Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22520 del 28/10/2011

Cassazione civile sez. I, 28/10/2011, (ud. 20/06/2011, dep. 28/10/2011), n.22520

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28445/2005 proposto da:

ICLA COSTRUZIONI GENERALI S.P.A. IN LIQUIDAZIONE (C.F.

(OMISSIS)), in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DONATELLO 15, presso l’avvocato CAPPONI

Bruno, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DI FALCO

DOMENICO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MOCCIA IRME S.P.A. (C.F/P.I. (OMISSIS)), in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZZA

BARBERINI 12, presso l’avvocato VISENTINI GUSTAVO, rappresentata e

difesa dall’avvocato CARSANA Daniele, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2293/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/06/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato B. CAPPONI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato D. CARSANA che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per l’inammissibilità del primo

motivo assorbiti gli altri motivi, in subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con lodo del 25 luglio 2002, il Collegio arbitrale previsto dal contratto in partecipazione del 12 novembre 1987 tra la s.p.a.

Fondedile, poi incorporata per fusione dalla ICLA Costruzioni generali s.p.a. e la Moccia Irme s.p.a. per la costruzione di alcuni lotti relativi alla linea 1 della metropolitana di (OMISSIS) rigettò le eccezioni di nullità del negozio avanzate dalla società assodante che condannò ad accreditare alla Moccia alcune partite di utili maturati nel corso del rapporto,la quota di sua pertinenza delle ritenute a garanzia svincolate da controparte, nonchè al risarcimento del danno per tali mancati accrediti; rigettò le altre richieste di detta società e tutte le contrapposte domande della ICLA. Tanto l’impugnazione di quest’ultima, quanto quella incidentale della Moccia sono state respinte dalla Corte di appello di Napoli, che, con sentenza del 13 luglio 2005 ha confermato sia la validità del contratto associativo, disattendendo tutti i profili di nullità riproposti dalla ICLA, sia la ricostruzione delle partite di dare ed avere tra i contraenti eseguita dagli arbitri, anche perchè congruamente motivata e perciò non impugnabile dalle parti attraverso la prospettazione di soluzioni alternative,per ciascuna più favorevoli.

Per la cassazione della sentenza,la ICLA ha proposto ricorso per 7 motivi; cui resiste la soc. Moccia con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il ricorso la soc. ICLA ha anzitutto riproposto l’eccezione di nullità del contratto associativo: a) perchè concluso eludendo la normativa antimafia di cui alla L. n. 55 del 1990 e L. n. 584 del 1977 e L. n. 109 del 1994, nonchè del D.Lgs. n. 406 del 1991; b) per violazione delle norme sull’aggiudicazione degli appalti; c) perchè non rispondente ai requisiti richiesti dall’art. 2549 cod. civ., quanto meno in relazione all’apporto dovuto dall’associato che doveva essere determinato e non determinabile in base all’andamento dell’affare (motivi 1-2). Ha quindi nuovamente prospettato le violazioni del proprio diritto di difesa addebitate agli arbitri e tuttavia disattese dalla Corte di appello (3^ motivo); e quindi quelle in cui sarebbero incorsi entrambi i giudici suddetti sia nel rigettare le proprie richieste di condanna della controparte ad alcune poste dovute in forza del rapporto associativo, sia, per converso nell’accogliere (sia pure in parte) le domande avversarie peraltro disattendendo la ricostruzione dei rapporti di dare-avere stabilita dal c.t.u.: peraltro incorrendo nelle violazioni già segnalate dall’arbitro rimasto in minoranza (motivi 4-7).

Questi ultimi motivi, soltanto sono fondati nei limiti appresso indicati.

Al riguardo, il Collegio deve rilevare che in altro giudizio tra le stesse parti ed avente per oggetto il medesimo contratto 12 novembre 1987 (con le note aggiuntive 1 e 12 settembre 1989),la Corte di appello di Napoli,giudicando a seguito di rinvio della Cassazione (sent. 12934/2003): A) ha confermato che il rapporto tra di esse originato da detto negozio rientra nella categoria dell’associazione in partecipazione di cui all’art. 2549 cod. civ., e segg., e ne ha specificato il contenuto con particolare riguardo all’apporto dell’associata alle anticipazioni sui conti consortili ed ai saldi negativi fra incassi e rimborsi a suo carico; B) ha esaminato l’avvenuta esecuzione del contratto in relazione alla specifica obbligazione della Moccia di prestare le garanzie stabilite dall’art. 1 alla controparte al fine di sollevarla dagli oneri fideiussori fino ad allora prestati, nonchè per il conseguimento degli equivalenti svincoli; ed ha accertato il persistente inadempimento dell’associata all’obbligazione suddetta; C) ha qualificato siffatto inadempimento non di scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., anche perchè relativo ad un’obbligazione fondamentale del contratto e ne ha conseguentemente pronunciato la risoluzione ex art. 1453 cod. civ..

Ciascuna di dette statuizioni è divenuta definitiva ed ha acquistato autorità di giudicato per avere questa Corte con sentenza emessa in data odierna respinto il ricorso della Moccia e confermato la decisione (r.g. 15200 e 19669/06); sicchè l’autorità del giudicato suddetto, riconosciuta secondo le Sezioni Unite (Cass. 221/2001) non nell’interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell’interesse pubblico, va rilevata di ufficio e vale interamente in questo giudizio in cui è stata peraltro invocata dalla Moccia limitatamente alla statuizione sulla validità del contratto associativo che l’associata ritiene non più contestabile in questo procedimento; e, per converso dalla ICLA limitatamente all’accertato inadempimento della controparte di prestare.

