Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22527 del 28/10/2011

Cassazione civile sez. I, 28/10/2011, (ud. 12/07/2011, dep. 28/10/2011), n.22527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 26658 dell’anno 2005 proposto da:

V.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Sistina,

n. 121, nello studio dell’Avv. DE BELLIS Gabriele, che lo rappresenta

e difende, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI RIMINI, in persona del Sindaco p.t., elettivamente

domiciliato in Roma, Viale Giulio Cesare, n. 14, nello studio

dell’Avv. Maria Teresa Barbantini; rappresentato e difesa dall’Avv.

BERNARDI Wilma Marina, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna, n. 416,

depositata in data 31 marzo 2005;

sentita la relazione all’udienza del 12 luglio 2011 del Consigliere

Dott. Pietro Campanile;

Sentito l’Avv. Barbantini, munita di delega, per il Comune, che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Federico Sorrentino, il quale ha concluso per

l’inammissibilità, o, comunque, per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – V.S., proprietario di un’area oggetto di espropriazione da parte del Comune di Rimini al fine di realizzare l’ampliamento del cimitero monumentale, non accettava l’indennità provvisoria, pari a L. 15.860.580, di talchè la competente Commissione provinciale determinava l’indennità definitiva il L. 182.180.000.

1.1 – Avverso tale stima proponeva opposizione il Comune di Rimini, che conveniva il predetto davanti alla Corte di appello di Bologna, chiedendo che fosse determinata la giusta indennità di occupazione.

1.2 – Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte territoriale, rilevato, sulla scorta delle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio che, al momento dell’esproprio, l’area era inserita in un comparto classificato, in parte, come “zona agricola normale” e nel resto come “zona per cimitero” o “area di rispetto cimiteriale”, da un lato riaffermava la non edificabilità dell’area gravata dal vincolo cimiteriale, dall’altro osservava che la dedotta possibilità di ampliamento dei fabbricati rurali non consentiva di escludere la natura agricola del terreno. Rilevata, infine, l’assenza di elementi deponenti nel senso del deprezzamento della residua proprietà del V., la corte determinava l’indennità in Euro 10.742,30, con gli interessi legali sulla differenza con l’importo già depositato a titolo di indennità provvisoria, dal 6 aprile 1999 fino al versamento della somma dovuta.

1.3 – Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione, deducendo un unico e complesso motivo, illustrato con memoria.

Resiste con controricorso il Comune di Rimini.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Il ricorso è in parte inammissibile, ed in parte infondato.

Vengono, invero, prospettati diversi profili di censura, come violazione e falsa applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, della L. n. 865 del 1971, art. 16 e art. 338 TU LL.SS. approvato con R.D. n. 1265 del 1934, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; motivazione illogica, incongrua, insufficiente e contraddittoria in merito a un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè “erroneità dei presupposti di fatto e di diritto assunti dalla sentenza”.

2.1 – Il mezzo, per come prevalentemente formulato, non rispecchia i criteri dettati dall’art. 366 c.p.c., come interpretati da un consolidato orientamento di questa Corte.

Il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 – in particolare – deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr., Cass., 10 settembre 2010, n. 19282; Cass.,8 marzo 2007, n. 5353).

2.2 – Nel ricorso in esame, all’enunciazione delle norme asseritamente violate, come sopra riportate, segue una mera elencazione di errori attribuiti alla corte territoriale, con particolare riferimento alla qualificazione dell’intera area come agricola. Non risultano, tuttavia, indicate le ragioni in base alle quali i principi affermati nella decisione impugnata implicherebbero erronea applicazione delle norme applicate, così come, quanto al dedotto vizio motivazionale, non vengono specificati i passaggi della motivazione della sentenza scrutinata da considerarsi illogici o contraddittori, in riferimento a punti decisivi della controversia.

Di certo, non può attribuirsi una funzione vicaria degli inderogabili requisiti, testè indicati, alla trascrizione, pressochè integrale, della comparsa conclusionale prodotta dai ricorrenti nel giudizio di merito, la quale, se non altro per evidenti limiti di ordine cronologico, non può contenere, così come non contiene (risolvendosi in buona parte nella riproposizione delle osservazioni del consulente tecnico di fiducia), alcuna critica dell’emananda decisione.

Sotto tale profilo mette conto di evidenziare, quanto al dedotto deprezzamento dell’area residua, che non risultano specificamente censurate le perspicue osservazioni al riguardo svolte dalla corte territoriale.

