Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22496 del 24/09/2018

Cassazione civile sez. II, 24/09/2018, (ud. 13/03/2018, dep. 24/09/2018), n.22496

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 9169/2013 R.G. proposto da:

P.P., c.f. (OMISSIS), rappresentato e difeso giusta

procura speciale a margine del ricorso dall’avvocato professor

Massimo Rubino De Ritis ed elettivamente domiciliato in Roma, alla

piazza Cavour, n. 17, presso lo studio dell’avvocato Ferdinando

Barucco.

– ricorrente –

contro

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, domicilia;

– controricorrente –

e

MINISTERO della GIUSTIZIA, c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro

pro tempore, e PRESIDENZA del CONSIGLIO DEI MINISTRI, rappresentate

e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici

in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12, domiciliano;

– controricorrente –

e

S.d.C.B.;

– intimato –

avverso l’ordinanza del tribunale di Napoli n. 15584/2012;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 13

marzo 2018 dal Consigliere Dott. Luigi Abete;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del

ricorso,

udito l’avvocato professor P.P., per delega dell’avvocato

professor Massimo Rubino De Ritis.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 84 e 170 e art. 702 bis c.p.c., in data 13.5.2011 l’avvocato professor P.P. conveniva dinanzi al tribunale di Napoli il Ministero della Giustizia, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e S.d.C.B..

Esponeva che in favore del curatore del fallimento di L.L.A., del curatore del fallimento della società apparente tra L.L.A. e C.S. e del curatore del fallimento di C.S. aveva esperito azione ex art. 2901 c.c. e L. Fall., art. 66, con contestuale richiesta di sequestro conservativo.

Esponeva che i fallimenti a vantaggio dei quali aveva svolto attività professionale erano privi di fondi, sicchè operava l’anticipazione a carico dell’erario.

Esponeva che i giudizi nei quali aveva patrocinato, erano stati definiti dal tribunale di Napoli con sentenza n. 10660/2011, con cui erano state accolte per quanto di ragione le domande dei curatori fallimentari ed era stata condannata la parte soccombente a pagare allo Stato le spese del processo, liquidate in Euro 4.000,00 per diritti ed onorari, oltre rimborso forfetario ed accessori di legge.

Esponeva che con istanza D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 82, aveva richiesto la liquidazione delle sue spettanze e con decreto in data 8.5.2012 il tribunale di Napoli aveva liquidato in suo favore il medesimo importo liquidato a carico della parte soccombente con la sentenza n. 10660/2011.

Chiedeva, in riforma del decreto dell’8.5.2012, accertarsi e dichiararsi che il compenso a lui spettante era pari ad Euro 97.932,85 ovvero al diverso, maggiore o minore ammontare, ritenuto di giustizia; chiedeva condannarsi i convenuti in solido ovvero ciascuno per quanto di ragione al pagamento delle somme anzidette, oltre interessi e rivalutazione monetaria; il tutto con il favore delle spese del giudizio.

Resisteva l’Avvocatura dello Stato, per conto del Ministero della Giustizia e della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Non si costituiva S.d.C.B..

Con ordinanza n. 15584/2012 il tribunale di Napoli – disconosciuta la legittimazione a resistere della Presidenza del Consiglio dei Ministri e di S.d.C.B. – accoglieva parzialmente il ricorso e, per l’effetto, condannava il Ministero della Giustizia a pagare all’avvocato professor P.P. la complessiva somma di Euro 14.508,50 per diritti ed onorari, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; condannava il Ministero a rimborsare al ricorrente le spese di lite.

Evidenziava il tribunale che con la sentenza n. 10660/2011 S.d.C.B. era stato condannato a pagare Euro 450.000,00 al curatore del fallimento di L.L.A. ed Euro 450.000,00 al curatore del fallimento di C.S.; che quindi, da un canto, occorreva considerare separatamente le domande formulate dai due distinti fallimenti, dall’altro, il decisum e nei confronti dell’uno e nei confronti dell’altro fallimento integrava il valore effettivo delle due liti.

Evidenziava per altro verso con riferimento al procedimento relativo al reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., proposto da S.d.C.B. avverso l’ordinanza di sequestro conservativo del 21.6.2007 che agli atti non vi era alcuna prova della attività difensiva svolta dal ricorrente, sicchè si giustificava la liquidazione dei diritti solo e limitatamente alle voci “posizione ed archivio”, “disamina” e “formazione fascicolo”; al contempo che si giustificava la liquidazione degli onorari nella misura minima solo per lo “studio della controversia”.

Evidenziava inoltre che l’avvocato P.P. aveva difeso più parti, l’attore e l’interventore, nello stesso processo, sicchè il quantum degli onorari dovuti per il giudizio a cognizione piena ben poteva essere aumentato, ai sensi del D.M. n. 127 del 2004, art. 5, comma 4, nella misura del 20%.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso l’avvocato professor P.P.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.

