Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22528 del 10/09/2019

Cassazione civile sez. III, 10/09/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 10/09/2019), n.22528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5965-2015 proposto da:

B.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI

27, presso lo studio dell’avvocato GIOVAN CANDIDO DI GIOIA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI

(OMISSIS);

– intimato –

Nonchè da:

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS) in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è deciso per legge;

– ricorrente incidentale –

contro

B.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1232/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 14/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/05/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

Che:

1. B.L. ricorre, affidandosi a quattro motivi illustrati anche con memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Firenze che, riformando la pronuncia del Tribunale – con la quale era stata dichiarata prescritta la domanda da lei proposta per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalle trasfusioni di sangue infetto somministratele in occasione del parto e dalla epatite cronica HCV successivamente contratta – aveva riconosciuto la responsabilità del Ministero della Salute, detraendo tuttavia, dalla somma liquidata a titolo di risarcimento, l’indennizzo erogato ex L. n. 210 del 1992.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede, la Corte territoriale aveva pronunciato sentenza parziale (n 913/2013 del 9.5.2013 depositata il 19.9.2013) con la quale aveva respinto l’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero; ed aveva disposto la prosecuzione del giudizio che è stato definito con la pronuncia in esame.

2. L’intimato ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale anche contro la sentenza parziale della Corte fiorentina, fondato su due motivi.

3. All’udienza camerale del 18.10.2017, essendo emersa la rilevanza della questione inerente alla problematica della compensatio lucri cum damno che era stata rimessa, nelle more, alle sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. nn. 15534, 15535, 15536 e 15537/2017) la causa veniva rinviata a nuovo ruolo e successivamente fissata per l’adunanza camerale odierna.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Sul ricorso principale.

1.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. sotto due profili:

a. la Corte aveva riconosciuto la compensazione dell’indennizzo erogato ex L. 210/1992 nonostante che la questione fosse stata introdotta per la prima volta soltanto nel giudizio d’appello ed il Ministero non avesse affatto sollevato una specifica eccezione nè avesse formulato in tal senso corrispondenti conclusioni;

b. mentre il risarcimento era stato oggetto di quantificazione, l’indennizzo non era stato determinato nè era determinabile sulla base degli atti di causa: ciò avrebbe consentito di ipotizzare, in tesi, una modifica dell’importo a tale titolo percepito, senza alcuna impugnazione dell’atto amministrativo che lo aveva riconosciuto.

1.2. Con il secondo motivo, si deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e del principio del contraddittorio ex art. 111 Cost.: la ricorrente lamenta, al riguardo, che i documenti attestanti l’avvenuto pagamento dell’indennizzo erano stati prodotti soltanto in sede di comparsa conclusionale del giudizio d’appello (cfr. pag. 8 secondo cpv della sentenza impugnata), ed erano pertanto inammissibili perchè nuovi e prodotti “a contraddittorio chiuso” e cioè dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni.

1.3. Con il terzo motivo, si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. e l’erronea applicazione dell’istituto della compensatio lucri cum damno: la ricorrente assume che dalla documentazione prodotta doveva evincersi che l’indennità corrisposta era, comunque, indeterminata ed indeterminabile, ragione per cui l’eccezione di compensazione era stata erroneamente accolta, in mancanza dei presupposti.

1.4. Con il quarto motivo, infine, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione e falsa applicazione della medesima fattispecie e della L. n. 283 del 1997, art. 1 che prevedeva espressamente che l’indennizzo fosse cumulabile con qualsiasi altro emolumento.

2. L’ultimo motivo si pone come antecedente logico degli altri e deve, quindi, essere esaminato in via preliminare.

La censura si appunta sulla generale questione della detraibilità (o meno) dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, a carico del Ministero della Salute ed a vantaggio dei soggetti danneggiati da trasfusioni di sangue infetto, dal risarcimento del danno riconosciuto per lo stesso fatto.

