Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22525 del 27/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 27/09/2017, (ud. 11/07/2017, dep.27/09/2017),  n. 22525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. DI GERONIMO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17663-2013 proposto da:

COMUNE DI PALERMO, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato ANGELA PROVENZANI (avviso postale ex art. 135);

– ricorrente –

contro

PRIMULA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA DEL FANTE 2,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PALMERI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ANGELO CUVA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 151/2012 della COMM.TRIB.REG. di PALERMO,

depositata il 18/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/07/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Fatto

RILEVATO

che il Comune di Palermo propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza n. 151/35/12, depositata il 18/12/2012, della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, che ha respinto l’appello proposto avverso la decisione di primo grado, favorevole a Primula s.r.l., compensando le spese processuali;

che il Giudice di appello, in particolare, ha rilevato che il TAR Sicilia, con sentenza n. 1550/2009, aveva annullato la delibera della Giunta Comunale n. 165/2006 (Tarsu anno 2006), contemplante la tariffazione confermata dalle delibere per le annualità successive, rientrando la modifica delle tariffe nelle competenze esclusive del Consiglio Comunale, e che per tale ragione andava disapplicata, giusta D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, anche la Delib. n. 120 del 2008 (Tarsu anno 2008), in quanto illegittimamente adottata dalla Giunta Comunale, ed ancora, che dall’applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, comma 2, discende l’illegittimità della delibera comunale di approvazione del Regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa superiore a quella applicabile a queste ultime, stante la comune potenzialità di produzione di rifiuti;

che l’intimata società resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorrente Comune con il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L.R. n. 7 del 1992, art. 13, comma 1, L.R. n. 48 del 1991, art. 1, lett. a), art. 49 dello Statuto del Comune di Palermo, giacchè ia CTR non ha considerato che la mera variazione della Tariffa Tarsu, a fronte del variare dei costi, è da considerare atto gestionale-applicativo, che rientra nella disciplina di dettaglio, non riconducibile quindi tra gli atti di regolamentazione generale del tributo, quali ad esempio l’individuazione di categorie di soggetti obbligati e la fissazione di esenzioni o agevolazione, per cui, sulla base della normativa regionale applicabile, spetta alla Giunta Comunale la competenza a disporre le variazioni delle aliquote dei tributi comunali, e giammai al Consiglio Comunale;

che con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, giacchè la CTR ha ritenuto che tale disposizione inserisca in un’unica categoria locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri, laddove il Regolamento del Comune di Palermo, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 37 del 26/2/1997, sulla base del quale è stato predisposto il ruolo Tarsu, del tutto legittimamente ha determinato la tassa dovuta da ciascuna classe di contribuenza, tenendo conto della maggiore capacità di produrre rifiuti che hanno gli alberghi rispetto alle civili abitazioni, inserendo i primi in una categoria distinta e tassabile con una diversa misura tariffaria;

che i suesposti motivi sono fondati e meritano accoglimento;

che, invero, la sopra indicata sentenza del TAR Sicilia ha posto nel nulla la delibera TARSU 165/2006, tra l’altro, per vizio di incompetenza della Giunta Comunale a deliberare e, conseguentemente, secondo il Giudice di appello, anche la delibera di Giunta – mai annullata dal giudice amministrativo – che ha successivamente confermato, per l’anno 2008, aliquote, tariffe e detrazioni relative ai tributi comunali precedenti, risulta inficiata dallo stesso vizio, oggetto di specifica contestazione da parte della contribuente, cosa che ne consente la disapplicazione da parte del giudice tributario;

