Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22497 del 24/09/2018
Cassazione civile sez. II, 24/09/2018, (ud. 15/03/2018, dep. 24/09/2018), n.22497
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25015 R.G. proposto da:
M.E., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale
in calce al ricorso, dall’avv. Gregorio Stanizzi e dall’avv.
Alessandro Avagliano, con domicilio eletto in Roma, via Antonio
Nibby 7, presso lo studio dell’avv. Alessandro Avagliano;
– ricorrente –
contro
ROMA CAPITALE, in persona del sindaco pro tempore, rappresentata e
difesa, in forza di procura speciale in calce al controricorso,
dagli avv. Domenico Rossi e Antonio Ciavarella, elettivamente
domiciliata presso gli uffici dell’Avvocatura Capitolina di Roma,
via del Tempio di Giove 21;
– controricorrente –
avverso la sentenza Giudice di Pace di Roma n. 47722 depositata il 15
gennaio 2015, non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
15 marzo 2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
M.E. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza del giudice di pace di Roma, che ha rigettato il ricorso proposto contro verbale di accertamento di violazione del codice della strada.
Il Comune di Roma Capitale ha resistito con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Come correttamente eccepito da Roma Capitale, il ricorso è stato proposto avverso un provvedimento appellabile e non direttamente ricorribile in Cassazione.
Occorre infatti rilevare che, per effetto delle modificazioni apportate dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 26, alla L. n. 689 del 1981, art. 23, avverso le sentenze pubblicate dopo il 2 marzo 2006 nei procedimenti iniziati ai sensi della citata disposizione, il rimedio proponibile è l’appello (Cass, S.U., 27339/2008; n. 16868/2017; n. 19050/2017).
Occorre altresì chiarire che il presente procedimento è iniziato dinnanzi al Giudice di pace di Roma dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, che ha abrogato il citato art. 23 e ha disposto, all’art. 6, comma 1, che “le controversie previste dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22 (opposizione ad ordinanza- ingiunzione), sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo”.
E’ vero che il D.Lgs. n. 150 del 2011, non contiene una specifica disposizione nel senso dell’appellabilità delle sentenze emesse nei giudizi di opposizione a ordinanza-ingiunzione, e tuttavia, per effetto della previsione dell’applicabilità, alle suddette controversie, del rito del lavoro, non è dubitabile che le sentenze di primo grado siano tuttora appellabili e non ricorribili per cassazione.
L’art. 2 del medesimo decreto legislativo, infatti, dispone, al primo comma, che “nelle controversie disciplinate dal Capo 2^ (rubricato Delle controversie regolate dal rito del lavoro), non si applicano, salvo che siano espressamente richiamati, l’art. 413 c.p.c., art. 415 c.p.c., comma 7, artt. 417,417-bis, 420-bis c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 3, artt. 425,426,427 c.p.c., art. 429 c.p.c., comma 3, art. 431 c.p.c., dal comma 1 al comma 4 e comma 6, art. 433 c.p.c., art. 438 c.p.c., comma 2 e art. 439 c.p.c.”; il che comporta che alle medesime controversie siano invece applicabili le disposizioni del codice di rito concernenti la disciplina dell’appello, ad eccezione di quelle di cui all’art. 433 c.p.c., concernente la individuazione del “giudice d’appello”, all’art. 438 c.p.c., comma 2, contenente il rinvio all’art. 431 c.p.c., in tema di esecutorietà della sentenza, e all’art. 439 c.p.c., concernente il cambiamento del rito in appello (Cass. n. 10369/2014; n. 20984/2013).
In conclusione, il rimedio proponibile avverso la sentenza qui impugnata era l’appello e non il ricorso per cassazione.
Dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 500,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge;
dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2018