Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22518 del 10/09/2019

Cassazione civile sez. III, 10/09/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 10/09/2019), n.22518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21598-2017 proposto da:

B.F., P.A.F.,

B.I.F., B.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE

TIZIANO 3, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI DORIA,

rappresentati e difesi dagli avvocati VINCENZO BELVEDERE, GIAMPAOLO

RAIA;

– ricorrenti –

contro

PE.EL., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SANTA DI

COSTANZA, 39, presso lo studio dell’avvocato DAVIDE PERROTTA,

rappresentato e difeso dall’avvocato GINO PERROTTA;

– controricorrente –

e contro

M.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 277/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 21/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/04/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO, che ha concluso in via preliminare S.U. nel merito

rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIAMPAOLO RAIA;

udito l’Avvocato ROSITA AURELIO per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione in riassunzione notificato nel 2013, P.A.F., B.E., B.F. e B.I.F. hanno convenuto in giudizio innanzi alla Corte di Appello di Catanzaro Pe.El., M.D. e l’ASP di Cosenza, chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni subiti, iure proprio e iure hereclitatis, in conseguenza del decesso del proprio congiunto Bo.En., deceduto il (OMISSIS) presso il reparto di cardiologia- terapia intensiva dell’ospedale di (OMISSIS) per “arresto cardiocircolatorio per tamponamento cardiaco conseguente ad aneurisma dissecante della radice dell’arco aortico”.

I medici Pe.El. e M.D. erano stati rinviati a giudizio dinanzi al Tribunale di Paola per rispondere del reato di omicidio colposo in cooperazione tra loro. Ai sanitari, in servizio dalle ore 14.28 alle ore 20.46 del 9.4.2005 il primo, dalle ore 20.38 del 9.4.2005 alle ore 8.53 del giorno successivo il secondo, l’accusa aveva addebitato la sottovalutazione del quadro sintomatologico del paziente, nonchè di aver omesso di eseguire i doverosi accertamenti strumentali e di laboratorio funzionali alla corretta diagnosi di dissecazione dell’aorta e di sottoporre il paziente con tempestività ad adeguato trattamento farmacologico e chirurgico.

Con sentenza n. 127/2010, il Tribunale di Paola aveva assolto gli imputati ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, ritenendo non sufficientemente provata la negligenza o imperizia degli imputati, la valutazione della sintomatologia del paziente e, in ogni caso, non dimostrato il nesso di causalità tra la condotta asseritamente omissiva dei sanitari e il decesso del paziente alla luce dei principi stabiliti dalla cassazione penale nella nota sentenza Franzese.

La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 480/2012, aveva riformato la sentenza di primo grado, condannando gli imputati in solido al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili, da liquidare in separato giudizio, nonchè al pagamento di una provvisionale.

Tale ultima sentenza era stata poi annullata con rinvio al giudice civile ex art. 622 c.p.p., anche per il regolamento delle spese sul giudizio di legittimità.

Si sono costituiti in giudizio i convenuti eccependo, sotto diversi profili, l’inammissibilità della citazione in riassunzione e chiedendone in ogni caso il rigetto. E’ stata rigettata la richiesta di chiamata in causa della compagnia di assicurazione dell’ASP di Cosenza.

La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza n. 277/2017 del 21 febbraio 2017, ha dichiarato il difetto di legittimazione dell’ASP di Cosenza, non avendo quest’ultima partecipato al processo penale in qualità di responsabilità civile degli imputati, e l’inammissibilità della domanda risarcitoria formulata da B.I.F., la quale non aveva proposto appello avverso la sentenza assolutoria degli imputati emessa in primo grado.

Quanto agli altri appellanti in riassunzione, la Corte di merito ha dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali “iure hereditatis, perchè non proposta in sede penale, ed ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni morali subiti iure proprio, per insussistenza del nesso di causalità tra la condotta dei sanitari ed il decesso di Bo.En..

