Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22516 del 09/08/2021

Cassazione civile sez. lav., 09/08/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 09/08/2021), n.22516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12688-2018 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO MARESCA,

ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e

difendono;

– ricorrente –

contro

D.M.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5888/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/10/2017 R.G.N. 3388/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/12/2020 dal Consigliere Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. con sentenza del 30 ottobre 2017, la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello proposto da Telecom Italia s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, di reiezione della sua opposizione al decreto ottenuto da D.M.M. dal Tribunale di Napoli di ingiunzione della società al pagamento della somma di Euro 4.306,66 a titolo di retribuzioni dei mesi di aprile e giugno 2015;

2. a seguito della dichiarazione giudiziale di nullità del trasferimento del 13 febbraio 2014 da Telecom Italia s.p.a. del ramo d’azienda, cui il dipendente era addetto, a TNT Logistics Italia (poi Ceva Logistics Italia) s.p.a. e del mancato ripristino dalla prima del rapporto che pure le era stato ordinato, la Corte territoriale riteneva la natura risarcitoria della domanda del lavoratore e condivideva la liquidazione del danno in suo favore nella somma oggetto di ingiunzione di pagamento, pari alle retribuzioni che di fatto sarebbero maturate dal momento della diffida alla società datrice di ripristino del rapporto con la messa a disposizione delle proprie energie lavorative;

3. essa infine escludeva la detraibilità di alcun emolumento per la genericità e difetto di prova documentale di aliunde perceptum;

4. con atto notificato il 26 aprile 2018, la società ricorreva per cassazione con due motivi, mentre il lavoratore, ritualmente intimato, non svolgeva difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1406,2112 e 2126 c.c., per l’unicità (essendone inconfigurabili due distinti contestuali) del rapporto di lavoro ceduto nell’ambito di un trasferimento di ramo d’azienda, ancorché dichiarato illegittimo per il solo mutamento della sua titolarità soggettiva, avendo pure il comportamento del lavoratore comprovato la volontà di reintegrazione del rapporto con la cessionaria, riconosciuta come vera datrice di lavoro, per avere egli impugnato il licenziamento da questa intimatogli e poi conciliato la controversia con la risoluzione consensuale del rapporto, accettandone una somma a titolo di incentivo all’esodo (primo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1206,1207 e 1223 c.c., per la detraibilità, in considerazione della natura risarcitoria dell’azione del lavoratore, dell’aliunde perceptum in riferimento alle somme cui il lavoratore aveva diritto per effetto della sentenza di reintegrazione nei confronti della cessionaria e della successiva conciliazione con incentivo all’esodo pari a Euro 71.428,58: senza pertanto alcun (maggior) danno da rifondere (secondo motivo);

2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;

3. è orientamento ormai consolidato di questa Corte (Cass. 3 luglio 2019, n. 17784 e 17876; Cass. 11 novembre 2019, n. 29092; Cass. 14 maggio 2020, n. 8951), meritevole di continuità, ritenere che soltanto un legittimo trasferimento d’azienda comporti la continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all’art. 2112 c.c.: con il conseguente venir meno dell’unicità del rapporto, qualora, come appunto nel caso di specie, il trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (già, e non più, cessionario) alle cui dipendenze il lavoratore “continui” di fatto a lavorare;

3.1. accertatane pertanto l’invalidità, il rapporto con il destinatario della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale), determinandosi il trasferimento del medesimo rapporto solo quando si perfezioni una fattispecie traslativa conforme al modello legale; diversamente, nel caso di invalidità della cessione (per mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c.) e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione), quel rapporto di lavoro non si trasferisce e resta nella titolarità dell’originario cedente (Cass. 28 febbraio 2019, n. 5998; in senso conforme, tra le altre: Cass. 18 febbraio 2014, n. 13485; Cass. 7 settembre 2016, n. 17736; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2281, le quali hanno pure ribadito il consolidato orientamento circa l’interesse ad agire del lavoratore ceduto nonostante la prestazione di lavoro resa in favore del cessionario);

3.2. i rapporti di lavoro sono pertanto due (uno, de iure, ripristinato nei confronti dell’originario datore di lavoro, tenuto alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora del lavoratore; l’altro, di fatto, nei confronti del soggetto, già cessionario, effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa) a fronte di una prestazione solo apparentemente unica: posto che, accanto ad una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d’azienda, abbia instaurato un rapporto di lavoro di fatto, ve ne sia un’altra giuridicamente resa in favore dell’originario datore, con il quale il rapporto di lavoro è stato de iure (anche se non de facto, per rifiuto ingiustificato del predetto) ripristinato, non meno rilevante sul piano del diritto;

3.3. al dipendente spetta pertanto la retribuzione tanto se la prestazione di lavoro sia effettivamente eseguita, sia se il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei suoi confronti (Cass. 23 novembre 2006, n. 24886; Cass. 23 luglio 2008, n. 20316); ed infatti, una volta offerta la prestazione lavorativa al datore di lavoro giudizialmente dichiarato tale, il rifiuto di questi rende giuridicamente equiparabile la messa a disposizione delle energie lavorative del dipendente alla utilizzazione effettiva, con la conseguenza che il datore di lavoro ha l’obbligo di pagare la controprestazione retributiva; sicché, mediante l’intimazione del lavoratore all’impresa cedente di ricevere la prestazione con modalità valida ai fini della costituzione in mora credendi del medesimo datore (il quale la rifiuti senza giustificazione), si deve ritenere che il debitore del facere infungibile abbia posto in essere quanto è necessario, secondo il diritto comune, per far nascere il suo diritto alla controprestazione del pagamento della retribuzione, equiparandosi la prestazione rifiutata alla prestazione effettivamente resa per tutto il tempo in cui il creditore l’abbia resa impossibile non compiendo gli atti di cooperazione necessari; così, da quel momento l’attività lavorativa subordinata resa in favore del non più cessionario equivale a quella che il lavoratore, bisognoso di occupazione, renda in favore di qualsiasi altro soggetto terzo: e come la retribuzione corrisposta da ogni altro datore di lavoro presso il quale il lavoratore impiegasse le sue energie lavorative si andrebbe a cumulare con quella dovuta dall’azienda cedente, parimenti anche quella corrisposta da chi non è più da considerare cessionario, e che compensa un’attività resa nell’interesse e nell’organizzazione di questi, non va detratta dall’importo della retribuzione cui il cedente è obbligato;

3.4. né tale prestazione lavorativa in fatto resa per un terzo esclude una valida offerta di prestazione all’originario datore (Cass. 8 aprile 2019, n. 9747), considerato che, una volta che l’impresa cedente, costituita in mora, manifestasse la volontà di accettare la prestazione, il lavoratore potrebbe scegliere di rendere la prestazione non più soltanto giuridicamente, ma anche effettivamente, in favore di essa e, ove ciò non facesse, verrebbero automaticamente meno gli effetti della mora credendi;

4. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere rigettato, senza statuizione sulle spese, in assenza di svolgimento di difese dalla parte vittoriosa e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2021

 

 

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