Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22522 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. III, 16/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 16/10/2020), n.22522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28702/2019 proposto da:

M.S., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv.to

Elena Petracca (elena.petracca.rovigoavvocati.it) con studio in

Rovigo via Badaloni 19, giusta procura speciale allegata al ricorso,

e domiciliato in Roma piazza Cavour presso la cancelleria civile

della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n 2163/2019 della Corte d’Appello di Venezia

depositata il 28.5.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30.6.2020 dal Cons. Antonella Di Florio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. M.S., cittadino del Mali ricorre, affidandosi a tre motivi per la cassazione della sentenza delle Corte d’Appello di Venezia che aveva confermato l’ordinanza del Tribunale con la quale era stata respinta la domanda da lui proposta per ottenere, in via gradata, il riconoscimento della protezione sussidiaria, previste dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 nelle sue varie ipotesi ed, in via subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis), in ragione del rigetto della domanda avanzata in via amministrativa dinanzi alla competente Commissione Territoriale.

1.1.Per ciò che interessa in questa sede, il ricorrente aveva narrato di aver lasciato il Mali per una faida familiare generata da una lite per la ripartizione di terreni: in ragione di ciò era stato minacciato di morte da uno zio e dal cugino che erano stati arrestati anche per aver ucciso il proprio fratello nel corso di una lite.

1.2. Ha aggiunto di non poter contare sulla tutela delle forze dell’ordine che, nel paese di origine, erano del tutto inerti.

2. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente, chiedendo soltanto di poter partecipare all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

1.1. Assume che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che le dichiarazioni da lui rese in merito alle motivazioni che lo avrebbero costretto a lasciare il paese di origine non fossero credibili, con ciò disattendendo le norme sopra richiamate che imponevano di utilizzare una serie di canoni volti a considerare, nel suo complesso, le dichiarazioni rese e che escludevano che potesse farsi ricorso agli ordinari canoni di ripartizione degli oneri probatori previsti dall’art. 2697 c.c..

1.2. Lamenta inoltre che la Corte aveva disatteso il dovere di cooperazione istruttoria che si traduceva nell’obbligo di acquisire informazioni aggiornate sulla situazione generale interna esistente nel paese di origine del richiedente.

2. Con il secondo motivo deduce, ancora, la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) nonchè la carenza assoluta di motivazione in ordine al rigetto della domanda di protezione sussidiaria. Assume che era stata apoditticamente negata l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata laddove la regione ove egli risiedeva era caratterizzata da una condizione di costante pericolo e di emergenza che aveva indotto anche i tutori dell’ordine ad abbandonare il paese.

3. Con il terzo motivo, infine, si lamenta la violazione e falsa

applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 nonchè la carenza di motivazione in relazione al rigetto del rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, in quanto non era stato considerato il livello di integrazione raggiunta e la sua condizione di vulnerabilità; nè era stata effettuata una comparazione con le condizioni economiche e sociali del paese di origine.

4. Le prime due censure devono essere esaminate congiuntamente in quanto sono strettamente connesse: il ricorrente, infatti, critica la decisione impugnata in quanto la sua narrazione era stata ritenuta inattendibile in modo apodittico, ed in più, assodato che i fatti che avevano determinato la sua fuga erano riconducibili ad una vicenda privata risalente a numerosi anni prima, si era fondata sulla affermazione secondo cui era inverosimile che egli, dopo tanto tempo, potesse correre il rischio di subire una vendetta da parte dei familiari.

4.1.La Corte, inoltre, ha precisato che non ricorrevano i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in quanto non risultava che sussistesse una situazione di conflitto armato o una condizione di violenza generalizzata nè tanto meno il rischio di condanna a morte o di sottoposizione a trattamenti disumani e degradanti; ed ha fondato la propria statuizione confermando che “dalle fonti di informazione più accreditate o aggiornate non risultava che la regione di provenienza del ricorrente ((OMISSIS)) fosse caratterizzata da diffusi atti di criminalità, tensioni interetniche e religiose, nonchè da atti di terrorismo o sommosse assimilabili ad una situazione di conflitto armato”.

