Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22512 del 27/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 27/09/2017, (ud. 28/06/2017, dep.27/09/2017),  n. 22512

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12413-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PELAGO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 172/2013 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata l’08/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/06/2017 dal Consigliere Dott. FASANO ANNA MARIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

CHE:

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, nei confronti del comune di Pelago, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana, in epigrafe indicata, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione del silenzio rifiuto espresso sull’istanza di rimborso con la quale il comune chiedeva la restituzione di quanto versato a titolo di tassa per concessione governativa per il servizio di telefonia mobile, periodo dicembre 2006 – ottobre 2010, assumendo l’ente contribuente, essenzialmente, la non debenza della tassa per intervenuta abrogazione tacita ad opera del D.Lgs. n. 259 del 2003 – accoglieva in parte l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTP di Firenze, dichiarando la decadenza triennale in ordine alla ripetizione degli importi corrisposti dal Comune per gli anni 2006 e 2007 e confermando nel resto la sentenza impugnata. Il Comune intimato non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con l’unico motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 641 del 1972, art. 1, e dell’art. 21 della tariffa a questo annessa, del D.Lgs. n. 259 del 2003, artt. 25 e 160, come autenticamente interpretato dal D.L. n. 4 del 2014, art. 2, comma 4, nonchè del D.L. n. 151 del 1991, art. 3, convertito nella L. n. 202 del 1991 e del D.M. n. 33 del 1990, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che la CTR da una parte ha ritenuto tardiva l’istanza di rimborso per gli anni 2006 e 2007, dall’altra ha ritenuto illegittimo il silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso per anni 2008, 2009 e 2010 sull’assunto che il predetto art. 21 sia una “norma svuotata di contenuto”, perchè si baserebbe su un atto normativo, il D.P.R. n. 156 del 1991, art. 318, ormai abrogato, e affermando che, venuto meno il presupposto di imposta, sarebbe venuta meno anche la norma dell’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. 641 del 1972che è norma sul “quantum”, laddove l’abrogazione dell’art. 318 del d.P.R. 156/1973 è da considerarsi un’abrogazione meramente formale della fonte normativa, la cui disciplina, immutata per formulazione letterale, collocazione sistematica e “ratio legis”, è stata trasfusa nella nuova disposizione del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 160.

2. Il motivo è fondato, in ragione delle seguenti considerazioni:

a) La questione di diritto proposta dal ricorso è stata definita dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 9560 del 2014, ove si è affermato che, in tema di radiofonia mobile, l’abrogazione del D.P.R. 28 marzo 1973, n. 156, art. 318, ad opera del D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, art. 218, non ha fatto venire meno l’assoggettabilità dell’uso del “telefono cellulare ” alla tassa governativa di cui all’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, in quanto la relativa previsione è riprodotta nel D.Lgs. n. 259 cit. art. 160, (v. anche Cass. n. 9760 del 2016).

b) Va, infatti, esclusa, come anche desumibile dal D.L. 24 gennaio 2014, n. 4, art. 2, comma 4, conv. con modificazioni in L. 28 marzo 2014, n. 50, che ha inteso la nozione di stazioni radioelettriche come inclusiva del servizio radiomobile terrestre di comunicazione (“Per gli effetti dell’art. 21 della Tariffa annessa al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, le disposizioni dell’art. 160 del Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al D.Lgs. 10 agosto 2003, n. 259, richiamate dal predetto art. 21, si interpretano nel senso che per stazioni radioelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre di comunicazione”) – una differenziazione di regolamentazione tra “telefoni cellulari ” e “radio rice – trasmittenti”, risultando entrambi soggetti, quanto alle condizioni di accesso, al D.Lgs. 259 cit. (attuativo, in particolare, della direttiva 2002/20/CE, cosiddetta direttiva autorizzazioni), e, quanto ai requisiti tecnici per la messa in commercio, al D.Lgs. 5 settembre 2001, n. 269 (attuativo della direttiva 1999/5/CE), sicchè il rinvio, di carattere non recettizio, operato dalla regola tariffaria deve intendersi riferito attualmente all’art. 160 della nuova normativa (par. 7.2. “Non appare giustificato sostenere sul piano normativo che la tassa di concessione governativa sui telefonini sia da ritenere abrogata per il solo fatto che il codice delle comunicazioni non disciplini più l’uso dei terminali radiomobili di comunicazione (cioè i telefonini)”).

c) Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, l’applicabilità di siffatta tassa non si pone in contrasto con la disciplina comunitaria (la direttiva 2002/19/CE), relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime (cd. “direttiva accesso”); la direttiva 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (cd. “direttiva autorizzazioni”); la direttiva 2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (cd. “direttiva quadro”); la direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (cd. “direttiva servizio universale”); la direttiva 2002/77/CE, relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica; le prime tre di queste direttive sono state modificate dalla direttiva 2009/140/CE e tutte tali direttive sono state attuate nell’ordinamento giuridico italiano dal Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al D.Lgs. n. 259 del 2003, poi modificato, in attuazione della citata direttiva 2009/140/CE, dal D.Lgs. n. 70 del 2012), attesa l’esplicita esclusione di ogni incompatibilità affermata dalla Corte di giustizia. Secondo la Corte di Lussemburgo (par. 7.3.2 della pronuncia S.U. di questa Corte), infatti, il quadro normativo comunitario espresso dalle direttive suddette “non osta ad una norma nazionale che prevede un tributo come la tassa di concessione governativa” (Corte giust. 15.12.2010, in causa C-492/09; Corte giust. 27.6.2013, in causa C-71/12; Corte giust. 12.12.2013, in causa C335/13).

