Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22516 del 24/09/2018

Cassazione civile sez. II, 24/09/2018, (ud. 23/03/2018, dep. 24/09/2018), n.22516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6046/2014 proposto da:

M.R.P., O.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZALE DON GIOVANNI MINZONI 9, presso lo studio

dell’avvocato ENNIO LUPONIO, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CARLO PORRATI;

– ricorrenti –

contro

P. ASCENSORI SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

DENZA 15, presso lo studio dell’avvocato STEFANO MASTROLILLI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO TRAVERSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1184/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 31/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/03/2018 dal Consigliere SERGIO GORJAN.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La snc P. Ascensori di V.P. & C. evocò in giudizio avanti il Tribunale di Alessandria l’erede di O.P., la moglie M.R., deducendo che il de cujus le aveva commissionato l’esecuzione e posa in opera di un ascensore speciale presso la sua abitazione e che,alla morte del committente, le sue eredi aveva manifestato il loro disinteresse per la realizzazione dell’opera, sicchè chiedeva la condanna delle convenute al pagamento dei costi sostenuti e del mancato guadagno.

Le parti convenute e chiamata in causa – l’altra erede, la figlia O.G. – contestavano la pretesa rilevando come la commessa fosse stata fatta sul presupposto dell’invalidità del committente O. – invalido totale non deambulante – sicchè con il suo decesso era venuto meno la presupposizione posta alla base del contratto.

Inoltre le convenute denunziavano inadempimento dell’appaltatore per non aver rispettato il termine di consegna pattuito.

Ad esito della trattazione istruttoria il Tribunale di Alessandria, ritenendo che il contratto fosse soggetto alla condizione implicita dell’invalidità totale del committente, rigettò la domanda della società attrice rilevando la risoluzione del contatto per impossibilità sopravvenuta non imputabile al alcuno dei contraenti. La snc P. ascensori propose gravame avanti la Corte d’Appello di Torino, mentre le consorti M. – O. resistettero al gravame e ribadirono la loro domanda di declaratoria di risoluzione del contratto per inadempimento della contro parte.

La Corte cisalpina ebbe ad accogliere l’appello esposto, rilevando come il contratto si fosse risolto per inadempimento delle eredi del committente con la loro condanna al conseguente pagamento della somma dovuta e restituzione dell’importo percetto in forza della prima decisione, oltre alla rifusione delle spese dell’intera lite.

Osservava la Corte territoriale come l’originario committente,non già, ebbe ad ordinare l’ascensore poichè invalido assoluto, bensì per esser agevolato nella sua mobilità, tanto che l’apparato non aveva le caratteristiche proprie dell’ascensore per invalidi, bensì presentava modifiche che lo rendevano speciale poichè adattato alla situazione dei luoghi.

Inoltre, la Corte torinese sottolineava come, nella specie, l’invalidità non si configurava siccome condizione inespressa – presupposizione -, bensì quale motivo che indusse il committente al contratto e come le eredi non erano recedute dal contratto, come loro facoltà, sicchè non poteva trovar applicazione la norma in art. 1463 c.c., anche in ipotesi di impossibilità sopravvenuta, bensì la regola in art. 1672 c.c., in quanto l’opera non commissionata per l’esclusivo servizio alla persona, bensì per il miglior utilizzo dell’edificio.

Avverso la citata sentenza dei Giudici d’appello hanno proposto ricorso per cassazione la M. e la O. articolato su quattro motivi.

Ha resistito ritualmente con controricorso la srl – già snc – P. Ascensori. Parte resistente ha anche depositato nota difensiva ex art. 380 bis c.p.c., in prossimità dell’adunanza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto dalle consorti O. – M. s’appalesa infondato e di conseguenza va rigettato.

Con il primo mezzo d’impugnazione le ricorrenti prospettano violazione delle norme in artt. 112 e 342 c.p.c., poichè la Corte d’Appello ebbe a rivalutare una questione fattuale accertata dal Tribunale e non contestata con il gravame, ossia il grado d’invalidità del committente originario al fine di valutare la finalità dell’opera commessa e la concorrenza della dedotta presupposizione. Quindi i Giudici del gravame avevano violato il disposto ex art. 112 c.p.c., in quanto hanno giudicato su questione non proposta dalle parti ed oramai coperta da giudicato interno, nonchè violato il disposto ex art. 342 c.p.c., poichè parte appellante non aveva specificatamente gravato detto punto dell’accertamento operato dal primo Giudice.

