Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22528 del 07/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/11/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 07/11/2016), n.22528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15398-2015 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA SCROFA,

14, presso lo studio dell’avvocato CARLO SARRO, che lo rappresenta e

difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SUD PETROLI SNC di G.A. E S., in persona del suo legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MASSA SAN

GIULIANO 292, presso lo studio dell’avvocato ANGELO DI LORENZO,

rappresentata e difesa dagli avvocati FERDINANDO DI CERBO, ANGELO

LEONE giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8896/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

3/12/2014, depositata il 04/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ARIENZO ROSA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 6 ottobre 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Napoli accoglieva il gravame proposto dalla società SUD Petroli s.n.c. avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso di S.M., inteso al pagamento di differenze retributive e t.f.r. per un importo di Euro 15.985,86, e, per l’effetto, respingeva la domanda proposta dal predetto.

Rilevava la Corte che dai prospetti giornalieri di presenze era emerso il lavoro svolto dal S. e che tali prospetti erano stati dallo stesso sottoscritti, che dalla prova complessivamente raccolta la tesi del lavoratore era rimasta smentita, che anche le buste paga erano state sottoscritte, come ammesso in sede in interrogatorio formale dall’appellato, e che in tale complessivo contesto probatorio doveva ritenersi che il S. avesse effettivamente percepito quanto indicato in busta paga, non essendo stato provato che fossero state dallo stesso fornite prestazioni lavorative ulteriori e non retribuite rispetto a quanto effettivamente già retribuito dalla società.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il S. affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la società SUD Petroli.

Con il primo motivo, viene denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 4, osservandosi che il proposto gravame, pure avendo individuato le parti della sentenza di primo grado sottoposte a censura, non ha formulato alcuna richiesta in ordine alle modificazioni della ricostruzione compiuta dal primo giudice e del perchè si assume violata la legge, così da contrastare le ragioni addotte da quest’ultimo e incrinarne il fondamento logico giuridico.

Con il secondo motivo, viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c., artt. 214 e 215 c.p.c., rilevandosi che non erano stati tenuti in considerazioni la contestazione delle conformità delle buste paga prodotte in copie fotostatiche rispetto agli originali ed il disconoscimento delle firme apposte sugli originali delle buste paga stesse, con la conseguenza che la controparte era tenuta o ad esibire l’originale e, in ipotesi affermativa, a chiedere la verificazione della scrittura se la controparte avesse insistito nel disconoscerla, ovvero a fornire altre prove del suo assunto, ove avesse dimostrato di avere senza sua colpa smarrito il documento.

Con il terzo motivo, il S. si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, rilevando che quanto dichiarato in sede di interrogatori() formale in ordine alla firma apposta sulle buste paga non era stato valutato nei termini dovuti dalla Corte territoriale che aveva posto in correlazione le buste paga con quanto dichiarato dai testi escussi per ritenere che non fossero state rese prestazioni lavorative ulteriori rispetto a quelle già retribuite, a prescindere dall’attendibilità dei testi menzionati e dalla verosimiglianza delle deposizioni dagli stessi rese.

Il ricorso è infondato.

E’ stato chiarito da questa Corte che “la norma, di cui all’art. 434 c.p.c., nel testo introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54m comma 1, lett. c) bis, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 c.p.c. non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma, in ossequio ad una logica di razionalizzazione delle ragioni dell’impugnazione” impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente, sotto il profilo della latitudine devolutivi, il quantum appellatum e di circoscrivere l’ambito del giudizio di gravame, con riferimento non solo agli specifici capi della sentenza del Tribunale, ma anche ai passaggi argomentativi che li sorreggono”. Ha aggiunto la Corte che “sotto il profilo qualitativo, le argomentazioni che vengono formulate devono proporre le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo Giudice ed esplicitare in che senso tali ragioni siano idonee a determinare le modifiche della statuizione censurata chieste dalla parte” (v. Cass. 5.2.2015 n. 2143).

