ad ottenere, a titolo di risarcimento dei danni all’autovettura di sua proprietà derivanti da un sinistro stradale, la somma concordata ed indicata nella transazione sottoscritta da entrambe le parti in data 6.2.2014.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede, il Tribunale aveva escluso che la transazione stragiudiziale sulla quale si fondavano le pretese della parte appellata fosse valida ed efficace, in quanto era stata sottoscritta da un dipendente della Provincia privo di poteri rappresentativi.

2. L’intimata ha resistito depositando, altresì, memoria ex art. 380bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con i primi tre motivi di ricorso, la ricorrente, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia e per error in procedendo ed in iudicando in quanto:

a. il Tribunale di Avellino aveva omesso di decidere sulla eccepita inesistenza ed inammissibilità dell’appello ricondotta all’insanabile contrasto fra l’intestazione dell’atto, riferita al Tribunale di Benevento al cui ufficio UNEP era stata anche richiesta la notificazione, la vocatio in ius dinanzi al Tribunale di Avellino e l’iscrizione a ruolo, pure effettuata dinanzi a tale ufficio giudiziario;

b. l’omessa pronuncia sulla eccepita inammissibilità dell’atto d’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c., in quanto esso non conteneva nè l’indicazione specifica delle parti del provvedimento che si intendevano impugnare nè tanto meno le “proposte di modifica” avanzate;

c. l’omessa pronuncia sulla inammissibilità dell’impugnazione, richiesta ex art. 348bis c.p.c., avente carattere pregiudiziale.

Tutti e tre i motivi sono infondati.

1.1. Sulla prima censura, il collegio osserva che l’atto aveva raggiunto il suo scopo in quanto la controparte si era regolarmente costituita dinanzi al Tribunale indicato nella parte conclusiva dell’appello e ciò, ex art. 156 c.p.c., impedisce la declaratoria di nullità; osserva altresì che l’intestazione riferita ad un diverso ufficio rappresenta una mera irregolarità, sanata dalla costituzione presso quello al quale era riferita la vocatio in ius e che la differente sede UNEP presso la quale era stata richiesta la notifica non rappresenta, in presenza della regolare costituzione del contraddittorio, un elemento valido ai fini della declaratoria di nullità invocata.

Sulla base di tali premesse, l’omessa pronuncia contestata – in ragione dell’infondatezza delle eccezioni esaminate per l’efficacia sanante della costituzione della controparte – rappresenta un implicito rigetto dei rilievi prospettati e non vale a pregiudicare la validità della sentenza che deve essere misurata in relazione alla sua sostanziale ratio decidendi sulla quale, per ciò che si dirà, il giudice d’appello ha colto nel segno.

1.2. Sulla secondo censura, il collegio condivide il principio, al quale intende dare seguito, secondo cui “gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata” (cfr. Cass. 27199/2017).

E, tanto premesso, va precisato che l’omessa pronuncia su tale eccezione è chiaramente traducibile in un suo implicito rigetto, visto che è stata emessa una decisione di merito: rappresenta infatti un principio ormai consolidato che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.” (cfr. Cass. 8053/2014; Cass. 23940/2017). 1.3. Sulla terza censura, ancora, il Collegio osserva che l’art. 348bis c.p.c. prevede la declaratoria di inammissibilità dell’appello ove l’impugnazione non abbia la ragionevole probabilità di esser accolta: ma, nel caso in cui il giudice ritenga che debba essere esaminata nel merito – così come nel caso di specie – l’omessa esplicita motivazione sulla richiesta non rappresenta un vizio cassatorio, in quanto il percorso argomentativo della decisione di merito contiene una implicita e logica reiezione dell’eccezione di inammissibilità che risponde ai criteri di sufficienza costituzionale.

2. Con il quarto motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente deduce error in procedendo ed in iudicando per violazione dell’art. 291 c.p.c.: contesta la decisione del Tribunale di disporre il rinnovo della notifica dell’atto d’appello e la mancata risposta al rilievo di inesistenza, per le stesse ragioni di cui alla prima censura.

Il motivo deve ritenersi assorbito da quanto argomentato in relazione all’esame della prima doglianza.

3. Con il quinto motivo (reiteratamente indicato come IV, per evidente lapsus calami), la ricorrente, infine, deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, error in procedendo ed error in iudicando: assume al riguardo che il Tribunale non aveva esaminato l’autorizzazione alla transazione dei funzionari istruttori amministrativi (inquadrati nella pianta organica dell’ente quali funzionari dell’Ufficio Sinistro) sottoscritta dal Dirigente della Provincia (prot. 5684 del 31.1.2014, dep. nel fasc. b); che l’atto era decisivo in quanto era stato proprio il dirigente a favorire la transazione, individuando i soggetti competenti a definirla e che, in ogni caso, non era stato correttamente qualificato il comportamento amministrativo di chi l’aveva firmata, riconducibile alla figura giuridica ed alla responsabilità del “funzionario di fatto”.

3.1 Il motivo è infondato.

3.2. Il Tribunale, infatti con motivazione congrua e logica, ha escluso la validità della transazione in quanto era stata sottoscritta da un funzionario privo di delega formale attribuita da parte del dirigente. Anche se il documento, pur richiamato (prot. 5684 del 31.1.2014), non è stato oggetto di specifica motivazione, le argomentazioni spese dal Tribunale risultano sufficienti rispetto alla ratio decidendi della sentenza: l’atto prodotto, infatti, presenta soltanto un invito al difensore della società a concordare un appuntamento per definire, attraverso una transazione giudiziale, il procedimento indicato in oggetto, ma non contiene alcuna delega del dirigente (ing. M.A.) al funzionario (Istr. Dir. Tec. D.S.), con la conseguenza che – come correttamente statuito con la sentenza impugnata – “tale atto non poteva avere effetti vincolanti per l’ente e non poteva determinare l’insorgenza di un pagamento a suo carico” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).

3.3. Il giudice d’appello, quindi, pur avendo omesso di descrivere l’esame del documento effettuato, ne ha implicitamente escluso la rilevanza attraverso le conclusioni che ne ha tratto ed ha applicato correttamente il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17 che prevede che la delega debba essere conferita con atto formale (” atto scritto e motivato”), assente nel caso di specie e certamente non riferibile al contenuto di esso: e, vale solo la pena di rilevare, rispetto alla richiamata responsabilità del “funzionario di fatto” che, nella presente controversia, il contraddittorio non risulta instaurato nei confronti di chi ha sottoscritto la transazione, ma soltanto contro la Provincia di Avellino.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte,

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2019

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