Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22521 del 27/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 27/09/2017, (ud. 11/07/2017, dep.27/09/2017),  n. 22521

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. DI GERONIMO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6099-2013 proposto da:

COMUNE DI CEFALU’, elettivamente VIA NOMENTANA 251, presso lo

GIUSEPPE GRILLO, rappresentato PASQUALE DI PAOLA;

– ricorrente –

contro

SEAC SOCIETA’ ESERCIZI ALBERGHIERI CEFALUDESI SRL, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA SOMALIA 250, presso lo studio dell’avvocato

FRANCESCO PUNZO, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO LO

VERDE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 156/2012 della COMM.TRIB.REG. di PALERMO,

depositata il 09/08/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/07/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Fatto

RILEVATO

che il Comune di Cefalù propone ricorso, affidato ad un motivo ed illustrato con memoria, per la cassazione della sentenza n. 156/30/12, depositata il 9/8/2012, della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, che ha respinto, compensando le spese del grado, l’appello proposto avverso la decisione di prime cure, che aveva accolto l’impugnazione della cartella di pagamento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu), anno 2007, della S.E.A.C. Società Immobiliare Alberghiera Cefaludesi s.r.l., relativamente alla struttura alberghiera denominata “(OMISSIS)”;

che il Giudice di appello, in particolare, ha ritenuto illegittima, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, comma 2, l’applicazione di tariffe differenziate agli immobili adibiti ad alberghi, rispetto a quelli adibiti a civile abitazione, in assenza, nella deliberazione dell’ente locale, di una motivazione idonea a giustificare l’applicazione di maggiori tariffe alla categoria degli esercizi alberghieri, avuto riguardo a caratteristiche e peculiarità di ciascuna struttura, nonchè all’uso di aree e locali non allo stesso modo produttivi di rifiuti;

che l’intimata società resiste con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che il ricorrente Comune deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68 e art. 69, comma 2, art. 115 c.p.c., giacchè la CTR ha ritenuto che le richiamate disposizioni contemplino in un’unica categoria, locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, ed esercizi alberghieri, laddove invece il Regolamento del Comune di Cefalù, sulla base del quale è stato predisposto il ruolo Tarsu, del tutto legittimamente, ha determinato la tassa dovuta da ciascuna classe di contribuenza, per la maggiore capacità di produrre rifiuti che hanno gli alberghi rispetto alle civili abitazioni, inserendo i primi in una categoria distinta e tassabile con una diversa misura tariffaria, in quanto dal fatto notorio, e dalle nozioni di comune esperienza, discende la constatazione della diversa capacità di produzione di rifiuti degli uni rispetto alle altre;

che il suesposto motivo è fondato e merita accoglimento;

che la doglianza investe il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, comma 2, in relazione alla applicazione, da parte del Comune, agli immobili adibiti ad alberghi, rispetto a quelli adibiti a civile abitazione, di differenti tariffe, ed alla idoneità – contestata dalla contribuente – di una motivazione basata sul dato di comune esperienza della maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto alle civili abitazione; che, invero, il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 8, sancisce che la tariffa è determinata dagli enti locali, e, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime: la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce, infatti, un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. n. 22 del 1997, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell’attività, il quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’ente impositore; i rapporti tra le tariffe, indicati dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 69, comma 2, tra gli elementi di riscontro della legittimità della delibera, non vanno d’altronde riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base ala loro classificazione economica.” (cfr. anche Cass. n. 16175/2016; n. 12359/2012; n. 11966/2016; n. 302/2010; n. 13957/2008; n. 5722/2007);

che, in ordine al profilo dell’obbligo di motivazione della delibera comunale che prevede una differenziazione tra civile abitazione ed esercizio alberghiero, questa Corte ha affermato che “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 65 poichè a stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile “ex post”, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili”.” (Cass. n. 22804/2006; n. 26132/2011; n. 7044/2014; n. 11966/2016);

che, in conclusione, la sentenza impugnata va cassata e, in applicazione dell’art. 384 comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nei merito con il rigetto del ricorso originario della contribuente;

che l’evolversi della vicenda processuale giustifica la compensazione delle spese processuali del giudizio di merito, mentre le spese del giudizio di legittimità, secondo soccombenza, sono poste a carico della intimata e liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente. Compensa integralmente le spese dei giudizio di merito e condanna la intimata società al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.900,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), dà atto della non sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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