Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22498 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/10/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 16/10/2020), n.22498

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4315-2016 proposto da:

B. SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI

146, presso lo studio dell’avvocato EZIO SPAZIANI TESTA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURILIO RAIMONDI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE REGIONALE LOMBARDIA UFFICIO

CONTENZIOSO, in persona del Direttore pro tempore, AGENZIA DELLE

ENTRATE SEDE CENTRALE (OMISSIS) in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende;

– resistenti con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 3253/2015 della COMM. TRIB. REG. della

Lombardia, depositata il 14/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/01/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

La B. s.p.a. ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 3253/05/2015, depositata il 14.07.2015 dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che, confermando la decisione del giudice di primo grado, aveva rigettato il ricorso della società avverso l’avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle entrate aveva ripreso a tassazione ai fini Ires – per anno d’imposta 2006 – la plusvalenza realizzata e non dichiarata dalla cessione di un ramo d’azienda.

La ricorrente, consolidante della TRE.BI. s.p.a., ha riferito che a seguito della cessione a terzi di ramo d’azienda da parte della consolidata, l’Agenzia delle entrate aveva rettificato la plusvalenza dichiarata dalla cedente, oggetto di dichiarazione nel Mod. CNM 2007 presentato dalla consolidante e relativo al periodo d’imposta 2006.

La rettifica trovava fondamento, secondo la prospettazione dell’Ufficio, nella nell’accertamento con adesione, cui la cessionaria era pervenuta con l’Amministrazione finanziaria ai fini dell’imposta di registro.

Pertanto, ai fini della determinazione della plusvalenza conseguita dalla cedente, l’Agenzia aveva rettificato il corrispettivo di cessione del ramo d’azienda al medesimo valore definito con il cessionario per l’imposta di registro.

Era seguito il contenzioso, esitato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano con il rigetto del ricorso della società (sentenza n. 4168/24/2014). La Commissione tributaria regionale, con la sentenza ora impugnata, ha confermato la decisione del giudice di primo grado. Il giudice regionale ha ritenuto che la diversa determinazione del valore del bene ceduto ai fini dell’imposta di registro spiega effetti sulla determinazione della plusvalenza ai fini delle imposte dirette.

La società ha censurato la sentenza dolendosi della violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 58, 68, 85 e 86, nonchè del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, art. 5, comma 3, per l’erronea applicazione della disciplina in materia, avendo ritenuto incidente sulla determinazione della plusvalenza conseguita dalla cessione di un ramo d’azienda il valore accertato o dichiarato ai fini della liquidazione dell’imposta di registro sulla medesima operazione, senza tener conto della diversità di calcolo e della diversa natura delle due imposte.

Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza, con ogni conseguente determinazione.

L’Agenzia si è costituita al solo fine della partecipazione all’udienza di discussione. Comunicata l’adunanza camerale, la ricorrente ha depositato tempestivamente memoria ai sensi dell’art. 380 bis-1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Il motivo di ricorso è fondato e trova accoglimento.

La società sostiene che il giudice regionale erroneamente ha ritenuto che la plusvalenza conseguita dalla cessione del ramo d’azienda potesse essere accertata sulla base della mera trasposizione dei valori definiti ai fini dell’imposta di registro. Ha rappresentato la propria estraneità al procedimento di determinazione del valore del bene per l’imposta di registro, e ha sostenuto che l’intenzione del cessionario di definire con l’Ufficio il rapporto giuridico d’imposta non poteva riflettersi sulla determinazione del corrispettivo dell’operazione ai fini dell’accertamento della plusvalenza. Ha evidenziato che una diversa interpretazione sarebbe in contrasto con quanto ormai previsto del D.Lgs. 22 settembre 2015, n. 147, art. 5, comma 3.

Le argomentazioni della ricorrente ripercorrono l’orientamento interpretativo della disciplina, secondo quanto dispone il D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, in forza del quale “Il testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 58, 68, 85 e 8, e il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5,5 bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347.”.

A seguito dell’intervento legislativo, la cui norma costituisce interpretazione autentica della previgente disciplina con efficacia dunque retroattiva, questa Corte ha affermato che ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi l’art. 5 cit., esclude che l’Amministrazione possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (cfr. Cass., nn. 9513 del 2018; 19227 del 2017; 12265 del 2017; 6135 del 2016; 11543 del 2016).

E’ necessario invece che l’Ufficio individui ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, che a sua volta, ove voglia contestare le determinazioni dell’Amministrazione finanziaria, è gravato della prova contraria (Cass., n. 12131 del 2019).

L’interpretazione autentica della disciplina, laddove è previsto che il maggior corrispettivo ai fini dell’imposta di registro sia stato “dichiarato, accertato o definito”, va intesa nel senso della irrilevanza della sua determinazione non solo in sede di accertamento, ma anche in occasione di qualunque modalità di definizione.

Ebbene, la motivazione della sentenza del giudice regionale non ha tenuto conto della diversa natura delle due imposte e del diverso meccanismo di determinazione del valore del bene ceduto, senza che possa sovrapporsi il valore determinato ai fini della determinazione dell’imposta di registro con la valutazione del corrispettivo ai fini dell’accertamento della plusvalenza, diversità poi definitivamente riconosciuta dal D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, norma di interpretazione autentica.

La sentenza va pertanto cassata e il processo va rinviato alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità, deciderà il merito tenendo conto del principio di diritto somministrato.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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