La doglianza non coglie nel segno posto che la questione della presupposizione, necessariamente ed intimamente collegata con l’invalidità del committente,era lo specifico oggetto del gravame.

Difatti le critiche rivolte alla sentenza del Tribunale dalla società appellante si appuntavano proprio verso la statuizione del primo Giudice che aveva ravvisato come il contratto fosse sottoposto alla condizione inespressa che l’ascensore commesso fosse essenzialmente correlato alle necessità somatiche del committente, sicchè l’esame fattuale della questione coinvolgeva necessariamente il tema delle concrete condizioni di invalidità dell’ O..

Di conseguenza se il primo Giudice, sulla scorta dell’accertamento fattuale che il committente era invalido totale ed incapace di deambulare, aveva concluso che il contratto stipulato era sottoposto a condizione inespressa – presupposizione – così la Corte d’Appello, sull’osservazione che detta asserzione fattuale non era corretta poichè le prove lumeggiavano come l’ O. potesse deambulare, anche se con difficoltà, è pervenuta a conclusione giuridica diversa.

E’ insegnamento di questo Supremo Collegio – Cass. sez. 3 n. 12202/17 – che il giudicato interno non già si forma su ogni singolo accertamento di fatto operato dal primo Giudice e non contestato espressamente con il gravame, bensì solo in relazione alla sequenza, ancorchè, minima fatto-norma-effetto atta ad autonomo accertamento decisorio.

La contestazione di anche uno solo di detti elementi comporta che il Giudice d’appello rimane investito della cognizione sull’intera questione,siccome avvenuto nella specie.

Difatti, in sede d’appello, il tema fondamentale dibattuto, poichè specifico oggetto delle censure mosse dalla snc P., era la correlazione tra l’invalidità dell’ O. e la commissione dell’opera al fine di ritenere sussistente la dedotta presupposizione, quindi non sussistono le violazioni indicate dalle ricorrenti.

Con la seconda doglianza le consorti O. – M. denunzino violazione del la norma in art. 2697 c.c., l’omesso esame di fatto decisivo e la nullità della sentenza per motivazione illogica od insufficiente, in quanto la Corte subalpina non avrebbe esaminato l’attestato della Commissione medica che accertava l’invalidità assoluta del committente e valorizzato la domanda dello stesso di ottenere dal Comune di Alessandria il contributo per le opere tese all’eliminazione delle barriere architettoniche.

Inoltre, ad opinione di parte ricorrente, la motivazione afferente la valutazione di detti documenti, delle risultanze della prova orale espletata e delle dichiarazioni rese dalla contro parte sarebbe mancante ovvero illogica ed insufficiente.

L’articolato motivo s’appalesa siccome inammissibile e perchè in un unico motivo risultano condensate più e disparate violazioni dell’art. 360 c.p.c., in contrasto con la prescrizione di specificità dei mezzi d’impugnazione ex art. 366 c.p.c., e, soprattutto, perchè in effetti le censure attingono il merito della decisione richiedendo a questa Suprema Corte una valutazione del merito e non di stretta legittimità circa la sentenza impugnata.

Difatti il dedotto vizio di omesso esame si riferisce a documenti depositati in atti ed afferenti all’accertata invalidità del committente, quindi la questione sottoposta a questa Corte esula dallo schema tipico prescritto nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

La denunzia del vizio di motivazione non può più essere proposta per profili di illogicità ed insufficienza della stessa poichè non più previsto dalla legge, mentre all’evidenza, dalla stessa argomentazione esposta in ricorso, appare che la Corte piemontese ha illustrato le ragioni fondanti la sua conclusione che il committente non era impossibilitato assolutamente a deambulare, sicchè non può esser denunziata l’assenza di motivazione, quale figura sintomatica propria del vizio di nullità ex art. 132 c.p.c..

Quanto infine alla violazione del principio legislativo in ordine all’onere della prova, la doglianza si compendia in effetti nella denunzia di un malo apprezzamento delle risultanze delle prove assunte in causa, questione affatto diversa dall’individuazione del soggetto, che era onerato della prova delle sue affermazioni, ex art. 2697 c.c..

In effetti con relazione alla questione della possibilità o meno dell’ O. di deambulare,anche se per brevi tratti e con difficoltà, la Corte cisalpina ha esposto puntuale motivazione, richiamando specificatamente i documenti medici ed i risultati della prova orale espletata, utili al riguardo.

A fronte di un tanto le ricorrenti si limitano a contrapporre la propria valutazione dei medesimi dati probatori nonchè ad enfatizzare la concessione del contributo per l’eliminazione delle barriere architettoniche da parte dell’Ente locale.

