Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22501 del 24/09/2018

Cassazione civile sez. II, 24/09/2018, (ud. 16/03/2018, dep. 24/09/2018), n.22501

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8541/2014 R.G. proposto da:

M.G., T.M., rappresentati e difesi, in forza

di procura in calce al ricorso, dall’avv. Angelo Manzi, con

domicilio eletto in Gessopalena (CH), Vico Calvario 4, presso lo

studio del difensore;

– ricorrenti –

contro

B.A., B.R., BO.Ro., rappresentate e difese in

forza di procura speciale in calce al controricorso, dall’avv.

Tiziano Ferrante, con domicilio eletto in Chieti, via Paradiso 67,

presso lo studio del difensore;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della corte d’Appello dell’Aquila n. 820

depositata il 4 settembre 2013, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16 marzo 2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

I coniugi M.G. e T.M.R., proprietari di un terreno in (OMISSIS), chiamavano in giudizio davanti al Tribunale di Lanciano, Sezione distaccata di Atessa, B.C. e M.L., proprietari di un fabbricato confinante, costruito sull’area di risulta di un preesistente fabbricato demolito.

Gli attori lamentavano, per quanto ancora interessa in questa sede, l’apertura nell’edificio ricostruito di quattordici vedute a distanza inferiore a quella prescritte dal codice civile e dal regolamento locale.

La domanda era parzialmente accolta dal tribunale, che ordinava ai convenuti di ridurre il numero delle vedute nei limiti di quelle che già esistevano sul fabbricato oggetto della demolizione e ricostruzione operata dai convenuti.

La Corte d’Appello dell’Aquila riformava la sentenza.

Secondo la corte di merito decisione del tribunale violava l’art. 112 c.p.c..

I convenuti, costituendosi, avevano eccepito che le vedute già erano presenti sul fabbricato demolito, derivandone da ciò, nel concorso dei requisiti di apparenza delle opere e del possesso ultraventennale, l’acquisto per usucapione della corrispondente servitù.

Pur in presenza dell’eccezione di usucapione gli attori non avevano modificato la originaria domanda di negatoria servitutis.

Di contro la statuizione di primo grado, nel disporre la riduzione del numero delle vedute nei limiti di quelle che già esistevano, aveva deciso come se fosse stata proposta una domanda di aggravamento di servitù, che invece era stata prospettata dagli attori tardivamente, non nel termine dell’art. 183 c.p.c., ma con la memoria istruttoria ed in comparsa conclusionale.

Per la cassazione della sentenza M.G. e T.M.R. hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi.

B.A., B.R. e Bo.Ro., nella qualità di eredi delle parti originarie, hanno resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

I ricorrenti sostengono che la domanda originariamente proposta, in quanto giustificata dalla violazione delle norme sulle distanze, comprendeva sia la negazione della servitù di veduta, sia l’aggravamento della servitù preesistente.

Si argomenta in proposito che le vedute aperte in aggiunta a quelle che già esistevano prima della demolizione, oggetto della statuizione del giudice di primo grado, erano sempre poste a distanza non regolamentare.

Pertanto, il vizio di ultra petizione ravvisato dalla corte d’appello non sussisteva.

Il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

La corte d’appello ha omesso di considerare che, una volta proposta dai convenuti l’eccezione di usucapione della servitù, il dibattito processuale e l’istruzione si erano svolti nella prospettiva dell’aggravamento di servitù, con pieno rispetto del contraddittorio fra le parti.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 99 c.p.c..

Costituisce oggetto di censura l’interpretazione della originaria domanda quale negatoria servitutis piuttosto che quale domanda diretta a ottenere il riconoscimento dell’aggravio della servitù.

Il primo motivo è infondato.

L’apertura di finestre e balconi in aggiunta a quelli preesistenti costituisce aggravamento di servitù (Cass. n. 2404/1974; conf. n. 1872/1969).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte in ipotesi di alterazioni dei luoghi compiute dal titolare di una servitù prediale, la tutela del proprietario del fondo servente non si esercita mediante l’actio negatoria servitutis, ma facendo ricorso ai rimedi di cui agli artt. 1063 o 1067 c.c., o sussistendone le condizioni, ai rimedi di natura possessoria (Cass. n. 19182/2003).

“L’azione negatoria servitutis tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sul bene e, quindi, non al mero accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù ma al conseguimento della cessazione della dedotta situazione antigiuridica, al fine di ottenere la libertà del fondo, mentre la domanda di riduzione in pristino per aggravamento di servitù esistente prospetta un’alterazione dei luoghi compiuta dal titolare di una servitù prediale, trovando fondamento nei rimedi di cui agli artt. 1063 e 1067 c.c.” (Cass. n. 203/2017).

Le due domande sono diverse per petitum e causa petendi (Cass. n. 2396/1986).

La decisione della corte di merito è in linea con tali principi.

Il secondo motivo è infondato.

Invero sotto lo schermo dell’omesso esame di un fatto i ricorrenti imputano alla corte di merito di non avere considerato che, pure in mancanza di formale modificazione della domanda, il contraddittorio si era svolto regolarmente.

Ma è facile replicare che “in seguito all’entrata in vigore della L. n. 353 del 1990, il giudice può rilevare d’ufficio la tardiva proposizione di una domanda nuova, dovendosi escludere, alla luce del regime delle preclusioni introdotto dalla citata legge, che alla mancata opposizione della controparte consegua la tacita accettazione del contraddittorio in ordine a tale domanda (Cass. n. 13769/2917).

E’ ugualmente infondato il terzo motivo.

I ricorrenti declinano i principi di giurisprudenza che governano l’interpretazione della domanda in linea astratta e formale: essi non deducono come e perchè, nella fattispecie concreta, quei principi non sono stati applicati o sono stati applicati in modo scorretto dalla corte d’appello.

Si ricorda che l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito (Cass. n. 7932/2012).

In verità, sotto diversa e impropria veste, si continua a riproporre la tesi che il fatto costitutivo e il petitum della originaria domanda comprendevano sia la negazione della servitù che l’aggravio.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.300,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge;

dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2018

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