Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22518 del 24/09/2018

Cassazione civile sez. II, 24/09/2018, (ud. 28/03/2018, dep. 24/09/2018), n.22518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22574/2013 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO DOSSI,

presso lo studio dell’avvocato MARIA ELISABETTA TABOSSI,

rappresentata e difesa dall’avvocato DOMENICO CALATA’;

– ricorrente –

contro

C.G.E.A., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEGLI SCIPIONI 8, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

CRISCI, che lo rappresenta difende giusta procura speciale Rep. n.

(OMISSIS) in Roma per Notaio Dottor V.A.;

– resistente –

e contro

CA.RA.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1012/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 17/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/03/2018 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione;

udito l’Avvocato, difensore della ricorrente, DOMENICO GALATA’ e, per

sua delega, anche l’Avvocato MARIA ELISABETTA TABOSSI, che si sono

riportati agli atti ed hanno chiesto l’acquisizione dei fascicoli

d’ufficio, sulla cui richiesta la Corte si riserva;

udito l’Avvocato ANGELO COLUCCI, con delega dell’Avvocato FRANCESCO

CRISCI difensore del sig. C., che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza in data 17 maggio – 1 giugno 2005, il Tribunale di Trapani, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte, con citazione del 4 febbraio 1997, da Ca.Ra., proprietaria di una piccola casa nell’isola di (OMISSIS), nei confronti di M.G., proprietaria di immobile limitrofo a quello dell’ attrice, condannò la convenuta al ripristino dello stato dei luoghi, con riferimento ad una porta-finestra e ad una finestra meglio descritte nella sentenza stessa, compensando interamente, tra le parti, le spese del giudizio e ponendo a carico delle parti medesime le spese di CTU.

Avverso questa sentenza ha proposto appello M.G., per più motivi, chiedendo la riforma integrale della sentenza impugnata.

Si è costituito C.G.E.A., avente causa della Ca., resistendo al gravame.

Non si è costituita la Ca..

La Corte di Appello di Palermo, con sentenza n. 1012 del 2013, rigettava l’appello e confermava la sentenza di primo grado, condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado. Secondo la Corte distrettuale, la sentenza di primo grado non presentava alcun vizio ed, in particolare, osservava: a) che il provvedimento impugnato era stato emesso dal Tribunale monocratico, la cui competenza non era in contestazione. b) relativamente alla titolarità del cortiletto oggetto del giudizio la sig.ra M.G. non aveva dato adeguata prova di esserne la proprietaria.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da M.G. con ricorso affidato a sei motivi, illustrati con memoria. C.G.E.A. e Ca.Ra. intimati in questa fase non hanno svolto attività giudiziale.

C.G.E.A. ha depositato atto di procura, con firma autentica da notaio, con il quale ha nominato quale suo procuratore e difensore l’avv. Francesco Crispi, con studio professionale a (OMISSIS).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso M. denuncia l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato l’eccezione, tempestivamente sollevata, di difetto di competenza per valore del Pretore originariamente adito dall’odierna resistente Ca.Ra., con l’atto introduttivo del primo grado di merito del presente giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 2 e 3). Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe errato nel non rilevare l’incompetenza del Pretore adito sul presupposto che, comunque, la sentenza era stata emessa dal Tribunale divenuto competente per ius superveniens, non tenendo conto che, ai sensi dell’art. 5 c.p.c., la competenza si determina con riguardo alla legge vigente ed, allo stato di fatto, esistente al momento della proposizione della domanda.

La ricorrente conclude, formulando il seguente quesito di diritto (anche non onerata, posto che, ratione temporis, il presente ricorso per cassazione non fosse soggetto al quesito di diritto): Affermi la Suprema Corte che la regola applicata dai Giudici di merito, riguardo all’eccezione di incompetenza per valore sollevata da M.G., violi le disposizioni sul riparto della competenza di cui agli artt. 9,15,38, 5 c.p.c..

