Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22516 del 07/11/2016


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Cassazione civile sez. un., 07/11/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 07/11/2016), n.22516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente Sezione –

Dott. CURZIO Pietro – Presidente Sezione –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente Sezione –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente Sezione –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

P.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato Sergio

Mango per procura speciale in calce al ricorso, elettivamente

domiciliato in Roma, via Collina n. 36, presso lo studio

dell’Avvocato Gaetano Iacono;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI (OMISSIS);

PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 233 del 2015,

depositata in data 29 dicembre 2015 e notificata il 2 febbraio 2016;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5

luglio 2016 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito l’Avvocato P.A.;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DE AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Gli Avvocati P.A. e sua figlia M.L. sono stati sottoposti a procedimento disciplinare per avere percepito da una compagnia di assicurazione un risarcimento di Lire 315.000.000, consegnando ai loro assistiti la minor somma di Lire 200.000.000.

Per il fatto veniva avviato anche procedimento penale, sicchè il giudizio disciplinare veniva sospeso. Conclusosi con sentenza definitiva il giudizio penale, veniva riassunto il procedimento.

Su sua richiesta, la posizione di P.M.L. veniva stralciata.

Il COA di (OMISSIS) comminava ad P.A. la sanzione della radiazione.

Questi proponeva ricorso al CNF che, con sentenza n. 233 del 2015, lo rigettava per i profili attinenti ai denunciati vizi procedimentali, alla prescrizione e alla sussistenza del fatto contestato, riducendo però la sanzione dalla radiazione alla sospensione dall’esercizio della professione per tre anni.

L’Avvocato P. ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi.

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di (OMISSIS) non ha svolto difese.

Il ricorrente ha chiesto altresì la sospensione della esecuzione della sentenza.

Con decreto in data 23 maggio 2016 8depositato il 25 maggio) è stata disposta la trattazione per l’udienza pubblica del 5 luglio 2016, anche per il merito della impugnazione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – L’Avvocato P. articola otto motivi di ricorso.

1.1. – Con il primo motivo (violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, del R.D. n. 37 del 1934, art. 51, e dell’art. 3 Cost.) il ricorrente deduce la erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la nullità della deliberazione del COA pur essendo tale deliberazione stata sottoscritta, quali presidente e segretario, da persone diverse da quelle che la avevano assunta. Il ricorrente rileva, infatti, che la delibera del COA di (OMISSIS) in data 13 luglio 2010 è stata sottoscritta, quale presidente, dall’Avvocato Z.G., e non dall’Avvocato S.M., presidente del COA all’epoca della deliberazione, e dal segretario Avvocato Sp.Gi., che all’epoca della delibera non rivestiva la detta qualità. Ciò determinerebbe, ad avviso del ricorrente, la nullità della delibera e la erroneità della sentenza impugnata che ha respinto la relativa censura. Nullità che, peraltro, è stata dichiarata dallo stesso CNF in un caso analogo al presente, con conseguente violazione del’art. 3 Cost..

1.2. – Con il secondo motivo (violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, sotto altro profilo, del R.D. n. 37 del 1934, artt. 51 e 44, nonchè violazione e mancata applicazione degli artt. 112, 161, 174, 340 e 354 c.p.c., e con riferimento al principio di immutabilità del giudice di cui agli artt. 525 e 179 c.p.p.) il ricorrente denuncia ancora la mancata dichiarazione di nullità della deliberazione del COA per violazione del principio di immutabilità del giudice, rilevando che un componente del COA era presente al momento della acquisizione delle prove ed era invece assente al momento della deliberazione del 13 luglio 2010.

1.3. – Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 51, e mancata pronuncia sulla improcedibilità dell’azione disciplinare per decorso del termine prescrizionale ancora prima dell’esercizio dell’azione con deliberazione del 26 maggio 2003; violazione e mancata applicazione della L. n. 247 del 2012, art. 65, comma 5; violazione e mancata applicazione dell’art. 56 della legge n. 247 del 2012) il ricorrente censura la sentenza del CNF per non avere dichiarato la prescrizione dell’illecito disciplinare, alla luce della intervenuta modifica della disciplina sul punto.

