Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22508 del 09/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/09/2019, (ud. 27/03/2019, dep. 09/09/2019), n.22508

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6935-2018 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL

VIMINALE 38, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO MACEDONIO, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4676/10/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 25/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO

FRANCESCO ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 25 luglio 2017 la Commissione tributaria regionale del Lazio dichiarava inammissibile l’appello proposto da M.M. avverso la decisione di primo grado che aveva parzialmente accolto il ricorso proposto dalla contribuente contro l’avviso di accertamento con il quale venivano recuperati a tassazione redditi di locazione percepiti e non dichiarati. Riteneva la CTR che la ricorrente, con l’atto di impugnazione, avesse introdotto una modifica della causa petendi proponendo una domanda nuova, inammissibile in appello.

Avverso la suddetta sentenza, con atto del 20 febbraio 2018, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57. Censura la sentenza impugnata per avere la CTR ritenuto che con l’atto di appello la contribuente avesse proposto una domanda nuova, mentre si era limitata a dedurre che la commissione tributaria provinciale aveva omesso di esaminare il motivo del ricorso introduttivo di cui al punto c), con il quale si sosteneva che il pagamento dei canoni di locazione dovesse essere provato dall’Ufficio e non semplicemente presunto.

Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame del Motivo 1 del ricorso in appello, in stretta relazione con il Motivo C) del ricorso di 1 grado”.

I due motivi, congiuntamente esaminabili, sono inammissibili per carenza di autosufficienza, specificità e completezza.

Va ribadito che:

“I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., 1 comma, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (Cass. n. 29093 del 2018)”;

“Per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamente erronea, compiuta dal giudice di merito; il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass. n. 1926 del 2015).

Nel caso di specie, la ricorrente non ha neppure indicato l’oggetto dell’avviso di accertamento, omettendo di riprodurne in ricorso, neanche sinteticamente, il contenuto, limitandosi poi ad indicare, del tutto sommariamente, i motivi del ricorso introduttivo e i motivi di appello, trascrivendo (pag. 4 del ricorso) solo alcune righe dell’atto di impugnazione. I riferimenti al contenuto della sentenza impugnata sono circoscritti al rilievo da parte del giudice di appello della intervenuta modifica della causa petendi e della consequenziale inammissibilità della domanda nuova formulata in appello, oltre alla circostanza che la CTR aveva accennato “al fatto che l’avv. M.M. si fosse difesa sostenendo di non aver incassato “in toto” il reddito tassato, assumendo la distrazione dei ricavi per la ristrutturazione dell’immobile”.

E’ di tutta evidenza che il ricorso, così come formulato, non è conforme ai principi di diritto sopra enunciati, difettando i motivi di impugnazione dedotti del carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione dei passaggi motivazionali della pronuncia gravata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le censure addotte (in termini, Cass. n. 21296 del 2016, in motivazione).

Alla stregua di tali considerazioni, idonee a superare i rilievi difensivi svolti dalla ricorrente anche in memoria, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2019

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