d) Le S.U. della Corte, con la sentenza citata, hanno anche affermato che: 1) “Il riferimento contenuto nell’art. 21 della tariffa allegata D.P.R. n. 641 del 1972all’art. 318 del codice postale deve intendersi attualmente riferito al D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 160, stante il carattere “formale” e non “recettizio” del rinvio operato alla regola “tariffaria” (par. 8.1.1.); 2) attraverso un continuum normativo – D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 318, D.M. 3 agosto 1985, D.M. 13 febbraio 1990, n. 33, D.L. 13 maggio 1991, n. 151, art. 3 “La disciplina dei telefoni cellulari con riferimento all’applicabilità della tassa di concessione governativa emerge come necessitato sviluppo della disciplina delle stazioni radioelettriche” (p. 8.3); 3) “una interpretazione delle norme del D.Lgs. n. 259 del 2003, da cui si facesse discendere un’attuale inapplicabilità della tassa di concessione governativa sui telefonini sarebbe incompatibile con la disposizione di cui all’art. 219 del codice delle comunicazioni (par. 8.5); 4) con riferimento alla disciplina comunitaria (Direttive 5/1999 e 21/2002), “tra radio e telefoni non c’è una distinzione in relazione alla fonte regolatrice, bensì solo in relazione all’attività: nel senso che la direttiva n. 5/99 ed il Decreto n. 269 del 2001 si occupano delle specifiche tecniche sia delle radio che dei telefonini; mentre la direttiva n. 21/02 ed il Decreto n. 259 del 2003 si occupano delle reti e delle relative autorizzazioni di esercizio sia per le radio, sia per i telefoni” (par. 8.4.1); 5) il D.L. n. 4 del 2014, art. 2, comma 4, ha portata interpretativa, essendosi il legislatore, in effetti, limitato a rendere vincolante una delle opzioni ermeneutiche emerse nella giurisprudenza (par. 10).

e) Recentemente, la Corte di Giustizia UE, con sentenza del 17 settembre 2015, causa C-416/14 ha ritenuto che la disciplina UE va interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale relativa all’applicazione di una tassa, quale la tassa di concessione governativa, in forza della quale l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, nel contesto di un contratto di abbonamento, è assoggettato a un’autorizzazione generale o a una licenza nonchè al pagamento di detta tassa, in quanto il contratto di abbonamento sostituisce di per sè la licenza o l’autorizzazione generale e, pertanto, non occorre alcun intervento dell’amministrazione al riguardo.

Con particolare riferimento alla Direttiva 1999/5/CE riguardante le apparecchiature radio e le apparecchiature terminali di telecomunicazioni, ed al suo art. 8, la Corte UE ha chiarito che la normativa nazionale, che prevede l’applicazione della tassa sulle concessioni governative, non si pone in contrasto con il principio comunitario della libera circolazione delle apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, “non essendo richiesto alcun intervento, attività o controllo da parte dell’amministrazione”, valendo il contratto di abbonamento “di per se stesso”, quale documento sostitutivo dell’autorizzazione generale e/o della licenza stazione radio ed incidendo la stessa tassa “non sulle apparecchiature terminali per servizio radiomobile terrestre”, bensì sui contratti di abbonamenti sottoscritti per l’uso di tali apparecchiature, senza alcuna interferenza con la vendita di dette apparecchiature terminali. In tale contesto, è stato poi aggiunto, nella medesima pronuncia della Corte UE, che la direttiva 2002/22/CE, art. 20 (c.d. Direttiva Reti, disciplinante la fornitura di reti e di servizi di comunicazione elettronica agli utenti finali), come modificata dalla direttive 2009/136/CE (e l’art. 8 della direttiva 1999/E/CEE di cui sopra) e le altre Direttive Reti (Direttive nn. 2002/21, 2002/19 e 2002/22) vanno interpretati nel senso che non ostano, ai fini dell’applicazione di una tassa quale la tassa di concessione governativa, all’equiparazione a un’autorizzazione generale o a una licenza di stazione radioelettrica di un contratto di abbonamento a un servizio di telefonia mobile, che deve peraltro precisare il tipo di apparato terminale di cui si tratta e l’omologazione di cui è stato oggetto.

f) Secondo i principi espressi non è richiesto alcun intervento effettivo di autorizzazione dell’amministrazione, visto che il “contratto di abbonamento sostituisce di per sè l’autorizzazione”. Dopo l’ulteriore intervento della Corte di giustizia non è più in discussione la compatibilità della tassa di concessione governativa con l’ordinamento UE e, dall’altro lato, sul piano interno, l’esistenza di un quadro normativo non equivoco, in ordine alla necessità di autorizzazione, individua il presupposto d’imposta. Si deve, quindi, concludere per l’applicabilità agli abbonamenti per il servizio di telefonia cellulare della tassa di concessione governativa come disciplinata dall’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972.

3. Sulla base dei rilievi espressi, il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate va accolto, atteso che la CTR non si è uniformata ai suindicati principi, avendo ritenuto non dovuta la tassa in questione, perchè abrogata dal D.Lgs. n. 259 del 2003.

La sentenza impugnata va, quindi, cassata, e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ricorrendone le condizioni, va rigettato il ricorso introduttivo proposto dal Comune di Pelago.

Le spese di lite di ogni fase e grado del giudizio vanno integralmente compensate tra le parti, tenuto conto del recente consolidamento della giurisprudenza di questo giudice di legittimità a Sezioni Unite sulla principale questione di diritto.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dal Comune di Pelago. Compensa le spese di lite di ogni fase e grado.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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