Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22525 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. III, 16/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 16/10/2020), n.22525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29450/2019 proposto da:

D.M., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv.to

Christian Padalino

(padalino.christianavvocatifoggia.legalmailmail.it) giusta procura

speciale allegata al ricorso, elettivamente domiciliato presso lo

studio dell’avv.to Matteo Di Perna in Roma via Luigi Pastor n. 12;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n 551/2019 della Corte d’Appello di Venezia

depositata il 19.2.2019.

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30.6.2020 dal Cons. Antonella Di Florio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. M.D., cittadino del (OMISSIS), ricorre affidandosi a sei motivi per la cassazione della sentenza delle Corte d’Appello di Venezia che aveva confermato l’ordinanza del Tribunale con la quale era stata respinta la domanda da lui proposta per ottenere, in via gradata, il riconoscimento delle forme di protezione internazionale previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 (stato di rifugiato), dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 (protezione sussidiaria) ed, in via subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis), atteso il rigetto della domanda avanzata in via amministrativa dinanzi alla competente Commissione Territoriale.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede, il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal proprio paese (e di essere giunto in Italia dal 2013) a causa dalla persecuzione posta in essere nei suoi confronti dallo zio che aveva già assassinato suo padre per ragioni ereditarie.

2. Il Ministero non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 4 e 32 ed, in particolare, dei principi di correttezza e buon andamento dell’attività amministrativa.

1.1 Lamenta che il provvedimento della Commissione territoriale impugnato era stato redatto e sottoscritto soltanto dal Presidente e che ciò ne determinava la nullità assoluta anche per “eccesso di potere” visto che mancava il provvedimento di delega per l’estensione del decreto e che era altresì assente “la certificazione” del Segretario della Commissione.

1.2. Il motivo è inammissibile per duplice mancanza di autosufficienza. Dall’esame della sentenza impugnata, infatti, la questione in esame non risulta ricompresa fra le censure proposte in appello nè il ricorso presenta la trascrizione del provvedimento amministrativo oggetto di censura.

1.3.Questa Corte, al riguardo, ha avuto modo di affermare che “qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa. (cfr. ex multis Cass. 28480/2005; Cass. 32804/2019; Cass. 23834/2019; e sulla necessità di riportare il contenuto della fonte rispetto alla quale è formulata la censura cfr. Cass. SU 7161/2010; Cass. 6735/2019).

2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento di diniego di riconoscimento dello stato di rifugiato: assume che la vicenda narrata doveva essere considerata un valido presupposto per il riconoscimento della maggiore forma di protezione invocata, trattandosi di una forma di persecuzione riconducibile alle previsioni della Convenzione di Ginevra.

2.1.Il motivo è inammissibile.

2.3.Il ricorrente, infatti, si limita a censurare il diniego contrapponendo genericamente la propria tesi difensiva, fondata sul preteso ed apodittico collegamento fra la vicenda narrata ed il riconoscimento dello status invocato, alla statuizione impugnata che, con motivazione al di sopra della sufficienza costituzionale ed aderendo alle argomentazioni del Tribunale, ha escluso che ricorressero i presupposti dello status persecutionis (riconducibile all’appartenenza ad un’etnia, associazione, credo politico o religioso o tendenze o stili di vita) in ragione della natura meramente privata e familiare della vicenda narrata, connessa a contrasti per ragioni ereditarie i cui connotati privati erano anche rimasti parzialmente in ombra (cfr. pag. 4 u. cpv sentenza impugnata).

2.4. A fronte di tale argomentazione, nessun elemento conducente è stato specificamente prospettato dalla parte ricorrente.

3. Con il terzo motivo, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9 e 14 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a, b, e c e art. 19. Lamenta che le domande poste al ricorrente in sede di audizione si traducevano nella stesura di un verbale generico e non approfondito escludendo la possibilità di fornire alla Commissione un maggior numero di informazioni utili.

3.1. Anche tale censura è inammissibile per l’assoluta genericità dei rilievi.

Il ricorrente, invero, non ha affatto indicato quali fossero i fatti che non aveva potuto illustrare attraverso l’audizione dinanzi alla commissione nè ha trascritto il verbale (o indicato la sede processuale in cui esso poteva essere rinvenuto) al fine di consentire alla Corte di apprezzare le carenze denunciate (cfr. al riguardo Cass. SU 28547/2008; Cass. 20535/2009; Cass. 12288/2016; Cass. 5478/2018; e, da ultimo, Cass. SU 34469/2019).

4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la violazione del diritto di difesa e l’omessa traduzione del diniego in lingua conosciuta, con riferimento sia al provvedimento amministrativo che alla sentenza impugnata.

4.1. Quanto alla mancata traduzione del decreto della Commissione territoriale, il motivo è inammissibile trattandosi di censura nuova, mai prospettata nell’atto d’appello.

4.2. La stessa sorte, con riferimento all’art. 360 bis c.p.c., deve essere riservata al rilievo relativo alla mancata traduzione della sentenza impugnata in ragione della consolidata interpretazione dell’art. 122 c.p.c. che prescrive l’uso della lingua italiana negli atti processuali (cfr. ex multis Cass. 22979/2019).

5. Con il quinto motivo si deduce, ancora, la violazione dell’art. 10 Cost..

5.1. Il motivo è inammissibile, ex art. 360bis c.p.c..

5.2. Il ricorrente lamenta, infatti, che il diritto di asilo costituzionale, si porrebbe come misura ulteriore rispetto alle forme di protezione invocate e che la Corte aveva omesso di considerare che anche sotto tale profilo doveva essere riconosciuto lo stato di rifugiato: ma in tal modo omette di considerare che la giurisprudenza di questa Corte si è reiteratamente espressa in senso contrario, affermando che tale principio costituzionale “è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti, costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, (cfr Cass. 16362/2016; Cass. 11110/2019).

6. Con il sesto motivo, infine, lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 ed il mancato riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari assumendo che esso doveva essere concesso come strumento subordinato, in mancanza dei requisiti per il riconoscimento dello stato di rifugiato.

6.1. Il motivo è inammissibile per assoluta mancanza di specificità.

6.2. Premesso, infatti, che la protezione umanitaria è una misura individualizzante prevista per le ipotesi in cui il ricorrente che non abbia diritto alle c.d. “protezioni maggiori” dimostri di aver raggiunto un sufficiente grado di integrazione nel paese di accoglienza ed il giudice valuti, in termini comparativi, il rischio di violazione dei suoi diritti fondamentali nell’ipotesi di rimpatrio (cfr. ex multis Cass. 4455/2018; Cass. SU 29459/2019), il ricorrente ha del tutto omesso di allegare in quale errore sarebbe incorsa la Corte Territoriale nel negare la misura invocata: rispetto al paradigma testè richiamato, la statuizione dei giudici d’appello risulta, invero, al di sopra della sufficienza costituzionale anche perchè si fonda sulla valorizzazione delle medesime carenze di prospettazione in questa sede reiterate (cfr. pag. 6, secondo cpv sentenza impugnata).

7. In conclusione il ricorso è inammissibile.

8. L’omessa difesa del Ministero esime il Collegio dalla decisione sulle spese.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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