In particolare, il ricorrente deduce che erroneamente il CNF – confermando la valutazione espressa in proposito dal COA di (OMISSIS) e facendo quindi riferimento al principio per il quale quando per i medesimi fatti è pendente un procedimento penale il termine di prescrizione inizia a decorrere dalla data di irrevocabilità della sentenza penale – non avrebbe considerato che il fatto contestato era avvenuto il 2 ottobre 1996, mentre il procedimento disciplinare è stato avviato con deliberazione del 26 maggio 2003, e il decreto di citazione a giudizio è stato emesso dal P.M. di Marsala il 23 maggio 2003. In tal modo, osserva il ricorrente, il CNF non avrebbe tenuto conto che l’illecito disciplinare era soggetto alla prescrizione quinquennale decorrente dal giorno di realizzazione dell’illecito o, in caso di illecito permanente, dalla data di cessazione della condotta. Nella specie, posto che l’illecito doveva essere ritenuto (e lo stesso CNF così lo ha qualificato) istantaneo con effetti permanenti, il termine prescrizionale era ampiamente maturato prima ancora della deliberazione di apertura del procedimento disciplinare.

In ogni caso, prosegue il ricorrente, il CNF non avrebbe tenuto conto della L. n. 247 del 2012, che all’art. 56, detta una disciplina della prescrizione certamente più favorevole a quella previgente, essendo stabilito il limite massimo di sette anni e sei mesi, applicabile ai procedimenti pendenti in forza dell’art. 65, comma 5, della medesima legge.

1.4. – Con il quarto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., dell’art. 653 c.p.p., e degli artt. 24 e 111 Cost.) l’Avvocato P. deduce la violazione del principio di autonomia del giudizio disciplinare da quello penale, dolendosi del fatto che il CNF abbia fondato la propria decisione sulle risultanze della decisione penale, che da ultimo è stata di estinzione del reato per prescrizione. Tale circostanza, del resto, non consentiva che potesse operare l’art. 653 c.p.p., in base al quale l’efficacia del giudicato penale nel giudizio disciplinare è limitato ai casi di assoluzione e di condanna, mentre, nella specie, il procedimento penale si era concluso con dichiarazione di estinzione del reato.

1.5. – Con il quinto motivo (omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio), il ricorrente si duole del fatto che il CNF non abbia rilevato la insussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi del reato di appropriazione indebita, caratterizzato da dolo specifico, nella specie non sussistente atteso che le somme trattenute costituivano il corrispettivo di prestazioni professionali.

1.6. – Con il sesto motivo (nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 360 n. 4, cod. proc. civ., per la violazione della L. n. 247 del 2012, art. 65, comma 5, in relazione alla mancata applicazione dell’art. 9 del regolamento n. 2/2014 approvato dal CNF ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 50, comma 5, e violazione dell’art. 37 c.p.p.), il ricorrente deduce la mancata applicazione delle disposizioni della L. n. 247 del 2012, più favorevoli all’incolpato, in tema di ricusazione dei componenti del COA. In particolare, il ricorrente ricorda che con delibera del Consiglio distrettuale di Palermo del 27 gennaio 2011 era stata accolta, con riferimento alla posizione di sua figlia M.L., stralciata dal COA di (OMISSIS), la richiesta di ricusazione nei confronti del Presidente del COA di (OMISSIS), Avvocato S.M. e dei Consiglieri Avvocati S.V., L.G., M.A. e Pe.St.Ga.: presidente e consiglieri, osserva il ricorrente, che avevano invece partecipato alla deliberazione del 13 luglio 2010 nei suoi confronti; circostanza, questa, che avrebbe dovuto indurre il CNF a dichiarare la nullità della deliberazione adottata dal COA nei suoi confronti. Il CNF, comunque, avrebbe dovuto porsi il problema dell’applicazione delle disposizioni più favorevoli contenute nel codice deontologico vigente e nel regolamento adottato dallo stesso CNF ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 50, comma 5.

1.7. – Con il settimo motivo (violazione dell’art. 24 Cost., e art. 111 Cost., comma 6, per violazione del diritto di difesa; difetto, mancanza, incongruenza ed irrazionalità della motivazione; violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c.; eccesso di potere, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), il ricorrente si duole che il CNF non abbia considerato che la sentenza penale del 2006 era una sentenza di estinzione del reato per prescrizione; il giudice disciplinare avrebbe quindi dovuto procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze istruttorie eventualmente anche ammettendo le richieste istruttorie avanzate dalla difesa.

1.8. – Con l’ottavo motivo (violazione e mancata applicazione della L. n. 247 del 2012, art. 65, comma 5, nonchè dell’art. 30 del codice deontologico forense approvato il 31 gennaio 2014, entrato in vigore il 15 dicembre 2014; violazione del principio del favor rei, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), il ricorrente censura la sentenza impugnata con riferimento alla sanzione applicata, sul rilievo che, in base alla L. n. 247 del 2012, e all’art. 30 del nuovo codice deontologico, la sanzione applicabile sarebbe stata quella della censura o al più quella della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da sei mesi a un anno, mentre nel caso di specie il CNF ha applicato la sanzione della sospensione per tre anni.