Nella citata pronuncia è stato poi anche rilevato “che, con il motivo di ricorso con il quale si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., comma 1, si denuncia un vizio che attiene alla corretta applicazione delle norme da cui è disciplinato il processo che ha condotto alla decisione dei giudici di merito, vizio che è pertanto ricompreso nella previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1), n. 4” e che “Poichè in tali casi il vizio della sentenza impugnata discende direttamente dal modo in cui il processo si è svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver procurato, si spiega il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale, in caso di denuncia di errores in procedendo del giudice di merito, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, inteso come fatto processuale (v. Cass. n. 24481 del 2014, Cass. n. 14098 del 2009; Cass. n. 11039 del 2006; Cass. n. 15859 del 2002; Cass. n. 6526 del 2002)”.

Ove i vizi del processo si sostanzino nel compimento di un’attività deviante rispetto alla regola processuale rigorosamente prescritta dal legislatore, così come avviene nel caso in cui si tratti di stabilire se sia stato o meno rispettato il modello legale di introduzione del giudizio, questa Corte, con pronuncia a s. u. n. 8077 del 2012, ha affermato che il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere – dovere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda. Tuttavia, affinchè possa procedersi a riscontrare mediante l’esame diretto degli atti l’intero fatto processuale, è necessario comunque che la parte ricorrente indichi gli elementi caratterizzanti il fatto processuale di cui si chiede il riesame, nel rispetto delle disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (ex plurimis, Cass. n. 24481 del 2014, Cass. n. 8008 del 2014, Cass. n. 896 del 2014, Cass. Sez. Un. n. 8077 del 2012, cit.).

Non risulta che le prescrizioni poste da tali articoli siano state nella specie rispettate, posto che nel presente ricorso, in dispregio dei richiamati canoni di autosufficienza, non vengono puntualmente illustrati i passaggi argomentativi della sentenza impugnata con riferimento al contenuto del ricorso in appello ed alla correlata sentenza di primo grado. Non ricorre, dunque, nemmeno una nullità della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto dal consentito esame della sentenza di primo grado e dell’atto d’appello si palesa corretta la soluzione implicitamente data dalla Corte di merito alla questione sollevata dalla parte.

Quanto al secondo motivo, è sufficiente osservare, al di là della corretto rilievo da parte della controricorrente, in ordine a quanto dichiarato dal S. sull’avvenuta sottoscrizione delle buste paga (affermazione resa in sede di interrogatorio formale dal predetto, sulla quale si fonda la decisione impugnata), che la richiesta di esibizione degli originali non è stata riproposta in sede di appello, non indicandosi da parte del ricorrente oneratone quando e come la detta eccezione sia stata riproposta, sicchè, in conformità a quanto previsto dall’art. 346 c.p.c., deve ritenersene la rinuncia, in forza del mancato accoglimento (assorbimento) della stessa in primo grado.

Infine, il terzo motivo deve essere dichiarato inammissibile alla luce del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 2, n. 5, alla luce della interpretazione fornitane dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. s. u. n. 8053 del 07/04/2014). E’ stato chiarito che, a seguito della modifica dell’art. 360, comma 1, n. 5 cit., il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge e, cioè, dell’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella sentenza “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”.

Ed infatti, perchè violazione sussista si deve essere in presenza di un vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”, fattispecie che si verifica quando la motivazione manchi del tutto oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum.

Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta).

Inoltre, il vizio può attenere solo alla questio facti (in ordine alle questi juris non è configurabile un vizio di motivazione) e deve essere testuale, deve, cioè, attenere alla motivazione in sè, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Quanto invece allo specifico vizio previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in cui è scomparso il termine motivazione, deve trattarsi di un omesso esame di un fitto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Le Sezioni unite hanno specificato che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

L’evidente, quindi, che il motivo all’esame non presenti alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360, comma 1, n. 5 così come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte. Ed infatti non lamenta l’omesso esame di un fatto storico ma si risolve nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito) ai fini della ricostruzione dei fatti.

Peraltro, non può non rilevarsi che la Corte di merito ha proceduto ad una analitica disamina delle risultanze della prova testimoniale e della documentazione acquisita.

Alla stregua delle esposte considerazioni, si propone il rigetto del ricorso in sede camerale”.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le conclusioni della relazione e concorda, pertanto, sul rigetto del ricorso. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dare atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228,, art. 1, comma 17, (Cfr. Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento) delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 2900,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborsi delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2016

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