L’Agenzia delle Entrate, il Ministero della Giustizia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri si sono costituiti ai soli fini della partecipazione all’eventuale discussione orale.

S.d.C.B. non ha svolto difese.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 c.p.c..

Deduce che il valore della controversia definita dal tribunale di Napoli con la sentenza n. 10660/2011, contrariamente a quanto affermato dal tribunale, è da determinare non già ai sensi del D.M. n. 127 del 2004, art. 6, comma 2, ma ai sensi dell’art. 10 c.p.c., alla stregua del valore della domanda ovvero alla stregua del disputatum, pari ad Euro 900.000,00, e non già del decisum.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione al calcolo per la liquidazione degli onorari del giudizio.

Deduce che il tribunale di Napoli non ha considerato che nel giudizio definito con la sentenza n. 10660/2011 ha rappresentato e difeso due parti processuali diverse, titolari di posizioni processuali dissimili, ovvero il curatore del fallimento di L.L.A. ed il curatore del fallimento della società apparente tra L.L.A. e C.S.; che dunque ha diritto alla liquidazione di due autonome e distinte parcelle.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti con riferimento alla mancata liquidazione di due autonome parcelle per l’attività svolta.

Deduce che il tribunale per nulla ha motivato la decisione di liquidare in suo favore – difensore di parti processuali diverse, titolari di posizioni processuali differenti – un’unica parcella seppur con la maggiorazione del 20%.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti con riferimento all’esclusione della liquidazione per l’attività svolta nel procedimento di reclamo.

Deduce che il tribunale ha omesso di pronunciarsi in ordine alla richiesta di liquidazione del compenso per la difesa del curatore del fallimento di L.L.A. nell’ambito del procedimento scaturito dal reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., proposto da S.d.C.B.; che contrariamente all’assunto del tribunale ha prodotto agli atti copia della comparsa con cui si è costituito, per il fallimento, nell’ambito del suddetto procedimento.

I motivi di ricorso sono strettamente connessi.

Il che ne giustifica la disamina contestuale.

Tutti i motivi comunque sono destituiti di fondamento.

Va, in primo luogo, rimarcato che il ricorrente si è dapprima costituito in rappresentanza e difesa del curatore del fallimento di L.L.A. (cfr. ricorso, pag. 4, punto 12) della premessa in fatto), indi si è costituito, spiegando intervento nel giudizio già instaurato, in rappresentanza e difesa del curatore del fallimento della società apparente (tra) ” L.L.A. e C.S.” ed in rappresentanza e difesa del curatore del fallimento di C.S. (cfr. ricorso, pag. 5, punto 17) della premessa in fatto).

A rigore quindi le parti rappresentante ed assistite dal ricorrente sono state tre e non due.

Va nondimeno, in secondo luogo, rimarcato che in rapporto alla revocatoria ex art. 2901 c.c. e L. Fall., art. 66, il curatore del fallimento della società apparente (tra) ” L.L.A. e C.S.”, ancorchè costituitosi in giudizio, era del tutto indifferente, se non estraneo: il fabbricato in (OMISSIS), in virtù dell’atto di divisione per notar D. del 25.9.2003, era di proprietà di L.L.A. e C.S. (cfr. ricorso, pag. 2, punto 1) della premessa in fatto) ed è da escludere recisamente che lo stesso immobile, quanto meno a motivo dell’apparenza della società, fosse stato conferito nella società apparente.

Va, in terzo luogo, rimarcato – con precipuo riferimento al secondo motivo – che è da disconoscere senza dubbio che il curatore del fallimento di L.L.A. ed il curatore del fallimento di C.S. avessero posizioni differenti.

E’ sufficiente al riguardo porre in risalto che il summenzionato fabbricato, in forza dell’atto di divisione del 25.9.2003, era pervenuto in parti uguali, recte per quote uguali, ad L.L.A. e a C.S., i quali con il contestuale atto di vendita, del pari per notar D., avevano provveduto ad alienare le paritetiche quote a S.d.C.B.: i presupposti ed i requisiti alla cui allegazione ed al cui riscontro era subordinato il buon esito dell’azione revocatoria ordinaria “calata” in sede fallimentare, si connotavano nella concreta fattispecie de qua agitur, e per l’uno e per l’altro fallimento, negli stessi identici termini.

Va, in quarto luogo, rimarcato – con precipuo riferimento al terzo motivo – pur ad ammettere che il giudice abbia l’obbligo di motivare allorchè opini per la identità della posizione delle parti rappresentate e di conseguenza attenda alla liquidazione di un’unica parcella seppur con la maggiorazione del 20%, che l’identità della posizione del curatore del fallimento di L.L.A. e del curatore del fallimento di C.S. era evidente di per sè, era in re ipsa (si tenga conto che l’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte è nel senso che, allorquando è fuor di contestazione che la rappresentanza e l’assistenza abbiano riguardato più parti aventi la medesima posizione processuale, il giudice è tenuto a motivare propriamente in ordine alle ragioni alla cui stregua ritenga di riconoscere ovvero di disconoscere la maggiorazione del 20% dell’unica parcella: cfr. Cass. 8.7.2010, n. 16153).