che, tuttavia, riguardo alla esclusione dell’ estensione del giudicato, occorre ricordare l’orientamento di questa Corte secondo il quale, “nel vigore della L. 8 giugno 1990, n. 142 di riforma del sistema delle autonomie locali, è vero che il potere regolamentare di determinare le tariffe in tema di tassa per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti solidi urbani spettava al Consiglio Comunale, competente in via esclusiva ad adottare i provvedimenti relativi alla determinazione ed all’adeguamento delle aliquote del tributo. Tuttavia qualora la delibera della Giunta Comunale in ordine alla tariffazione fosse stata adottata in esecuzione e conformità alla delibera del Consiglio Comunale doveva ritenersi del tutto legittima, in quanto contenente semplici variazioni tariffarie, in conformità alla L. n. 142 del 1990 e T.U. n. 267 del 2000.” (Cass. n. 11916/2016), ed ancora, che “Nella vigenza della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 32, comma 2, lett. g), la concreta determinazione delle aliquote delle tariffe per la fruizione di beni e servizi (nella specie, per l’uso di una piscina comunale) è di competenza della Giunta e non del Consiglio comunale: sia perchè il riferimento letterale alla “disciplina generale delle tariffe” contenuto nella disposizione, contrapposto alle parole “istituzione e ordinamento” adoperato per i tributi, rimanda alla mera individuazione dei criteri economici sulla base dei quali si dovrà procedere alla lo-o determinazione; sia perchè i provvedimenti in materia di tariffe non sono espressione della potestà impositiva dell’ente, ma sono funzionali all’individuazione del corrispettivo del servizio da erogare, muovendosi così in un’ottica di diretta correlazione economica tra soggetto erogante ed utenza, estranea alla materia tributaria. ” (Cass. n. 360/2014; n. 8336/2015);

che, nel caso di specie, la Tarsu richiesta si riferisce all’anno 2008, epoca in cui era già entrato in vigore il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 TUEL (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), il quale ha sancito la competenza del Consiglio Comunale sulla istituzione e ordinamento dei tributi, con espressa esclusione della determinazione delle relative aliquote, che in via residuale è stata attribuita alla Giunta comunale, al contrario del previgente L. n. 142 del 1990, art. 32;

che, con riferimento alla situazione della Regione Sicilia, occorre osservare, come già questa Corte ha avuto modo di precisare, in similare controversia, “che lo Statuto del Comune di Palermo nel disciplinare la ripartizione delle competenze organiche, ha disposto all’art. 49 che “la Giunta Municipale procede a variazione delle tariffe ed aliquote dei tributi entro i limiti indicati dalla legge e dal Consiglio Comunale” e nella fattispecie non risulta censurata l’inosservanza dei limiti indicati dalla legge o dal Consiglio Comunale da parte della Giunta. ” (Cass. n. 11961 del 2016 citata);

che va da sè che l’impugnata cartella non ha quale atto presupposto la delibera della Giunta Comunale (la n. 165/2006), annullata dal TAR Sicilia, con la richiamata sentenza n. 1550/2009, bensì una successiva Delib. (la n. 120 del 2008), che a prescindere dal rapporto contenutistico con la precedente, è autonomamente idonea a sorreggere l’atto impositivo impugnato;

che, riguardo all’ulteriore profilo di doglianza che investe il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, comma 2, in relazione alla applicazione, da parte del Comune di Palermo, agli immobili adibiti ad alberghi rispetto a quelli adibiti a civile abitazione, di differenti tariffe, è sufficiente osservare che il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 8, sancisce che la tariffa è determinata dagli enti locali, per cui legittimamente un Comune può introdurre una tariffa differenziata per fasce di utenza – quella domestica e quella non domestica – atteso che, in conformità con l’orientamento reiteratamente espresso da questa Corte, da ultimo con la sentenza n. 16175/2016, “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime: la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce, infatti, un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. n. 22 del 1997, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell’attività, il quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’ente impositore; i rapporti tra e tariffe, indicati dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 69, comma 2, tra gli elementi di riscontro della legittimità della delibera, non vanno d’altronde riferiti alta differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica.” (cfr. anche Cass. n. n. 12859/2012; n. 302/2010; n. 13957/2008; n. 5722/2007);

che, in conclusione, la sentenza impugnata va cassata e, in applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito con il rigetto del ricorso originario della contribuente;

che l’evolversi della vicenda processuale giustifica la compensazione delle spese processuali del merito mentre quelle del giudizio di legittimità, secondo soccombenza, sono poste a carico della intimata e liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente. Compensa integralmente le spese dei giudizio di merito e condanna la intimata al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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