Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22506 del 09/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/09/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 09/09/2019), n.22506

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30156-2018 proposto da:

U.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPINA MARCIANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1767/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA

MELONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 6/4/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale in ordine alle istanze avanzate da U.E. nato in NIGERIA il (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dalla Nigeria aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di (OMISSIS) di essere fuggito dal proprio paese in quanto riceveva pressioni da alcuni uomini omosessuali che volevano convincerlo contro la sua volontà ad avere relazioni con loro. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione il ricorrente affidato a due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. C, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il giudice ha escluso i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria negando l’esistenza di una grave minaccia correlata alla situazione di violenza nel paese di origine.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, in quanto il Tribunale di Milano, nonostante la situazione di vulnerabilità e le violenze subite dal ricorrente non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria. Il ricorso è privo di fondamento.

I motivi di merito proposti contengono una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento. La censura si risolve quindi in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).

La Corte infatti ha ritenuto che le vicende riferite dal ricorrente non siano credibili, sia pure nell’ambito dell’onere probatorio cd. attenuato in quanto il racconto reso era generico, contraddittorio, lacunoso e privo di qualsiasi riscontro e pertanto, stante la non credibilità della narrazione della vicenda personale resa dal ricorrente, doveva escludersi l’esistenza di una situazione di pericolo legata alla situazione individuale dell’istante.

A fronte di tali accertamenti, inammissibile si mostra la censura, espressa in ricorso, circa la mancata attivazione nella specie dei poteri ufficiosi di indagine, tenendo presente: a) che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c): tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. tra molte: Cass. n. 340/19); b) che qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett.a) e b), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. tra molte: Cass. n. 16925/18; n. 28862/18), ipotesi che nella specie non ricorre; c) che, quanto alla sussistenza nella zona di provenienza del ricorrente di una fattispecie sussumibile nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la Corte ha adempiuto al proprio dovere di cooperazione istruttoria così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine facendo riferimento alle notizie risultanti da vari siti internet da cui ha evinto che non vi sono situazioni critiche di sicurezza e di ordine pubblico nel di provenienza del ricorrente nè un conflitto di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona.

Il motivo in ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria si rileva inammissibile in quanto censura senza peraltro alcun riferimento alla situazione individuale l’accertamento di merito compiuto dalla Corte in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente. Del tutto generica, comunque si mostra la doglianza avverso il diniego di protezione umanitaria: il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dalla Corte di merito (in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

Per quanto sopra il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla spese. Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione della Corte di Cassazione, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2019

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