Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22528 del 27/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 27/09/2017, (ud. 11/07/2017, dep.27/09/2017),  n. 22528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. DI GERONIMO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24675-2013 proposto da:

COMUNE DI POTAMMO, domiciliate in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato GIUSEPPE NATALE;

– ricorrente –

contro

F. PONTE SPA, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA DEL FANTE 2,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PALMERI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ANGELO CUVA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 60/2013 della COMM.TRIB.REG. di PALERMO,

depositata il 16/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/07/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Fatto

RILEVATO

che il Comune di Palermo propone ricorso, affidato ad un motivo, per la cassazione della sentenza n. 60/35/13, depositata il 16/4/2013, della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, che ha respinto, con condanna al pagamento delle spese processuali, l’appello proposto avverso la decisione di primo grado, avente ad oggetto l’impugnazione della cartella di pagamento, per tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu), anno 2005, emessa nei confronti di F. Ponte s.p.a. dal predetto Comune siciliano;

che il Giudice di appello, in particolare, ha ritenuto illegittima, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, comma 2, l’applicazione di tariffe differenziate agli immobili adibiti ad alberghi, rispetto a quelli adibiti a civile abitazione, stante l’assenza, nel Regolamento Tarsu, di motivazione idonea a giustificare l’applicazione di maggiori tariffe alla categoria degli esercizi alberghieri;

che l’intimata società resiste con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorrente Comune deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, giacchè la CTR ha ritenuto che tale disposizione contempli in un’unica categoria locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, ed esercizi alberghieri, laddove il Regolamento del Comune di Palermo, approvato con Delib. Consiglio Comunale 26 febbraio 1997, art. 37 sulla base del quale è stato predisposto il ruolo Tarsu, ha legittimamente determinato la tassa dovuta da ciascuna classe di contribuenza, tenendo conto della maggiore capacità di produrre rifiuti che hanno gli alberghi rispetto alle civili abitazioni, inserendo i primi in una categoria distinta e tassabile con una diversa misura tariffaria;

che il motivo è fondato e merita accoglimento;

che la doglianza investe il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, comma 2, in relazione alla contestata applicazione, da parte del Comune di Palermo, agli immobili adibiti ad alberghi, rispetto a quelli adibiti a civile abitazione, di differenti tariffe, ed alla idoneità – contestata dalla contribuente – di una motivazione basata sul dato di comune esperienza della maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto alle civili abitazione;

invero, il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 8, sancisce che la tariffa determinata dagli enti locali, per cui legittimamente un Comune può introdurre una tariffa differenziata per fasce di utenza – quella domestica e quella non domestica – e in tal senso si è espressa questa Corte, da ultimo con la sentenza n. 16175/2016, secondo cui “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime: la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce, infatti, un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. n. 22 del 1997, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell’attività, il quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’ente impositore; i rapporti tra le tariffe, indicati dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 69, comma 2, tra gli elementi di riscontro della legittimità della delibera; non vanno d’altronde riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica” (cfr. anche Cass. n. n. 12859/2012; n. 302/2010; n. 13957/2008; n. 5722/2007);

che, inoltre, quanto alla rilevata mancanza di motivazione specifica di detti scostamenti, la sentenza trascura di considerare il principio secondo cui, “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 65, poichè la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile “ex post”, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili. ” (Cass. n. 7044/2014; n. 22804/2006);

che la contribuente deduce, in via subordinata, la illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68 rispetto agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto, ove si ammettesse, nel caso della Tarsu, la possibilità di applicazione di tariffe differenziate senza che tale diversificazione venga ancorata a coefficienti di produttività di rifiuti, si introdurrebbe un inammissibile principio di capacità contributiva presunta del contribuente, e si violerebbe nel contempo il principio di doglianza espresso dall’identità, riconosciuta dalla citata norma, di capacità produttiva di rifiuti tra abitazioni ed alberghi;

che “L’eccezione di incostituzionalità è manifestamente infondata, poichè la norma di legge, come interpretata, non autorizza l’ente impositore a ignorare l’indice di produttività dei rifiuti, semmai gli consente di esercitare una potestà regolamentare differenziata per categorie e sottocategorie di attività, in base a verificabili dati di comune esperienza. ” (Cass. n. 15050/2017);

che nella memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 1, la società contribuente propone istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia per l’interpretazione dell’art. 15 direttiva 2006/12/CE e dell’art. 14 direttiva 2008/98/CE, con riferimento al D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 65,68 e 69;

che, tuttavia, i presupposti del rinvio non sussistono, in quanto, come già questa Corte (Cass. n. 15050/2017 citata) ha avuto modo di osservare, “la norma comunitaria rappresenta atte clair, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia formatasi proprio in tema di esercizi alberghieri; il principio comunitario “chi inquina paga”, espresso dall’art. 15 direttiva 2006/12/CE e dall’art. 14 direttiva 2008/98/CE, pone il costo di smaltimento dei rifiuti a carico del produttore o detentore, ma non impedisce al diritto nazionale di differenziare il calcolo della tassa di smaltimento per categorie di utenti, spettando al giudice interno accertare che alle singole categorie non siano imposti “costi manifestamente non commisurati” (Corte giust. 16 luglio 2009, C-254/08, Futura Immobiliare), spettando cioè al giudice interno verificare la concreta osservanza del principio di proporzionalità (Corte giust. 18 dicembre 2014, C-551/13, Setar); il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia presuppone il dubbio interpretativo, essendo il rinvio inutile quando – come nella specie – l’interpretazione della norma comunitaria sia autoevidente o il senso della stessa sia stato già chiarito da precedenti pronunce della Corte di giustizia (Cass., sez. un., 24 maggio 2007, n. 12067, Rv. 597142); non rileva quindi il profilo applicativo “di fatto”, che resta affidato al giudice nazionale, laddove – come nella specie – non involga un’interpretazione generale ed astratta (Cass. 24 marzo 2014, n. 6862, Rv. 630701).”;

che, in conclusione, la sentenza impugnata va cassata e, in applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nei merito, con il rigetto del ricorso originario della contribuente;

Diversi della vicenda processuale giustifica la compensazione delle spese essuali del merito mentre, quelle del giudizio di legittimità, secondo soccombenza, sono poste a carico della intimata, le quali sono liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente. Compensa integralmente le spese del giudizio di merito e condanna la società intimata al pagamento delle spese dei presente giudizio che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), dà atto della non sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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