Ma siffatta riduttiva prospettazione non è conforme ai principi enunciati al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità resa anche a sezioni unite, cui il Collegio intende dare continuità secondo la quale: 1) l’autorità del giudicato copre non solo il dedotto ma anche il deducibile in relazione al medesimo oggetto, cioè non soltanto le ragioni giuridiche fatte valere in giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre – proponibili sia in via di azione che di eccezione – le quali, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono, tuttavia, precedenti logici, essenziali e necessari della pronuncia (giudicato implicito); 2) detto principio concerne in particolare le ragioni non dedotte che si presentino come un antecedente logico necessario rispetto alla pronuncia, nel senso che deve ritenersi precluso alle parti stesse la proposizione, in altro giudizio, di qualsivoglia domanda avente ad oggetto situazioni soggettive incompatibili con il diritto accertato;

3) gli effetti del giudicato sostanziale si estendono conclusivamente non solo alla decisione relativa al bene della vita chiesto, ma a tutte le statuizioni inerenti all’esistenza e alla validità del rapporto dedotto in giudizio necessarie e indispensabili onde pervenire a quella pronuncia su di esso: e quindi anche al deducibile in relazione al medesimo oggetto, comprendente tutte le possibili questioni proponibili sia in via di azione, sia in via di eccezione, le quali sebbene non dedotte specificamente costituiscono tuttavia precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia medesima (Cass. 21200/2009; 24664/2007).

Consegue anzitutto che l’eccezione di nullità del contratto avanzata in questo giudizio dalla ICLA, sotto tutti i profili dedotti,ivi compreso quello subordinato per cui il negozio rientrerebbe al più fra i contratti societari, è preclusa dal giudicato riconducibile alla ricordata precedente sentenza della Corte di appello, intervenuta tra le stesse parti e definitiva sul punto, nella quale il riconoscimento dell’esistenza di un valido contratto di associazione in partecipazione ha costituito il presupposto logico- giuridico essenziale della decisione di merito; la quale si è fondata, proprio a seguito di sollecitazione della stessa assodante, sulla qualifica di detto negozio, come rientrante nella tipologia disciplinata dall’art. 2549 cod. civ., e segg., nonchè sulla sua efficacia, sulla avvenuta esecuzione delle obbligazioni assunte dalle parti in forza di esso: perciò più non consentendo a detta società di rimettere in discussione l’originaria validità ed operatività di detto contratto e di richiedere l’accertamento della sua giuridica inesistenza.

Ma le ricordate decisioni non si sono limitate agli indicati accertamenti, avendo altresì stabilito,come si è detto avanti, che la Moccia si era sottratta all’adempimento di una delle principali obbligazioni derivanti dal contratto associativo, sicchè per tale ragione ne hanno pronunciato la risoluzione per inadempimento dell’associata. E questa Corte con la menzionata decisione emessa pur essa in data odierna ha statuito che una volta pronunciata la risoluzione del contratto associativo ex art. 1453 cod. civ., in forza dell’operatività retroattiva di essa, stabilita dall’art. 1458 cod. civ., si verifica per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempienza, rilevante ad altri fini, una totale “restitutio in integrum” e, pertanto, tutti gli effetti del contratto vengono meno e con essi tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti stessi (Cass. 2468/2004, 7470/2001).

Consegue che anche in questo giudizio venuto meno il rapporto negoziale e con esso il titolo giustificativo della loro attribuzione, più non può discutersi dei diritti e delle obbligazioni delle parti nascenti dal contratto di cui è stata dichiarata la risoluzione (conferimenti, rendiconti, partecipazioni ecc.), nè dei crediti (anche risarcitori) e dei debiti maturati a favore e/o a carico di ciascuna di esse in conseguenza della sua avvenuta esecuzione, nè tanto meno della loro fondatezza e della loro reale consistenza sulla quale si è incentrato il giudizio arbitrale: posto che le stesse presuppongono invece un contratto di appalto (fino alla conclusione) valido ed operante; e che invece, intervenuta la sua caducazione giudiziale, la disciplina di detti diritti ed obblighi predisposta dalle parti, nonchè dei corrispettivi a ciascuna di esse spettanti, oggetto esclusivo di questo giudizio, è sostituita con quella introdotta dalla ricordata norma dell’art. 1458 cod. civ..

Pertanto, la sentenza impugnata che ha ricostruito e definito i rapporti economici tra le parti derivati dall’esecuzione del contratto di associazione in partecipazione, va cassata con rinvio alla stessa Corte di appello di Napoli; la quale, come già statuito nella menzionata decisione di pari data di questa Corte tra le stesse parti, dovrà applicare la regola posta dal ricordato art. 1458 cod. civ., secondo la quale alla pronunciata risoluzione del contratto associativo non può che conseguire sia un effetto liberatorio, per le obbligazioni che ancora devono essere eseguite, sia un effetto restitutorio, per quelle che sono state, invece, già oggetto di esecuzione; ed in relazione alle quali sorge, per l'”accipiens”, il dovere di restituzione. E deve quindi verificarsi per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempienza, rilevante ad altri fini, una totale “restitutio in integrum” con la conseguenza: a) che tutti gli effetti del contratto vengono meno e con essi tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti stessi; b) che se tale obbligo restitutorio ha per oggetto prestazioni pecuniarie, il ricevente è tenuto a restituire le somme percepite maggiorate degli interessi calcolati dal giorno della domanda di risoluzione (Cass. 18518/2004; 7470/2001).

Il giudice di rinvio vorrà provvedere altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, rigetta i primi tre motivi del ricorso, accoglie gli altri nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2011

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