2. Il primo motivo di ricorso è fondato.

2.1. – La decisione del COA di (OMISSIS), che ha irrogato all’Avvocato P. la sanzione della radiazione, poi sostituita dal CNF con quella della sospensione per tre anni, è stata adottata da un collegio composto da tredici componenti, tra i quali il Presidente Avvocato S.M. e il Segretario Avvocato Z.G.. La decisione è stata adottata nella seduta del 13 luglio 2010 ed è stata depositata nella segreteria del Consiglio il 20 febbraio 2013. La stessa risulta sottoscritta dal Presidente, Avvocato Z.G., e dal Segretario, Avvocato Sp.Gi.; quest’ultimo era componente del collegio che ha adottato la decisione in data 13 luglio 2010.

Risulta evidente, dunque, che le persone che hanno sottoscritto la decisione pur se erano componenti del Consiglio dell’ordine e partecipanti alla seduta in cui la decisione è stata deliberata, non rivestivano però le qualità in forza delle quali hanno poi sottoscritto la decisione stessa.

Il problema posto dal motivo di ricorso in esame è quindi quello della sussistenza o no della necessità che i componenti del consiglio dell’ordine che hanno adottato una determinata deliberazione corrispondano a quelli che risultano avere adottato la stessa deliberazione mediante la sottoscrizione apposta in calce alla stessa.

Il CNF ha rigettato il motivo di impugnazione proposto dall’Avvocato P. ritenendo che la previsione del R.D. n. 37 del 1934, art. 51, a tenore della quale la decisione del COA “deve contenere la esposizione dei fatti, i motivi sui quali si fonda, il dispositivo, l’indicazione del giorno, del mese e dell’anno in cui è pronunziata e la sottoscrizione del Presidente e del segretario”, deve ritenersi rispettata quando la decisione disciplinare risulti sottoscritta dal Presidente e dal Segretario in carica al momento del deposito della decisione stessa. In proposito, ha richiamato una propria precedente pronuncia in cui si è affermato che il principio si giustifica con il fatto che i consigli dell’ordine vengono rinnovati periodicamente e, conseguentemente, al momento del deposito della decisione possono essere in carica membri diversi da quelli che hanno composto il collegio che ha assunto la deliberazione.

2.1. – Il Collegio ritiene che il principio richiamato dal CNF nella propria decisione non possa essere condiviso.

Non è qui in discussione il consolidato orientamento di questa Corte, per cui “le funzioni esercitate in materia disciplinare dai Consigli dell’Ordine degli avvocati, ed il relativo procedimento, hanno natura amministrativa e non giurisdizionale” (di recente, Cass., S.U., n. 23540 del 2015; Cass., S.U., n. 28339 del 2011).

Tuttavia, proprio con riferimento alle decisioni disciplinari dei Consigli dell’ordine queste Sezioni Unite hanno affermato il principio che “le decisioni dei Consigli degli ordini degli avvocati e procuratori debbono essere sottoscritte dal presidente e dal segretario che hanno partecipato alla seduta, la cui data risulta nel corpo della decisione: è perciò irrilevante il cambiamento della composizione del consiglio stesso al momento della pubblicazione della decisione” (Cass., S.U., n. 4192 del 1978).

La sentenza impugnata, supponendo che la decisione sia valida purchè sottoscritta dal Presidente e dal Segretario in carica al momento della pubblicazione della stessa pur se diversi da quelli che hanno partecipato alla deliberazione, si pone in radicale contrasto con il richiamato principio, al quale il Collegio ritiene debba essere data continuità. Invero, dalla lettera del R.D. n. 37 del 1934, art. 51, si desume agevolmente che Presidente e Segretario debbono essere quelli che hanno partecipato alla deliberazione della decisione nella detta qualità, non essendo prescritta la sottoscrizione del relatore ed essendo invece previsto in unico contesto il requisito della indicazione della data della deliberazione e quello della sottoscrizione dei soggetti indicati.

2.2. – La sentenza impugnata ha quindi violato l’art. 51 citato nel non rilevare e dichiarare la nullità della decisione di primo grado per la non corrispondenza tra il Presidente e il Segretario del Consiglio dell’ordine che hanno partecipato alla deliberazione e il Presidente e il Segretario che hanno sottoscritto la decisione al momento della pubblicazione.

La nullità della decisione del COA, tuttavia, non esime dall’esame delle restanti censure proposte dal ricorrente, atteso che, ove il CNF avesse correttamente dichiarato la nullità della decisione del COA la conseguenza non avrebbe potuto essere altra che quella della trasmissione al COA per la rinnovazione della deliberazione, trovando applicazione, secondo la disciplina ratione temporis vigente, le disposizioni del codice di procedura penale.