1.1.- Il motivo non ha ragion d’essere e non può essere accolto. E’ orientamento pacifico di questa Corte di convalidare la giurisdizione e la competenza se in forza della legge sopravvenuta l’organo che ha emesso la sentenza risulta essere competente (in tal senso in casi assimilabili al caso in esame Corte (cfr. Cass. 2450/01; 516/99; 5299/97; 3474/97; 5450/96). Diversamente opinando, lo spreco di attività processuale sarebbe evidente, giacchè nel caso in cui, come nella specie, il giudice d’appello ravvisi che al momento di proposizione della domanda la competenza apparteneva al Tribunale e non al Pretore, dovrebbe annullare la pronunzia e, nel contempo, statuire, necessariamente, la competenza dello stesso Tribunale che ebbe a pronunciarsi, in quanto divenuto ormai giudice unico di primo grado. D’altra parte, non si viene a derogare, così, al principio generale di irretroattività della legge processuale, ma di prendere atto che l’incompetenza del giudice adito è stata sanata per legge a seguito della soppressione dell’ufficio giudiziario incompetente e l’assegnazione dei giudizi, pendenti presso la Pretura, al Tribunale.

Peraltro, la convalida del difetto di giurisdizione per effetto dello ius superveniens è ora espressamente prevista dalla L. 31 maggio 1995, n. 213, art. 8, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, a norma del quale la giurisdizione del giudice italiano sussiste se i fatti e le norme che la determinano sopravvengono nel corso del processo”.

La regola non suscita dubbi di legittimità costituzionale in relazione all’art. 25 Cost., poichè la Corte Costituzionale con le sentenze del 10 dicembre 1981 n. 185 e 16 luglio 1987 n. 268, ha affermato che il principio di precostituzione del giudice naturale non può essere esasperato “sino ad implicare una sorta di ibernazione dei criteri dettati per la competenza e per la giurisdizione, essenziale, essendo che la eventuale mutazione non resti affidata alla mera discrezionalità del giudice”. Consegue che, correttamente, la Corte d’Appello ha ritenuto convalidata, la sentenza emessa dal Tribunale, in base alla sopravvenuta competenza dello stesso quale giudice unico di primo grado.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato l’eccezione, tempestivamente sollevata, di nullità delle operazioni e della relazione di perizia del CTU, nominato nel precedente giudizio di urgenza e ante causam ex art. 700 c.p.c.. L’istanza avanzata da M.G. per la nomina di un nuovo CTU. Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe fondato la decisione su una CTU nulla ed inefficace perchè disposta nel procedimento di urgenza ante causam, senza la presenza della M., perchè non era stata regolarmente convocata. Piuttosto specifica la ricorrente, la M.G. si costituiva in cancelleria, affermando di non aver ricevuto alcuna notifica. La CTU, dunque, sarebbe svolta in violazione dell’art. 101 c.p.c., “il giudice non può statuire sopra alcuna domanda se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata. Ciò posto, affermi la Suprema Corte, chiede la ricorrente, che le determinazioni adottate dai Giudici del merito riguardo alle eccezioni di nullità della CTU, espletata nel procedimento cautelare ante causam (nullità delle notifiche, carenza del contraddittorio, omessa verifica sulla regolarità del contraddittorio, omesso esame dei rilievi di merito fatti alla relazione del CTU, per quanto riguarda il mancato accertamento dei segni di vetustà delle opere controverse, omesso esame dell’istanza di una nuova CTU) violano le disposizioni di cui agli artt. 139,140,180,101,112 c.p.c.. Affermi, altresì, che all’ipotesi de qua, andava applicata, quanto al motivo in esame, la diversa regola di cui agli artt. 139,140,112,101,180 c.p.c., nel testo vigente a quel tempo e sopra riportato.

2.1 – Il motivo è inammissibile perchè manca di specificità. Infatti, il ricorrente non ha dedotto, e, comunque, non ha indicato di averlo fatto ed eventualemente in quale sede e con quale atto, di avere eccepito la nullità della CTU nel primo atto difensivo successivo al deposito della relazione del CTU, posto che, come evidenzia la stessa (pag. 11 del ricorso) il 9 febbraio 1996 la sig.ra M. si costituiva in Cancelleria e, all’udienza del 10 maggio 1996, la causa veniva rinviata, per consentire alle parti l’esame della relazione del CTU.

Come più volte, ha affermato questa Corte (da ultimo con la sent. n. 2771 del 02/02/2017): allorquando, sia denunciato un “error in procedendo”, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio”, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale.

3. – Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha valutato, erroneamente, il titolo di provenienza della proprietà di Ca.Ra.. Violazione e/o falsa applicazione delle norme sull’interpretazione dei contratti di cui agli artt. 1362,1363,1169,1371 c.c., falsa applicazione delle predette norme (art. 360 c.p.c., n. 2, nullità della sentenza impugnata e del relativo procedimento per carenza di un presupposto essenziale (mancanza di volontà in M.P. di trasferire il cortiletto per cui si controverte). Secondo la ricorrente, la Corte di Appello, nel ritenere che il cortile interno fosse di proprietà di M., non avrebbe correttamente interpretato l’atto di vendita del 10 ottobre 1975, dal quale risulterebbe la vendita di una porzione di immobile (da M. a Ce.Gi. (dante causa di Ca.Ra.) “(….) cui si accede dalla (OMISSIS), attraverso un cortiletto interno, costituita detta porzione di fabbricato da bagno, cucina, e da un magazzino suddiviso in tre ambienti con annesso piccolo giardino (…)” e la virgola che separa il cortiletto interno dalla descrizione dell’immobile venduto starebbe a significare che il cortiletto interno sarebbe rimasto di proprietà dei M..

Pertanto, conclude la ricorrente: affermi la Suprema Corte che la regola applicata dai Giudici del merito riguardo all’interpretazione del contratto di compravendita M.P. – Ce.Gi. è errata ed illegittima perchè viola le disposizioni di cui agli artt. 1362,1363,1369,1371 c.c..

3.1. – Il motivo è inammissibile ed, essenzialmente, perchè la ricorrente, preoccupata di censurare l’interpretazione del contratto che è stata operata dal Tribunale ed è stata avallata dalla Corte di Appello, ha tralasciato di censurare la declaratoria di inammissibilità del motivo di appello, con il quale veniva censurata l’interpretazione del contratto operata dal Tribunale. Epperò, fin quando non risulta travolta la declaratoria di inammissibilità di cui si dice, la censura in ordine all’interpretazione del contratto, risulta preclusa.

3.2. – Senza dire che, in tema di interpretazione dei contratti, l’accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice del merito, che è, incensurabile, in sede di legittimità, se non, quando la motivazione sia così inadeguata, da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto o per violazione delle regole ermeneutiche stabilite dagli artt. 1362 c.c. e segg.. E, nel caso in esame, a superare l’interpretazione effettuata dal Tribunale ed avallata per relationem dalla Corte di Appello non sarebbe, comunque, sufficiente, come vorrebbe la ricorrente, il solo richiamo di una semplice espressione contenuta nel contratto interpretato, se non altro perchè l’identificazione dell’oggetto del contratto va effettuata, tenuto conto del complesso degli elementi deducibili dall’atto negoziale e dalla stessa natura del bene, che potrebbe essere quella di un bene pertinenziale.

4.- Con il quarto motivo del ricorso la ricorrente lamenta illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di esaminare e valutare: a) l’atto integrativo di donazione in notar D.V.G.A. da Trapani prodotto nel giudizio di appello di M.G., nonchè gli effetti che lo stesso produce ai fini del decidere la controversia de qua. La relativa richiesta di ammissione in giudizio quale atto sopravvenuto. Violazione delle norme di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c. e gli artt. 112 e 345 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Omesso esame di un fatto decisivo che aveva costituito oggetto di specifiche deduzioni tra le parti e per nullità della sentenza impugnata e del relativo procedimento per carenza di un presupposto essenziale. (art. 360 c.p.c., n. 4).

4.1. – Il motivo rimane assorbito dal precedente perchè, ammesso pure che il contratto avrebbe potuto essere interpretato tenuto conto anche del contratto di donazione con il quale M.P. confermava che il cortiletto interno oggetto del presente giudizio faceva parte dei beni donati all’odierna ricorrente, in questa sede, comunque, è preclusa una censura riferita all’interpretazione del contratto, non essendo stata censurata e, dunque, superata la declaratoria di inammissibilità del motivo di appello, con il quale veniva censurata l’interpretazione del contratto de quo, effettuata dal Tribunale.

5. – Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta illegittimità della sentenza nella parte in cui: a) ha omesso di valutare la prova testimoniale assunta; b) non ha ammesso la prova testimoniale dichiarata decaduta; c) non ha ammesso la nuova consulenza tecnica di ufficio (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5). La ricorrente si duole di un’errata valutazione delle prove testimoniali assunte, dalle quali risulterebbe il possesso continuato del cortiletto oggetto del giudizio, conforme al titolo di proprietà da parte della M.. Si duole ancora del fatto che la Corte di Appello non abbia ammesso i testi indicati, non considerando le ragioni della mancata citazione dei testi nei termini di legge.

5.1. – Anche questo motivo rimane assorbito dal terzo motivo e per quelle stesse ragioni di cui si è detto in precedenza.

Senza dire che l’art. 1362 c.c., nel chiarire che la comune intenzione delle parti va determinata tenendo conto, anche, del comportamento delle parti successivo alla stipulazione del contratto, ragionevolmente, ha inteso riferirsi a successive dichiarazioni delle parti (quale interpretazione autentica del contenuto contrattuale) e/o a comportamenti esecutivi del contratto, condivisi da entrambi le parti. In questo senso, non vi può essere spazio per una prova testimoniale diretta a dimostrare l’esistenza di dichiarazioni e/o di comportamenti esecutivi del contratto perchè, comunque, la dichiarazione o l’esecuzione di cui si dice, deve essere diretta e/o conosciuta dall’altra parte e se non condivisa, dalla parte cui è diretta, perde la sua valenza interpretativa. E, comunque, sarebbe fuorviante e/o non rispondente alla normativa di cui all’art. 1362 c.c., ritenere che una parte contrattuale possa determinare il significato di un regolamento contrattuale sulla base di un proprio comportamento che ha ritenuto di mantenere successivamente alla stipulazione del contratto, siccome conforme al contratto stesso. Piuttosto, è ragionevole l’ipotesi opposta, e non è l’ipotesi che viene prospettata dalla ricorrente, che una parte contrattuale nel sostenere un significato del contratto, faccia riferimento al comportamento mantenuto dall’altra parte, per evidenziare che, anche, l’altra parte, con il suo comportamento successivo alla stipulazione ha inteso dare al contratto il significato che intende sostenere.

Come correttamente ha osservato la Corte di Appello di Palermo: “(….) non potendosi, ragionevolmente affidare alle richiamate prove testimoniali l’interpretazione del contenuto di un atto pubblico di vendita (….)”.

6. – Con il sesto motivo la ricorrente lamenta l’illegittimità della sentenza, nella parte in cui ha rigettato l’intero appello, ha confermato la sentenza di primo grado nelle parti in cui ha disposto: a) la chiusura della porta realizzata con la trasformazione della preesistente finestra: b) la eliminazione della veduta laterale che si eserciterebbe dalla finestra di secondo piano: c) ha condannato M.G. al pagamento delle spese del giudizio di appello. Violazione delle norme nel testo allora vigente sulla notifica degli atti (artt. 139 e 140 c.p.) e sulla integrità del contraddittorio (artt. 180,101,112 c.p.c.) oltre che per carenza di un presupposto essenziale (idoneo accertamento dei fatti) (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5). La ricorrente si duole del fatto che la Corte distrettuale, confermando la sentenza di primo grado abbia disposto la chiusura della porta sul cortiletto e l’eliminazione della veduta laterale che si eserciterebbe dalla finestra di secondo piano, non tenendo conto della vetustà delle relative opere.

6.1. – Il motivo, laddove non si voglia ritenere assorbito dai motivi precedenti ed, in particolare, dal secondo motivo del ricorso, è inammissibile per genericità, non foss’altro perchè la ricorrente invita questa Corte ad accertare che la condanna alla chiusura della porta sul cortiletto e della finestra posta al secondo piano sarebbero diretta conseguenza della irregolarità e della nullità della CTU, non tenendo conto che questa Corte non ha il potere di svolgere una valutazione di merito, ma, semplicemente, di controllare la legittimità in diritto della sentenza impugnata.

In definitiva, il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere alla liquidazione delle spese dato che C.G.E.A. e Ca.Ra., intimati, in questa fase non hanno volto attività giudiziale. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale e a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 28 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2018

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