4.3. Il primo motivo – che assorbe il secondo – è fondato pur dovendosi precisare che le argomentazioni prospettate impongono di ascriverlo al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

4.4. Al riguardo, è stato condivisibilmente affermato che “il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge” (cfr. Cass. SUU 17931/2013; Cass. 4036/2014; Cass. 26310/2017)

4.5. Riqualificata in tal modo la prima doglianza, si osserva che la Corte territoriale ha confermato l’ordinanza impugnata, fondando la sua decisione sulla scarsa credibilità del racconto e sulla natura privata della vicenda narrata che aveva indotto il ricorrente ad allontanarsi dal proprio paese.

4.6. Ha affermato, al riguardo, in modo invero apodittico, che il riconoscimento della protezione invocata non era ipotizzabile, trattandosi di una faida familiare e non ricorrendo minacce di danno grave in caso di rimpatrio; ha aggiunto che, sulla base “delle fonti informative più aggiornate ed accreditate”, doveva escludersi che sussistesse nel paese una condizione generalizzata di violenza e violazione dei diritti umani tale da consentire il riconoscimento della forma di protezione “maggiore” invocata: risulta, in tal modo, del tutto omessa l’indicazione di quali fossero le Country Origin Informations alle quali aveva fatto riferimento.

4.7.Il Collegio rileva che questa Corte ha condivisibilmente affermato il principio secondo il quale “nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone, pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può ò limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente.” (cfr. Cass. 13897/2019 ed ex multis Cass. 13449/2019, Cass. 11096/2019; Cass. 28990/2018 e Cass. 9230/2020).

4.8. Nel caso in esame, i giudici d’appello hanno affermato genericamente che erano assenti atti di criminalità o tensioni interetniche, non indicando da quali fonti, accreditate D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8, comma 3 tali notizie sarebbero state tratte e nulla argomentando in ordine alla questione principale sottoposta alla sua valutazione e cioè l’assenza nel paese di origine del ricorrente di un sistema complessivamente volto a presidiare l’ordine pubblico ed in grado di tutelare la sicurezza dei cittadini: con ciò hanno reso una motivazione apodittica e priva di concreto riscontro rispetto alle questioni oggetto della domanda, in quanto tale apparente perchè al di sotto della sufficienza costituzionale.

5. Tanto premesso, il secondo motivo deve ritenersi assorbito: vale comunque la pena di precisare che la giurisprudenza di questa Corte

ha affermato, con orientamento prevalente e condiviso da questo

Collegio che “il diritto alla protezione sussidiaria non può essere escluso dalla circostanza che a provocare il danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati, qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali” (cfr. Cass. 16356/2017 preceduta da Cass. 15192/2015 e seguito da Cass. 23604/2017).

6. Quanto alla terza censura deve premettersi che la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte ha affermato che “il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona. (Cass. 13096/2019); ed è stato altresì chiarito che tale tutela deve essere concessa al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia e che l’accoglimento della domanda “deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass. 4455/2018; Cass. SUU 29459/2019; Cass. 1104/2020).

6.1. Nel caso in esame, l’omessa indicazione delle fonti informative aggiornate, idonee a condurre un serio accertamento sulle condizioni in cui versa attualmente il Mali in ordine al rispetto dei diritti fondamentali, ridonda sull’articolazione del giudizio di comparazione postulato, in relazione al quale assume fondamentale rilevanza anche la vulnerabilità del ricorrente come uno degli elementi da mettere a raffronto: conclusivamente la censura, strettamente dipendente dal riesame della controversia in relazione ai primi due motivi, deve ritenersi assorbita, fermo restando che in relazione all’integrazione raggiunta dal ricorrente la Corte territoriale dovrà mantenersi entro i limiti della natura “chiusa” del giudizio rescissorio.

7. Pertanto, il ricorso va accolto per quanto di ragione e la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, per il riesame della controversia alla luce dei principi di diritto sopra evidenziati.

8. La Corte di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il primo motivo e dichiara assorbiti gli altri.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione per il riesame della controversia e per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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