2.1. Il problema – che riguarda, in via generale, il possibile diffalco anche di altre provvidenze indennitarie previste dalla legge – è stato recentemente risolto dalle sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. 12565/2018; Cass. 12564/2018; Cass. 12566/2018; Cass. 12567/2018): e, nonostante che nessuno dei casi posti all’attenzione della Corte riguardasse la materia oggi in esame, i principi che sono stati affermati ricalcano quelli propugnati in passato, sulla materia oggetto della controversia in esame, dal noto arresto portato da Cass. SUU 584/2008.

2.2. Deve pertanto darsi seguito al principio secondo il quale, nonostante che il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto abbia natura diversa rispetto all’attribuzione indennitaria regolata dalla L. n. 210 del 1992,” tuttavia, nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l’indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (“compensatio lucri cum damno”), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo” (cfr. Cass. SUU 584/2008; Cass. 20111/2014).

2.3. Conseguentemente, sulla specifica questione deve ritenersi acquisito il principio della non cumulabilità del risarcimento con l’indennizzo, nonostante la diversa natura delle erogazioni, non potendosi sottovalutare il fatto che provengono dallo stesso soggetto giuridico (Ministero) e che la compensatio rappresenta, nei casi in esame, una modalità per la liquidazione del ristoro rispetto al pregiudizio complessivamente derivante dalla condotta illecita, modalità con la quale è necessario evitare che da esso possa derivare al soggetto leso un ingiustificato vantaggio attraverso la percezione di una doppia forma di ristoro.

Il motivo, pertanto, deve essere respinto, in quanto la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione del principio sopra richiamato.

3. E, tanto premesso, anche la prima censura – che va esaminata per progressione logica – deve ritenersi infondata.

3.1. Infatti, in relazione al primo profilo sollevato, si osserva che la fattispecie invocata dal Ministero va qualificata come “eccezione in senso lato” e, pertanto, è prospettabile anche in grado d’appello e, addirittura, rilevabile d’ufficio, in presenza di materiale probatorio che lo consenta.

3.2. E’ stato, al riguardo, affermato che “in tema di risarcimento da emotrasfusione infetta, la “compensatio lucri cum damno” tra l’indennizzo corrisposto al danneggiato, ai sensi della L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1 e il risarcimento richiesto al Ministero della Sanità per l’omessa adozione di adeguate misure di emovigilanza, integra un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio e proponibile per la prima volta anche in appello” (cfr. Cass. 991/2014 ed, in termini, Cass. 2112/2000; Cass. 10531/2013; Cass. 5249/2016 e Cass. 17598/2017, Cass., 15534/2017Cass. SU 12566/2018).

3.3. In relazione al secondo rilievo prospettato (cfr. supra par. 1.1.b.), si osserva infine che la questione risulta irrilevante in quanto ove il risultato del diffalco fosse negativo, deve ritenersi intonso il provvedimento amministrativo che aveva riconosciuto l’indennizzo, visto che la decurtazione andrà a ripercuotersi sulla posta risarcitoria.

4. Il secondo motivo, invece, è fondato.

4.1. La censura investe, ancor prima della tardività della produzione documentale riguardante l’indennizzo corrisposto e la dedotta violazione dell’art. 345 c.p.c., la violazione del contraddittorio, in quanto pacificamente (cfr. sentenza impugnata, pag. 8) il documento riferito all’erogazione della provvidenza è stato prodotto unitamente alla comparsa conclusionale, dopo che la fase orale era stata chiusa e le conclusioni – che per la parte appellata Ministero della Salute non contenevano alcuna richiesta di compensazione erano state già precisate.

4.2. Al riguardo, questa Corte ha affermato il principio, riferibile all’osservanza dell’art. 111 Cost., secondo il quale, anche in appello, le prove documentali possono essere introdotte, salva la valutazione delle preclusioni, fino a quando la trattazione orale della causa non sia stata chiusa, con la conseguenza che la produzione attuata solo al momento del deposito della comparsa conclusionale si rivela tardiva e, quindi, inammissibile. (cfr. Cass. 25665/2014).