All’evidenza, per quanto riprodotto nello stesso ricorso, la richiesta del contributo si fondava sull’invalidità dell’ O. – questione mai messa in discussione nella presente causa – mentre il dato rilevato dalla Corte territoriale era che, comunque, il committente era in grado di muoversi autonomamente anche se con difficoltà, situazione appunto che in alcuno degli elementi probatori – compresa la documentazione afferente la pratica del chiesto contributo – indicati dalla parte ricorrente appare affermata in modo inequivoco.

Dunque la valutazione della Corte di merito, supportata da puntuale motivazione fondata sull’emergenze probatorie acquisite in causa, non rimane superata dalla mera opinione contraria espressa dalle ricorrenti.

Anche con la terza ragione di doglianza le ricorrenti sviluppano un ragionamento critico articolato e correlato a tre profili di vizio previsti in art. 360 c.p.c.. Deducono infatti la violazione delle norme inerenti l’interpretazione del contatto, l’omesso esame di fatto decisivo rappresentato dalla richiesta di contributo ex lege n. 13 del 1989 e la nullità per l’illogica ed insufficiente motivazione relativa alla questione della presupposizione.

Come dianzi visto non concorre il vizio di omesso esame quando si lamenta la mancata valutazione di elemento probatorio – documentale nella specie – poichè la novellata norma postula che l’esame omesso riguardi fatto afferente il diritto dedotto in causa.

Con relazione al vizio di nullità fondato sulla norma in art. 132 c.p.c., n. 2, come dianzi già precisato, le figure sintomatiche dell’illogicità ed insufficienza non rientrano più nel dettato del disposto in art. 360 c.p.c., n. 5.

Quanto poi alla violazione delle norme in tema di ermeneutica contrattuale, parte ricorrente contrappone propria ricostruzione giuridica e fattuale della questione, fondata sull’esistenza della presupposizione, a quella motivatamente elaborata dalla Corte cisalpina.

Difatti,i Giudici d’appello hanno puntualmente evidenziato come l’ascensore era stato, bensì, richiesto per superare barriere architettoniche e collegare i due piani della casa in presenza di persona invalida, ma non già con esclusivo riferimento all’incapacità totale dell’ O. a deambulare, bensì per adeguare la casa alle esigenze di persona con difficoltà deambulatorie.

La Corte di merito ha escluso l’applicabilità dell’istituto della presupposizione in quanto l’apparato progettato non era adeguato alle esigenze di persona che poteva muoversi esclusivamente in carrozzella – incapace totalmente a deambulare – bensì per poter esser installato nella casa del committente che non consentiva,per la sua conformazione, la messa in opera di un ascensore di tipo tradizionale bensì solamente quando progettato per la specifica situazione.

Sulla scorta di detto dato fattuale – incontestato – e sull’apprezzamento dell’effettiva capacità del committente di comunque deambulare anche se con grave difficoltà, la Corte territoriale ha ritenuto che lo stato oggettivo di invalidità dell’ O., non già, avesse assunto natura di condizione inespressa – presupposizione – apposta al contratto stipulato, bensì il motivo che spinse il committente a richiedere l’installazione dell’ascensore specificatamente costruito per adattarsi alla situazione dei luoghi e,non già, alle esigenze della sua persona. Parte ricorrente contesta i dati fattuali alla base del ragionamento articolato dal Collegio d’appello richiamando il giudicato interno circa impossibilità dell’ O. di deambulare – oggetto come visto delle prime due disattese censure – e lumeggiando, siccome fatto configurante inadempimento, la predisposizione dell’ascensore non secondo i dettami prescritti per elevatore adatto a soggetti portatori di menomazione incidente sulla capacità di deambulare.

Al riguardo però le ricorrenti non si confrontano con la specifica affermazione della Corte di merito che ha riconosciuto come l’ascensore realizzato era conforme al progetto concordato tra le parti, siccome confermato anche dal consulente tecnico.

Dunque le parti contraenti non già concordarono la fornitura di ascensore appositamente predisposto per le esigenze di persona portatrice di incapacità totale alla deambulazione, bensì di strumento atto a collegare i due piani dell’edificio e consentire a qualsiasi persona con difficoltà motorie di muoversi nella casa, poichè fu progettato appositamente per esser adattato alla situazione del luogo ed al servizio degli abitanti nella casa.

