Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22509 del 09/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/08/2021, (ud. 16/02/2021, dep. 09/08/2021), n.22509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9734-2020 proposto da:

M.N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIANCARLO MUCIACCIA;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol. 278/2020 del TRIBUNALE di CAGLIARI,

depositato il 03/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Cagliari del 3 febbraio 2020. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente, M.N.A., potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e, segnatamente, la mancata valutazione della provenienza del ricorrente dal Bangladesh. Si deduce che il Tribunale avrebbe interpretato i fatti posti a fondamento della domanda azionata alla luce della situazione di un paese, il Gambia, che non ha alcun legame con il ricorrente.

Il secondo mezzo lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Assume chi impugna che il giudice di primo grado avrebbe erroneamente interpretato la normativa vigente senza tener conto della giurisprudenza della Corte di giustizia. Viene dedotto che tanto il pericolo attuale di un danno grave, quanto l’esistenza del conflitto armato “ben dovevano essere valutati alla luce delle fonti e report internazionali a disposizione del giudicante”. Si censura, poi, la decisione assunta con riferimento alla domanda di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), cit., rilevandosi come il decreto impugnato dia atto che la situazione sociopolitica del paese di provenienza del ricorrente è caratterizzata da un clima di tensione politica e da attentati terroristici.

Col terzo mezzo viene denunciata la violazione, oltre che la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, commi 1 e 2, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32. L’istante si duole del mancato riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria osservando come il giudice di prima istanza non abbia conferito il giusto peso alle minacce che ancora oggi egli riceverebbe dagli assassini del padre; lamenta, altresì, che non sia stata apprezzata la propria situazione di estrema povertà e il dato relativo all’inserimento sociale di esso ricorrente nel paese di accoglienza.

2. – Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo deve essere disatteso in quanto il richiamo, pag. 3 del provvedimento impugnato, a un paese diverso rispetto a quello cui proviene l’istante è frutto di un evidente svista redazionale: lo si desume dai plurimi richiami, contenuti nel provvedimento, al Bangladesh, paese da cui effettivamente proviene l’odierno ricorrente.

Venendo al secondo mezzo di censura, il provvedimento impugnato non si è affatto discostato dal principio per cui la protezione sussidiaria, nel caso di cui all’art. 14, lett. c), cit., va accordata per il sol fatto che il richiedente provenga da territorio interessato dalla menzionata situazione di violenza indiscriminata: situazione in cui il livello del conflitto affinato in corso è tale che l’interessato, rientrando in quel paese o in quella regione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (Corte giust. 17 febbraio 2009, C-465/07, Elgafaji, richiamata da Corte giust. 30 gennaio 2014, C-285/12, Diakite’; per la giurisprudenza nazionale cfr. pure, di recente: Cass. 17 luglio 2020, n. 15317; Cass. 8 luglio 2019, n. 18306; Cass. 2 aprile 2019, n. 9090; Cass. 13 maggio 2018, n. 13858; Cass. 23 ottobre 2017, n. 25083; Cass. 21 luglio 2017, n. 18130). Il Tribunale ha poi escluso, sulla base del report di Amnesty International del marzo 2019, che il Bangladesh sia teatro di una situazione di vera e propria violenza generalizzata. Ne’ possono avere ingresso, in questa sede, censure vertenti sulla effettiva situazione di quel paese, che si assume connotata da tensioni politiche e da attentati terroristici: e ciò in quanto l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” che sia causa, per il richiedente, di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dall’art. 14, lett. c), implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105).

Pure inammissibile è il terzo motivo. Il Tribunale ha chiarito che l’istante non poteva considerarsi vulnerabile in ragione della vicenda da lui descritta, legata ad una disputa sulla proprietà di alcuni terreni che aveva portato all’uccisione del padre: ha infatti precisato – ed è questo un accertamento di fatto non controvertibile in questa sede – che a seguito del trasferimento della famiglia del richiedente in altra città, il conflitto che avrebbe costituito il motivo della fuga dello stesso istante dal suo paese di origine non era più attuale. Il provvedimento impugnato non riferisce, del resto, di ulteriori prospettazioni correlate alla domanda di protezione umanitaria e nemmeno il ricorrente fornisce, al riguardo, puntuali indicazioni al riguardo: sicché va fatta applicazione del principio per cui la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo e il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016). Il Tribunale ha poi negato l’esistenza di un compiuto processo di inserimento del richiedente nel nostro paese e tale accertamento è in questa sede insuperabile.

3. – Non vi sono spese da liquidare.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2021

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