I giudici del rinvio hanno preliminarmente rilevato che la Corte di Cassazione, fermo l’accertamento della condotta colposa dei sanitari, aveva stabilito che si indagasse l’effettiva sussistenza del nesso causale tra la condotta omessa e l’evento secondo i parametri della sentenza Franzese con specifico riferimento al caso concreto oggetto di giudizio, provvedendo inoltre a valutazioni differenziate in relazione allo specifico contributo causale offerto dei singoli sanitari.

Al riguardo, tenendo conto delle conclusioni della ctu espletata nel corso del medesimo giudizio di rinvio (sovrapponibili a quelle del consulente tecnico del P.M.), la Corte d’appello ha osservato che la condotta omissiva gravemente negligente dei dottori Pe. e M. si era collocata in un arco temporale in cui 1e probabilità di sopravvivenza del paziente erano già estremamente ridotte, con la conseguenza che il comportamento doveroso omesso non avrebbe avuto, con elevato grado di probabilità prossimo alla certezza, effetto salvifico.

Il Pe. ed il M., infatti, avevano preso in carico il paziente rispettivamente a 27 ore ed a 33 ore dall’esordio del dolore toracico, in un momento in cui le possibilità di sopravvivenza, secondo il parere concorde del ctu e dei consulenti nel giudizio penale, erano diminuite al 50%. Si doveva quindi escludere che l’intervento, se eseguito nel periodo in cui avevano preso in carico il paziente, avrebbe avuto effetto salvifica o con ampi margini di probabilità prossimi alla certezza.

Peraltro, essendosi il decesso verificato alle ore 3.40 del (OMISSIS), il tempo a disposizione dei sanitari per organizzare il trasferimento del paziente presso altra struttura ospedaliera dotata di idoneo reparto di cardiochirurgia era stato così ristretto tanto da far dubitare che, se pure i predetti sanitari avessero effettuato tempestivamente la corretta diagnosi di dissecazione aortica, sarebbero riusciti a garantire nella stessa giornata l’intervento chirurgico, tenuto conto dei tempi tecnici per eseguire gli accertamenti diagnostici, per effettuare il trasferimento del paziente presso la struttura più vicina (a Catanzaro, distante circa due ore da Paola) e per prepararlo all’intervento chirurgico.

2. Avverso tale sentenza propongono ricorso in Cassazione, sulla base di un unico motivo, i signori P.A.F., B.E., B.I.F. e B.F..

2.1. Resiste con controricorso il Dott. Pe.El..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.1. Con l’unico motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano la “violazione di legge” nonchè la “contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla responsabilità civile degli operatori sanitari”.

Secondo i ricorrenti, ai fini dell’addebito della responsabilità in sede civile, la percentuale di sopravvivenza individuata dal ctu nominato nel giudizio di rinvio avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello a riconoscere il diritto al risarcimento del danno.

11 9 aprile, giorno in cui i dottori Pe. e M. ebbero in cura il B., a distanza di un solo giorno dell’esordio sintomatologico, vi era almeno il 50% di probabilità di sopravvivenza del paziente.

La definizione di una completa e corretta diagnosi avrebbe offerto la possibilità di un immediato trasferimento, che con l’elisoccorso non avrebbe impiegato più di mezz’ora per raggiungere la struttura più vicina, e di un urgente trattamento chirurgico adeguato alla patologia in essere, il quale non è detto che non avrebbe cambiato la prognosi definitiva.

Il giudice civile, al contrario di quello chiamato a verificare il nesso di causalità in sede penale, non deve infatti raggiungere un grado di probabilità prossimo alla certezza al fine dell’imputazione della responsabilità.

La Corte di Catanzaro avrebbe errato nel prendere in considerazione unicamente le direttive della sentenza Franzese, tralasciando la giurisprudenza consolidata secondo cui, nell’ipotesi di responsabilità civile, la verifica probabilistica può attestarsi su soglie di probabilità meno elevate rispetto a quelle operanti in sede penale.

– 3.1.1. Il motivo è fondato.

Oggetto di esame è la questione se, ai fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento del danno, nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., continuino ad applicarsi le regole processuali penali, con la conseguenza che l’an della responsabilità debba essere accertato secondo il canone dell’aldilà ogni ragionevole dubbio” o se invece, una volta separata la res iudicanda penale dalla res iudicanda civile, a quest’ultima possano applicarsi le regole processuali civili, con conseguente sufficienza di un minor grado di certezza in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito, secondo il canone civilistico del più probabile che non.