2.3 – Quanto alla ricognizione giuridica dell’area sottoposta a vincolo cimiteriale, la decisione scrutinata risulta conforme al costante orientamento di questa Corte: Cass., 22 aprile 2010, n. 9631; Cass., 29 novembre 2006, n. 25364; Cass., 23 giugno 2004, n. 11699).

2.4 – Dovendosi, quindi, constatare la correttezza dell’esclusione della natura edificabile del terreno oggetto della procedura in esame, non può omettersi di rilevare che nella presente vicenda processuale assume rilievo la recente pronuncia n. 181 del 2011 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità della L. n. 865 del 1971, art. 16, confermato dalla L. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4, per contrasto con l’art. 42 Cost., comma 3 e art. 117 Cost..

Questa Corte Suprema, così come del resto affermato in relazione alla declaratoria di incostituzionalità della normativa relativa ai suoli aventi natura edificatoria, ritiene che in merito all’individuazione del criterio legale di stima non sia concepibile la formazione di un giudicato autonomo, in quanto il bene della vita alla cui attribuzione tende l’opponente alla stima è l’indennità, liquidata nella misura di legge, non già l’indicato criterio legale.

Tale principio deve trovare applicazione allorchè l’espropriato abbia reagito alla stima della Corte territoriale (con il meccanismo dei VAM) operata sul presupposto della destinazione agricola/non edificatoria del terreno, assumendone invece (pur se infondatamente) la natura edificatoria: posto che anche in questo caso ricorre il problema del rapporto fra giudizio di Cassazione e declaratoria di incostituzionalità retroattiva di una norma; e perchè il problema si pone negli stessi termini, dato che la pronuncia di illegittimità costituzionale non si applica ai soli rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità (Cass., n. 16450 del 2006; n. 15200 del 2005; n. 22413 del 2004).

Nessuna di queste ipotesi si è verificata nel caso concreto posto che l’espropriato con il motivo di impugnazione in esame ha impedito la definitiva ed immodificabile determinazione dell’indennità, ponendo in discussione proprio il criterio legale utilizzato dalla Corte territoriale, tenuto conto che il relativo capo della sentenza riposa sulla premessa dell’applicabilità della L. n. 865 del 1971, art. 16 e della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4.

2.5 – Una volta venuti meno, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale, i criteri riduttivi suddetti, la Corte deve ribadire quanto già affermato dopo la menzionata sentenza 348/2007 della Corte costituzionale relativa ai suoli edificatori:

che cioè per la stima dell’indennità torna nuovamente applicabile il criterio generale dell’indennizzo pari al valore venale del bene, fissato dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, che è l’unico criterio ancora vigente rinvenibile nell’ordinamento, e per di più non stabilito per singole e specifiche fattispecie espropriative, ma destinato a funzionare in linea generale in ogni ipotesi o tipo di espropriazione salvo che un’apposita norma provvedesse diversamente.

E che quindi nel caso concreto si presenta idoneo a riespandere la sua efficacia per colmare il vuoto prodotto nell’ordinamento dall’espunzione del criterio dichiarato incostituzionale (Cass., n. 4602/1989; 3785/1988; sez. un. 64/1986): anche per la sua corrispondenza con la riparazione integrale in rapporto ragionevole con il valore venale del bene garantita dall’art. 1 del Protocollo allegato alla Convenzione europea,nell’interpretazione offerta dalla Corte EDU. L’applicazione del criterio in questione da parte del giudice di rinvio comporta necessariamente l’estensione anche alla stima dell’indennizzo in questione dei medesimi principi già applicati per quello rivolto a risarcire l’espropriazione illegittima degli stessi fondi non edificatori; i quali impongono di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio: perciò consentendo pure al proprietario interessato da un’espropriazione rituale, di dimostrare sempre all’interno della categoria suoli/inedificabili, anche attraverso rigorose indagini tecniche e specializzate, che il valore agricolo, da determinarsi in base al relativo mercato, sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà. E, quindi, che il fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell’edificatorietà, abbia un’effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.): semprecchè assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative.

2.6 – Va quindi cassata la sentenza impugnata che non ha compiuto i suddetti accertamenti; il giudizio va rinviato alla stessa Corte di appello di Bologna, che in diversa composizione si adeguerà ai principi avanti enunciati.

P.Q.M.

La Corte pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2011

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