Il ricorrente, con il terzo motivo, prospetta una questione, quella della prescrizione dell’illecito disciplinare, che se dovesse essere accolta renderebbe superflua la trasmissione degli atti al COA per un nuovo giudizio. Si deve quindi procedere all’esame di tale motivo.

3. – Il terzo motivo è certamente fondato.

L’Avvocato P. è stato ritenuto responsabile in relazione al seguente capo di incolpazione (riferito anche alla figlia del ricorrente, la cui posizione è stata poi stralciata): “perchè incaricati da essi istanti di patrocinarli in un procedimento civile nei confronti della Bavaria, avente ad oggetto risarcimento danni, avrebbero percepito per loro conto l’indennizzo di Lire 315.000.00 avvalendosi di una apposita procura per incassare, consegnando agli interessati medesimi la minore somma di Lire 2000.000.000 senza informarli del suddetto incasso complessivo di Lire 315.000.000”. L’incasso in questione risaliva al 2 ottobre 1996 ed era stato portato a conoscenza del Consiglio dell’ordine competente con un esposto in data 13 giugno 2002.

Ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 51, l’azione disciplinare si prescrive nel termine di cinque anni.

Queste Sezioni Unite hanno avuto modo di chiarire che “agli effetti della prescrizione dell’azione disciplinare di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 51, recante l’ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore, occorre distinguere il caso, previsto dall’art. 38, in cui il procedimento disciplinare tragga origine da fatti punibili solo in tale sede, in quanto violino esclusivamente i doveri di probità, correttezza e dirittura professionale, dal caso, previsto dall’art. 44, in cui il procedimento disciplinare abbia luogo per fatti costituenti anche reato e per i quali sia stata iniziata l’azione penale. Nel primo caso, in cui l’azione disciplinare è collegata ad ipotesi generiche ed a fatti anche atipici, il termine prescrizionale comincia a decorrere dalla commissione del fatto; nel secondo, invece, l’azione disciplinare è collegata al fatto storico di una pronuncia penale che non sia di proscioglimento perchè il fatto non sussiste o perchè l’imputato non lo ha commesso, ha come oggetto lo stesso fatto per il quale è stata formulata una imputazione, ha natura obbligatoria e non può essere iniziata prima che se ne sia verificato il presupposto, con la conseguenza che la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto di punire può essere esercitato, e cioè dal passaggio in giudicato della sentenza penale, costituente un fatto esterno alla condotta” (Cass., S.U., n. 10071 del 2011; Cass., S.U., n. 14985 del 2005).

A tale principio ha fatto riferimento il CNF nella sentenza impugnata; ma risulta evidente la non pertinenza del principio in questione rispetto al caso di specie, atteso che al momento dell’esercizio dell’azione penale nei confronti del ricorrente (23 maggio 2003) il termine prescrizionale dell’illecito disciplinare era interamente decorso, senza che sia stata evidenziata l’esistenza di un qualsivoglia atto interruttivo della prescrizione. In proposito, si deve rilevare che i riferimenti contenuti nella sentenza impugnata circa il fatto che nel corso del procedimento disciplinare non si sono mai avuti periodi tra un atto interruttivo e l’altro superiori ai cinque anni non appaiono idonei a far ipotizzare che, nel caso di specie, il termine prescrizionale sia stato interrotto, atteso che lo stesso era già maturato al momento della formulazione della imputazione.

Il richiamato principio, pertanto, risulta impropriamente valorizzato nella decisione impugnata, potendo lo stesso operare nel solo caso in cui il termine di prescrizione dell’azione disciplinare non sia maturato al momento dell’esercizio dell’azione penale o in quello, anteriore, della formulazione di una imputazione per il medesimo fatto.

D’altra parte, non può neanche ipotizzarsi che il termine prescrizionale non sia iniziato a decorrere dal 2 maggio 1996, atteso che l’illecito contestato non può essere ritenuto permanente.

4. – In conclusione, il motivo di ricorso concernente la intervenuta prescrizione dell’illecito disciplinare contestato va accolto, con conseguente assorbimento delle ulteriori censure.

All’accoglimento del motivo consegue la cassazione della sentenza impugnata, senza rinvio, dovendosi dichiarare prescritto l’illecito disciplinare contestato.

Quanto alle spese, si ritiene che le stese debbano essere dichiarate irripetibili, tenuto conto della natura del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata senza rinvio, dichiarando estinto per intervenuta prescrizione l’illecito disciplinare contestato.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili delle Corte Suprema di Cassazione, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2016

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