Su tale questione si confrontano due orientamenti.

Da un lato, la più recente giurisprudenza della Quarta Sezione della Corte di Cassazione penale ritiene che nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. debbano continuare ad applicarsi le regole processuali penali, e in particolare, in tema di nesso causale, il criterio dell’alta probabilità logica (Cass. pen. Sez. IV, 10.2.2015, n. 11193, Cortesi; Cass. pen. Sez. IV, 4.2.2016, n. 27045 Di Flaviano).

La Corte di Cassazione civile, invece, ritiene applicabile il criterio civilistico del “più probabile che non” (Cass. civ. Sez. III, 12 aprile 2017, n. 9358; Cass. 15859/2019).

La soluzione di tale questione dipende dalla configurazione del giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. come fase rescissoria dell’impugnazione svoltasi innanzi alla Corte di cassazione penale (nel qual caso si devono ritenere applicabili le stesse regole applicate nella fase rescindente), ovvero come giudizio autonomo, sia in senso strutturale che in senso funzionale.

Al riguardo, questa Sezione così di seguito si è espressa “E’ vero che, tecnicamente, il giudizio di rinvio è regolato dagli artt. 392 – 394 c.p.p., ma è altrettanto evidente che non è per questo in alcun modo ipotizzabile un vincolo come quello che consegue all’enunciazione di un principio di diritto ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, da parte di questa Corte”, con conseguente libertà del giudice civile “nella ricostruzione dei fatti e nella loro valutazione” e applicabilità, del criterio civilistico del “più probabile che non nella valutazione del nesso causale, in luogo di quello tipico del processo penale dell’alta probabilità logica” (Cass. civ. Sez. III, 12 aprile 2017, n. 9358, cit.).

La tesi prospettata è coerente con la ratio dell’art. 622 c.p.p. che, secondo la stessa giurisprudenza di legittimità penale, è quella di evitare ulteriori interventi del giudice penale ove non vi sia più nulla da accertare agli effetti penali.

Verificatosi un giudicato agli effetti penali, appare ragionevole che all’illecito civile tornino ad applicarsi le regole sue proprie, soprattutto in punto di criterio di giudizio (più probabile che non, in luogo dell’aldilà di ogni ragionevole dubbio), funzionali all’individuazione del soggetto su cui, secondo il sistema del diritto civile, far gravare il costo di un danno, e non la comminatoria di una sanzione penale.

In secondo luogo, ritenere che a seguito della “trasmigrazione” dell’azione civile dal processo penale a quello civile si instauri, innanzi al giudice civile, un autonomo giudizio comporta la possibilità di evitare che, in sede di giudizio di cassazione avverso la sentenza emessa dal giudice d’appello nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., la Corte di cassazione, nella sua articolazione civile, possa essere chiamata a dare l’esatta interpretazione di norme penali, scongiurando il pericolo di soluzioni interpretative contrastanti che possano minare la coerenza nomofilattica dell’indirizzo ermeneutico espresso dal giudice di legittimità.

Infine, la soluzione prospettata appare rispettosa del criterio della ragionevole durata del processo, non producendo un allungamento del tempo del processo e consentendo alla parte civile di poter perorare l’azione civile, senza necessità di re instaurare ex novo un giudizio risarcitorio.

La suddetta tesi appare in linea anche con la pronuncia delle Sezioni unite penali che ha affermato l’applicabilità, nel giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p., delle regole e delle forme della procedura civile (Sez. un., 18 luglio 2013, n. 40109, Sciortino).

Questo Collegio intende dar seguito a tale ultimo orientamento, alla luce della argomentazioni esposte filnditus – nella citata sentenza n. 15859/2019, alle quali integralmente si rinvia.

4. In conclusione, la sentenza impugnata, rigettando la domanda in applicazione del criterio penalistico di valutazione del nesso causale, ha violato i principi sopra illustrati. Pertanto la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio alla Corte di Appello di Catanzaro in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio alla Corte di Appello di Catanzaro in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2019

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