Il principio, affermato in punto di legittimazione processuale, è ugualmente valido per la prova delle circostanze fattuali oggetto dell’eccezione: la questione, infatti, attiene non alla “novità” della documentazione ed alle preclusioni regolate dall’art. 345 c.p.c., ma al rispetto del generale principio del contraddittorio.

4.3. A ciò consegue che la Corte territoriale non poteva tenere conto del documento depositato dal Ministero in allegato alla comparsa conclusionale del giudizio d’appello (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata), con la conseguenza che la detrazione statuita non può ritenersi sorretta da alcuna legittima evidenza processuale.

5. La sentenza pertanto deve essere, in parte qua, cassata.

5.1. E, al riguardo, va pure precisato che:

a. fermo restando quanto sopra argomentato in relazione alla natura dell’eccezione di compensazione, resta intatto il principio che è onere di chi la invoca dimostrarne il fondamento, ed in caso di insufficienza di prova, le conseguenze ricadranno sulla parte onerata che resterà tenuta al risarcimento integrale (cfr. Cass. 20111/2014 e Cass. 9434/2016 entrambe richiamate da 15534/2017 al cpv 5.5.);

b. nel caso in esame, l’inammissibilità della documentazione prodotta tardivamente a sostegno dell’eccezione – sia rispetto all’avvenuta liquidazione dell’indennizzo che alla sua quantificazione ed all’avvenuto pagamento – non potrebbe essere colmata con il giudizio di rinvio che prevede “un’istruzione chiusa” e che, pertanto, non consentirebbe l’introduzione di elementi di fatto nuovi e diversi da quelli già prospettati nei precedenti gradi del giudizio (cfr. Cass. 19424/2015; Cass. 26108/2018).

6. Non essendo, dunque, possibili altri accertamenti di fatto da demandare alla fase rescissoria, questa Corte può decidere nel merito, respingendo l’eccezione di compensazione sollevata.

7. Il terzo motivo rimane logicamente assorbito.

8. Sul ricorso incidentale.

8.1. Con il primo motivo, riferito alla sentenza parziale della Corte d’Appello di Firenze (n 913/2013 depositata il 19.9.2013), il Ministero della Salute deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2947 c.c. sulla prescrizione quinquennale dei diritti azionati: contesta che la prescrizione era stata fatta decorrere dal 2001 o dal 2003, con riferimento alla richiesta dell’indennizzo e non alla data in cui era stata accertata l’insorgenza della patologia (cioè il 1996), rispetto alla quale il termine doveva ritenersi definitivamente spirato.

8.2. Il motivo è infondato.

Questa Corte ha affermato che “il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio una malattia (nella specie, epatite HCV cronica poi evolutasi in cirrosi epatica) per fatto doloso o colposo di un terzo decorre non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui essa viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche” (cfr. ex multis Cass. 18521/2018; Cass. 22045/2017; Cass. 13745/2018; Cass. 4996/2017).

8.3. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tale principio, al quale questo Collegio intende dare seguito, ritenendo che l’exordium praescriptionis debba essere ricondotto non al momento in cui era stata diagnosticata l’HCV (1996) ma a quello in cui era stato dimostrato che la danneggiata avesse avuto percezione del nesso di causalità fra la malattia contratta e le trasfusioni alle quali era stata sottoposta ben sedici anni prima: e cioè ad epoca non antecedente all’arco temporale 2001-2003 nel quale la B. acquisì la consapevolezza della consequenzialità fra il danno subito e l’altrui condotta illecita.

