Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22517 del 24/09/2018

Cassazione civile sez. II, 24/09/2018, (ud. 27/03/2018, dep. 24/09/2018), n.22517

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15293/2016 proposto da:

M.A., in proprio e quale rappresentante legale pro

tempore di M. SAS DI A.M. & C.,

rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO BOSCO e MAURO ZENATTO

ed elettivamente domiciliati nello studio del primo in Roma, via

Sestio Calvino n. 33;

– ricorrenti –

contro

M.L., rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIO RAMPIN

e ANTONIO BERTOLI e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1044/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 11/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/03/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCONE Fulvio, che ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto

dei primi quattro motivi, per l’accoglimento del sesto e

l’assorbimento del quinto;

udito l’avvocato ANTONINO BOSCO per la parte ricorrente, che ha

concluso per l’accoglimento del ricorso, e l’avvocato RODOLFO

CORONATI per la parte controricorrente, che ha concluso per il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 7.7.2011 la S.n.c. M. di F.lli M. & C. e M.A. evocavano in giudizio innanzi il Tribunale di Padova M.L., chiedendo di accertare che la comune volontà delle parti, in relazione all’atto notarile rep. (OMISSIS), denominato “recesso di socio da società in nome collettivo” e redatto dal notaio D., era di escludere il laboratorio artigianale sito in territorio del Comune di (OMISSIS) e censito al locale catasto al foglio (OMISSIS), mappali (OMISSIS), dal novero dei beni trasferiti con il predetto atto in piena proprietà del convenuto. Conseguentemente, gli attori invocavano la declaratoria della nullità parziale del predetto rogito. Si costituiva il convenuto resistendo alla domanda e spiegando riconvenzionale per il rilascio del capannone.

La causa veniva istruita con acquisizione documentale, mentre le prove orali richieste dagli attori non venivano ammesse perchè ritenute superflue ai fini della decisione. Con la sentenza n. 2767/2014 il Tribunale accoglieva la domanda ravvisando un errore materiale nel rogito del 25.5.2011. Ad avviso del primo giudice, le parti già con il precedente accordo del 13.1.2011 avevano regolato i loro rapporti, escludendo il capannone dal novero degli immobili trasferiti a M.L.. Il rogito di maggio, in tale ottica, era da configurarsi come mero atto riproduttivo, necessario ai soli fini della trascrizione dei trasferimenti di proprietà già disposti dall’atto di gennaio 2011.

Interponeva appello il M.L. con unico motivo, contestando la qualificazione dell’accordo del 13.1.2011 fornita dal Tribunale.

Con la sentenza impugnata, n. 1044/2016, la Corte di Appello di Venezia accoglieva il gravame, ritenendo che non potesse configurarsi un errore materiale nel rogito del 25.5.2011. Dopo l’accordo del 13.1.2011, infatti, M.L. aveva inviato al fratello A. una raccomandata in data 31.1.2011, contestando la stima della quota, in quanto a suo dire nella valutazione della S.n.c. dalla quale egli recedeva erano stati calcolati debiti inesistenti. Secondo la Corte lagunare, l’inclusione del capannone (originariamente escluso dall’accordo di gennaio) nell’atto del 25.5.2011 era motivata proprio dai rilievi mossi dall’appellante alla stima della quota. Tanto è vero che, sempre secondo la Corte territoriale, il rogito del 25.5.2011 riproduceva tutte le clausole dell’accordo del 13.1.2011, discostandosene soltanto quanto all’inclusione, nel novero dei beni trasferiti a M.L., del capannone di cui è causa. A fronte di questa ipotesi, gli appellati non avrebbero offerto, secondo il giudice di appello, idonea prova contraria.

Interpongono ricorso avverso tale decisione M. S.a.s. di A.M. & C. ed M.A. in proprio, affidandosi a sei motivi. Resiste con controricorso M.L..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1428,1429 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare il fatto che M.L. aveva liberato il capannone e non lo aveva mai richiesto prima della lettera del notaio rogante del 24.6.2011, con la quale i due fratelli M. erano stati invitati a comparire nello studio notarile per la rettifica dell’errore materiale consistente, appunto, nell’inclusione del capannone de quo tra i beni immobili trasferiti in piena proprietà a M.L.. Anche ai fini del riparto della prova, la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che l’eventuale patto modificativo dell’originario accordo del 13.1.2011 (configurato dal primo giudice come contratto definitivo e non come semplice preliminare) avrebbe dovuto rivestire forma scritta. La Corte veneziana, inoltre, avrebbe confuso nella sua motivazione l’ipotesi dell’errore essenziale ex art. 1429 c.c., che sussisterebbe nel caso di specie, con la diversa ipotesi dell’errore di calcolo di cui all’art. 1430 c.c..

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto la Corte di Appello non avrebbe in alcun modo considerato la lettera del 24.6.2011 con la quale il notaio rogante aveva convocato i due fratelli nel suo studio per la rettifica del rogito del 25.5.2011.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto la Corte di Appello non avrebbe deciso sulla richiesta di ammissione delle prove orali già da essi formulata in prime cure, reiterata anche nella comparsa di costituzione in appello; prove che nel primo grado non erano state ammesse soltanto perchè ritenute dal Tribunale superflue ai fini della decisione.

Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1325 e 1419 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. A loro avviso, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ricostruito la comune volontà delle parti, senza valutare la condotta del M.L., che aveva (come già detto) liberato il capannone e non aveva mai avanzato alcuna rivendicazione sullo stesso, neanche dopo il 25.5.2011, sino a quando si era avveduto della svista a suo favore, grazie alla raccomandata del notaio del 14.6.2011. E, del pari, senza valutare che proprio la circostanza che il rogito del 25.5.2011 riproponesse fedelmente i valori dell’accordo del 13.1.2011, salvo che per l’erronea inclusione del capannone nel novero dei beni da trasferire a L., era un elemento idoneo a dimostrare l’errore di cui si discute.

Nello scrutinio dei primi quattro motivi, che sono tra loro connessi, occorre innanzitutto considerare che nella sequenza dei due contratti del 13.1.2011 e del 25.5.2011, il primo dei quali redatto in forma di scrittura privata ed il secondo invece mediante atto pubblico, il secondo differisce dal primo soltanto quanto all’inserimento, nel novero degli immobili trasferiti nella piena proprietà del resistente, del capannone corrispondente alla particella (OMISSIS) cat. D/7. Tale circostanza, oltre ad essere riportata nella sentenza impugnata, è confermata sia dal ricorrente che dal resistente.

Tra i due negozi suindicati si colloca, da un punto di vista temporale, la missiva del 31.1.2011, con la quale il M.L. aveva contestato la valutazione della quota di recesso contenuta nel primo contratto del 13.1.2011, sostenendo che essa fosse errata in conseguenza dell’inserimento, nel patrimonio sociale, di alcuni debiti in realtà inesistenti. La Corte territoriale, pur procedendo attraverso un ragionamento presuntivo, nel quale non risulta in alcun modo considerata la comunicazione del 24.6.2011 inviata dal notaio rogante ai due fratelli M., con cui il predetto – senza peraltro riconoscere alcuna responsabilità – aveva dato la sua disponibilità ad un eventuale negozio correttivo dell’atto del 25.5.2011, ha ritenuto che l’inclusione del capannone nell’ambito degli immobili trasferiti in proprietà al socio recedente trovasse la sua giustificazione proprio nella rivendicazione da questi operata con la predetta missiva di fine gennaio. Si sarebbe in sostanza di fronte, secondo la Corte di Appello, ad una modificazione degli accordi intervenuti tra le parti, motivata anche dall’interesse di prevenire una possibile contestazione sulla stima della quota di recesso. Tale ratio, in realtà, non viene in alcun modo attinta dal ricorso, che si limita a censurare l’omesso esame della appena richiamata comunicazione del 24.6.2011.

Inoltre, “In caso di costituzione progressiva di un rapporto giuridico attraverso la stipulazione di una pluralità di atti successivi tutti soggetti alla forma scritta ad substantiam, la fonte esclusiva dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto va comunque individuata nel contratto definitivo, restando i negozi precedenti superati dalla nuova manifestazione di volontà, che può anche non conformarsi del tutto agli impegni già assunti, senza che assuma rilievo un eventuale consenso formatosi fuori dell’atto scritto, trattandosi di atti vincolati” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7064 del 11/04/2016, Rv. 639679; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9063 del 05/06/2012, Rv. 622654, riferita al rapporto corrente tra preliminare e definitivo). Da ciò consegue necessariamente il rigetto dei primi quattro motivi.

Con il quinto e sesto motivo, i ricorrenti lamentano rispettivamente la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (quinto motivo) e l’omessa motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 (sesto motivo) in quanto la Corte lagunare avrebbe determinato in Euro 2.000 mensili l’indennità da essi dovuta per l’occupazione del capannone di cui è causa senza alcuna motivazione e partendo, evidentemente, dalla somma di Euro 4.000 mensili unilateralmente indicata in atti di prime cure dal M.L., ma in realtà da quegli mai dimostrata.

I due motivi, tra loro connessi, meritano di essere accolti, posto che non è possibile rinvenire, nella sentenza impugnata, alcun accenno motivo riferito alla determinazione dell’indennità di occupazione mensile dovuta dagli odierni ricorrenti. Il solo punto della decisione in cui si parla dell’indennità di cui trattasi è il n. 13, in cui la Corte veneziana afferma testualmente: “In definitiva, l’appello proposto da M.L. va accolto, con il conseguente accertamento del credito per indennità di occupazione del laboratorio, che viene determinata in Euro 2.000 mensili dal contratto del 25.5.2011”. Tale proposizione, in sè apodittica e sfornita di qualsivoglia riscontro probatorio, ancorchè implicito, si risolve in una motivazione meramente apparente, come tale censurabile perchè non conforme alla previsione di legge, anche nel rispetto del cd. “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione i cui termini sono stati fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8054 del 07/04/2014, Rv. 629833; Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014, Rv. 632914; Cass. Sez. 6-3, Sentenza n. 23828 del 20/11/2015, Rv. 637781; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017, Rv. 645828).

In definitiva, il ricorso va accolto limitatamente al quinto e sesto motivo. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi quattro motivi di ricorso; accoglie il quinto e sesto motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, rinviando la causa, anche per le spese del presente grado, alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 27 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2018

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