Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22524 del 07/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/11/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 07/11/2016), n.22524

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14986/2015 proposto da:

D.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO,

62, presso lo studio dell’avvocato SEBASTIANO RIBAUDO, rappresentata

e difesa dall’avvocato ANTONIO MARIO DI FRANCESCO, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDINZA SOCIALE, in persona del

suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELA

CAPANNOLO, MAURO RICCI, CLEMENTINA PULLI, giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1809/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA del

20/11/2014, depositata il 18/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato Clementina Pulli difensore del controricorrente che

insiste per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 6 ottobre 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con sentenza del 18.12.2014, la Corte di appello di Messina, in riforma della decisione di primo grado – che aveva accolto la domanda proposta da D.R., intesa ad ottenere il riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità negato all’esito del procedimento amministrativo di conferma della prestazione già erogata – rigettava la domanda dell’assicurata. Nel pervenire a tale decisione, all’esito di nuova ctu medico legale e dei disposti chiarimenti da parte dell’ausiliare officiato, la Corte osservava che doveva essere condivisa la valutazione espressa da quest’ultimo, che aveva rilevato la sussistenza di invalidità permanente in misura inferiore al minimo previsto dalla legge per la prestazione richiesta in relazione allo stato patologico accertato, inidoneo ad impedire all’appellato lo svolgimento delle attività lavorative già svolte con saltuarietà, aventi caratteristiche di manualità.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la D., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, l’INPS.

Deduce la ricorrente violazione e falsa applicazione della L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, nonchè erroneità ed insufficienza dalla motivazione su di un punto rilevante e decisivo della controversia, rilevando che la Corte di Messina aveva proceduto ad una lettura parziale della ctu disposta in seconde cure, senza tenere in alcuna considerazione la consulenza medico-legale finale integrata anche dalle valutazioni e conclusioni dell’ausiliare alla luce delle osservazioni e dei rilievi delle parti.

Osserva che, con riferimento alla domanda di conferma dell’assegno, assuma fondamentale rilievo l’individuazione, con certezza, da parte del CTU, della data di decorrenza dell’invalidità ovvero di quella in cui il requisito sanitario sia venuto a cessare e che nella specie l’ausiliare aveva integrato, a seguito di rilievi della parte, la relazione medico legale precisando (nei chiarimenti depositati in data 11.2.2014) che la data di decadenza dal beneficio era quella del 1 gennaio 2013, onde tali conclusioni avrebbero dovuto condurre al rigetto del gravame. Assume la totale carenza di motivazione al riguardo, essendosi il giudice di appello discostato dal parere espresso dal CTU senza dare alcun conto di del proprio dissenso dallo stesso.

Con il secondo motivo, viene denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 445 c.p.c., ed erroneità ed insufficienza della motivazione su di un punto rilevante e decisivo della controversia, osservandosi che non sono state esplicitate valide ed obiettive ragioni per le quali la Corte di appello abbia ritenuto prima, in assenza di espressa censura alla Ctu di primo grado, di procedere a nuova indagine peritale e, poi, di uniformarsi alle risultanze della seconda ctu senza specificare le ragioni che avevano portato ad escludere la fondatezza delle conclusioni raggiunte dalla consulenza espletata in primo grado.

Va premesso che è consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico d’ufficio, e ciò sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche e che, in ambedue i casi, l’unico onere incontrato dal giudice è quello di un’adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto Cfr. Cass. 7.8.2014 n. 17757).

Le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno, invero, efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. Trattandosi di una questione meramente tecnica, è richiesta adeguata dimostrazione, da parte del giudice, che pervenga a conclusioni difformi da quelle del Ctu, di avere potuto risolvere, sulla base di corretti criteri e di cognizioni proprie, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione (cfr. Cass. 3.3.2011 n. 5148).

Orbene, alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi che il vizio denunciato col primo motivo, che si traduce nella prospettata violazione delle norme richiamate in rubrica (posto che la Corte ha ritenuto che la riduzione della capacità di lavoro non si fosse mai verificata, laddove il CTU aveva ritenuto che le condizioni previste dalla L. n. 222 del 1984, art. 1, non potessero ritenersi sussistenti nel periodo successivo al 1.1.2013) e, in aderenza al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, secondo il paradigma imposto dalla nuova versione di tale norma, vigente ratione temporis, sia sussistente in ragione della mancanza di un motivato dissenso dalle conclusioni dell’ausiliare e che il vizio indicato assuma il carattere di decisività, potendo fondatamente ritenersi che in sua assenza altro sarebbe stato l’esito del giudizio.

Secondo la nuova versione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Dunque, per le fattispecie ricadenti ratione temporis nel regime risultante dalla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge. La legge in questo caso è l’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella sentenza “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”. Perchè la violazione sussista, secondo le Sezioni Unite, si deve essere in presenza di un vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. Mancanza di motivazione si ha quando la motivazione manchi del tutto oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum” (cfr. Cass. S. u. 8053/2014).

La prospettazione del vizio, sia pure in termini difformi da quelli indicati, è tale da evidenziare l’assoluta carenza motivazionale in ordine ad un elemento dotato del carattere di decisività, quale è la data a partire dalla quale è stata ritenuto dal Ctu il venir meno del requisito sanitario che aveva condotto in sede amministrativa alla mancata conferma dell’assegno ordinario di invalidità in sede di revisione periodica.

La proposta del relatore è pertanto nel senso dell’accoglimento del ricorso (il secondo motivo è da ritenere assorbito), potendo il ricorso essere trattato in sede camerale, con conseguente cassazione della decisione e rimessione alla Corte del merito per l’esame del fatto decisivo, omesso nella pronunzia impugnata”.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto, sull’ accoglimento dell’impugnazione nei sensi precisati, con cassazione della decisione impugnata e rinvio alla Corte di appello designata in dispositivo anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa la decisione impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Messina in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2016

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