8.4. Il Collegio osserva, al riguardo, che il ricorrente incidentale, nello sposare la diversa tesi, richiama la giurisprudenza di questa Corte che, oltre ad essere riferita ad una diversa dialettica processuale (Cass. 13185/2012), non contraddice il principio sopra richiamato, valorizzando proprio il momento in cui il soggetto pregiudicato ha avuto “la percezione del danno ingiusto, che, per essere tale, postula la consapevolezza che esso debba essere ricondotto al fatto del terzo” (cfr. anche Cass. 12445/2012): il principio, traslato all’ipotesi in esame, impone di giungere alla conclusione che la decorrenza della prescrizione debba essere riferita al momento in cui il danneggiato acquisisca, sulla base delle conoscenze scientifiche, la coscienza del nesso etiologico fra la malattia diagnosticata e la condotta negligente del Ministero in relazione alla vigilanza che doveva effettuare sulle emotrasfusioni.

9. Con il secondo motivo si lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2043 c.c. per insussistenza di una condotta colposa, visto che erano stati effettuati sulle sacche di sangue da trasfondere tutti i controlli necessari, come risultava dagli accertamenti del CTU.

9.1. La censura – che si duole dell’erronea interpretazione delle risultanze probatorie (cfr. pag. 15 del ricorso incidentale) – è inammissibile.

La critica, infatti, maschera una richiesta di rivalutazione di merito della CTU e degli accertamenti effettuati rispetto alla sacca di sangue del secondo donatore (unità 706) che, proprio alla luce della non rintracciabilità della persona, sono stati oggetto di esame e motivazione congrua e logica ed al di sopra della sufficienza costituzionale, con la conseguenza che il percorso argomentativo, adesivo alle risultanze dell’accertamento peritale, risulta incensurabile in questa sede.

10. In conclusione, il ricorso incidentale deve essere rigettato.

11. La sentenza impugnata, pertanto deve essere cassata in relazione al motivo accolto, sulla base dei seguenti principi di diritto:

– “le prove documentali possono essere introdotte, salva la valutazione delle preclusioni alla luce di quanto disposto dall’art. 345 c.p.c., fino a quando la trattazione orale della causa non sia stata chiusa, con la conseguenza che la produzione attuata solo al momento del deposito della comparsa conclusionale si rivela tardiva e, quindi, inammissibile”;

– “la compensatio lucri cum damno” tra l’indennizzo corrisposto al danneggiato, ai sensi della L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1 e il risarcimento richiesto al Ministero della Sanità per l’omessa adozione di adeguate misure di emovigilanza, integra un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio e proponibile per la prima volta anche in appello: tuttavia, resta intatto il principio che è onere di chi la invoca dimostrarne il fondamento ed, in caso di insufficienza di prova, le conseguenze ricadranno sulla parte onerata che resterà tenuta al risarcimento integrale”.

– “l’inammissibilità della documentazione prodotta tardivamente a sostegno dell’eccezione non può essere colmata in un giudizio di rinvio che prevede “un’istruzione chiusa” e che, pertanto, non consente l’introduzione di elementi di fatto nuovi e diversi da quelli già prospettati nei precedenti gradi del giudizio”.

12. Non essendo pertanto possibili ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito ed, in riforma della sentenza impugnata, ferma restando la condanna del Ministero della Salute al risarcimento del danno nella misura statuita dalla Corte territoriale, deve escludersi la detrazione degli importi corrisposti alla B. a titolo di indennizzo ex L. n. 210 del 1992.

13. Ferma altresì la liquidazione delle spese del grado d’appello, la Corte ritiene opportuno compensare interamente le spese del giudizio di legittimità in ragione della novità delle questioni affrontate, risolte dalle sezioni unite soltanto in data successiva alla proposizione del ricorso.

14. Si dispone l’oscuramento dei dati personali, ai sensi del REG UE 679/2016 e del D.Lgs. n. 201 del 2018.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il secondo motivo di ricorso principale, dichiara assorbito il terzo e rigetta il primo ed il quarto nonchè il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, in riforma della sentenza impugnata, ferma restando la condanna del Ministero della Salute al risarcimento del danno nella misura ivi statuita, esclude la detrazione degli importi corrisposti a titolo di indennizzo ex L. n. 210 del 1992.

Ferma la liquidazione delle spese della sentenza d’appello, compensa le spese del giudizio di legittimità.

Dispone l’oscuramento dei dati personali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2019

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