La ricostruzione fattuale e giuridica operata dalla Corte subalpina non rimane incisa dall’enfatizzata – parte ricorrente – circostanza fattuale che il Comune di Alessandria ebbe a concedere il contributo previsto dalla L. n. 13 del 1989, posto che la norma in art. 9, comma 3 citata legge, che disciplina l’erogazione dei contributi, li correla all’esigenza di abbattimento delle barriere architettoniche in presenza di menomazioni o limitazioni funzionali permanenti alla facoltà di deambulazione, non già, al requisito dell’assoluta incapacità di deambulazione, siccome pretendono le ricorrenti.

Dunque non concorre alcuna violazione delle norme ermeneutiche legali in tema di indagine della volontà contrattuale, poichè la Corte di Torino ha condotto detto esame in modo appropriato.

Con la quarta ed ultima doglianza le consorti O. – M. deducono e violazione delle norme in artt. 1453 e 2697 c.c. ed art. 112 c.p.c., nonchè omesso esame di fatto decisivo e nullità per carente motivazione ex art. 132 c.p.c., n. 2, in quanto la Corte cisalpina avrebbe omesso di esaminare la loro domanda di risoluzione del contratto per inadempimento della snc P. Ascensori poichè il consulente tecnico ha accertato che l’ascensore in fornitura non era coerente con i requisiti previsti per esser adibito al servizio di persona non deambulante.

La censura su evocata s’appalesa siccome inammissibile poichè in effetti le ricorrenti non si confrontano con la ratio decidendi articolata in sentenza impugnata.

Correttamente le consorti M. – O. ricordano come nei loro scritti difensivi introduttivi ebbero a proporre domanda di risoluzione contrattuale nei confronti della società attrice, ma la Corte territoriale ebbe puntualmente ad esaminare detta domanda, rilevando come non risultasse pattuito termine essenziale e come l’ulteriore domanda di risoluzione, fondata sull’inadempimento per carenza delle caratteristiche costruttive adatte alle esigenze di soggetto non deambulante, risultasse tardivamente proposta.

Quindi la Corte territoriale ha pronunziato sulla domanda, sicchè palesemente non ricorre la violazione della norma ex art. 112 c.p.c..

Le ricorrenti non contestano che la loro iniziale domanda di risoluzione fondata sull’inosservanza del termine venne respinta dal primo Giudice e che al riguardo non fu mosso appello incidentale, ma contestano che la loro domanda di risoluzione, fondata sulla realizzazione di ascensore privo dei requisiti prescritti per il portatore di invalidità motoria, fosse tardiva.

Parte impugnante pare confondere la prospettazione dello schema astratto con la proposizione della domanda, necessariamente afferente al fatto della vita dedotto in causa.

Difatti negli scritti difensivi iniziali le consorti M. – O. dedussero, bensì, domanda di risoluzione del contratto ma fondata sul fatto della vita rappresentato dal mancato rispetto del termine – domanda rigettata dal primo giudice e non più coltivata in appello.

Come rettamente sottolineato dalla Corte cisalpina le impugnanti aggiunsero alla domanda, ritualmente proposta, ulteriore domanda di risoluzione contrattuale fondata sul mancato rispetto delle prescrizioni di legge afferenti ascensore destinato al servizio di persona non deambulante in sede di precisazione delle conclusioni di prime cure, evocando appositamente all’uopo le considerazioni in consulenza.

Dunque posto che la previsione normativa astratta diviene domanda giudiziale con la connotazione concreta del fatto della vita dedotto, evidente appare la novità della ulteriore domanda di risoluzione, siccome rilevato dai Giudici torinesi – Cass. sez. 3 n. 11960/10, Cass. sez. 2 n. 5228/1999, Cass. sez. 3 n. 6879/1983.

La contestazione poi circa l’accertamento, da parte della Corte torinese, che le parti vollero effettivamente l’ascensore siccome predisposto – quindi privo dei requisiti legali prescritti per gli apparati destinati a persone invalide – risulta già esaminata nell’ambito del precedente mezzo di impugnazione,cui non può che operarsi riferimento, in relazione alla riproposizione della stessa questione anche nell’ambito della quarta doglianza.

Il rigetto dell’impugnazione comporta, ex art. 385 c.p.c., la condanna, in solido tra loro, delle consorti O. – M. alla rifusione in favore della srl P. Ascensori delle spese di lite per questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e rimborso forfetario siccome specificato in dispositivo.

Concorrono in capo alle ricorrenti le condizione per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti,in solido fra loro, a rifondere alla società resistente le spese di lite afferenti a questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.700,00, oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2018

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