Tanto ben vero a prescindere dal rilievo per cui il tribunale partenopeo ha dato atto, con l’impugnato dictum, che “le difese spiegate dall’istante a nome dei due diversi Fallimenti sono state pressochè similari” (così ordinanza impugnata, pag. 5).

Va, in quinto luogo, rimarcato – con precipuo riferimento al primo motivo – che questa Corte spiega che, ai fini della liquidazione degli onorari dovuti all’avvocato per la difesa del proprio cliente, rapporto al quale “può essere equiparato quello oggetto di lite” (così condivisibilmente l’ordinanza impugnata, pag. 4), l’individuazione dello scaglione applicabile deve avvenire in base al criterio dell’effettivo valore della controversia, desumibile dal “decisum” (cfr. Cass. 5.1.2011, n. 226; Cass. 19.2.2010, n. 3996, secondo cui, ai fini della liquidazione degli onorari al difensore per la prestazione professionale svolta in favore del cliente, l’individuazione dello scaglione applicabile deve avvenire in ragione del valore della controversia, il quale, a sua volta, va determinato in base al “decisum” piuttosto che al “deductum”).

Si tenga conto nel caso di specie che, nonostante il riferimento nel dispositivo della sentenza n. 10660/2011 del tribunale di Napoli all’ammontare di Euro 900.00,00, il valore del “decisum” è stato pari per il curatore del fallimento di L.L.A. ad Euro 450.000,00 e per il curatore del fallimento di C.S. analogamente ad Euro 450.000,00: il consulente tecnico aveva determinato in poco più di Euro 900.000,00 (cfr. ricorso, pag. 8, punto 25) della premessa in fatto) il valore della quota intera (1/1) dell’immobile oggetto della revocatoria, sicchè il valore per il quale era stata sollecitata la declaratoria di inefficacia nei confronti del curatore del fallimento di L.L.A. era pari alla giusta metà, ossia ad Euro 450.000,00, ed il valore per il quale era stata sollecitata la declaratoria di inefficacia nei confronti del curatore del fallimento di C.S. era simmetricamente pari ad Euro 450.000,00.

Risultano perciò, per un verso, appieno da condividere i rilievi, in parte qua, del tribunale, ovvero che lo scaglione da applicare per la determinazione dei diritti e degli onorari spettanti sia con riferimento al giudizio a cognizione piena sia con riferimento ai procedimenti cautelari era quello compreso tra Euro 258.300,01 ed Euro 516.500,00, viepiù giacchè ambedue le ordinanze cautelari erano state pronunciate “fino alla concorrenza della somma di Euro 450.000,00” (così ordinanza impugnata, pag. 5).

Risulta perciò, per altro verso, ingiustificata la prospettazione del ricorrente (cfr. ricorso, pag. 15), secondo cui lo scaglione di riferimento è quello – indicato nella nota spese depositata – compreso tra Euro 516.500,01 ed Euro 1.549.400,00.

Al contempo non vi è motivo alcuno perchè si ritenga (nel segno della previsione del D.M. n. 127 del 2004, art. 6, comma 2) che il valore effettivo della controversia fosse manifestamente diverso, recte superiore a quello determinato alla stregua del “decisum”: il tribunale napoletano ha avuto cura di specificare che “le controversie trattate dall’istante non hanno investito problemi di particolare difficoltà (…), l’acclaramento del consilium fraudis e dell’eventus damni non furono particolarmente problematici” (così ordinanza impugnata, pag. 5).

Va, infine, rimarcato – con precipuo riferimento al quarto motivo – che i denunciati vizi per nulla si configurano.

Non si configura il vizio di omessa pronuncia – prospettato nella parte espositiva del quarto mezzo di impugnazione – giacchè, siccome si è premesso, il tribunale si è pronunciato in ordine alle spettanze invocate in relazione al procedimento di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c..

Non si configura il vizio di omesso esame – prospettato nella rubrica del quarto mezzo di impugnazione – giacchè, siccome si è premesso, il tribunale per nulla ha obliterato la disamina del “fatto” controverso e decisivo, ovvero la spettanza delle competenze relative al procedimento di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c..

D’altra parte a nulla vale addurre che era stata prodotta agli atti copia della comparsa con cui il ricorrente aveva provveduto a costituirsi, per il fallimento, nel procedimento di reclamo.

Questa Corte invero spiega che il mancato esame di documenti che il giudice motivi con l’affermazione che non risultino inclusi tra gli atti del processo, non può che essere prospettato come errore di fatto nel quale il giudice sarebbe incorso per una mera svista materiale, errore rispetto al quale l’unico rimedio esperibile è quello della revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. 18.3.2004, n. 5475; Cass. 18.1.2005, n. 903).

S.d.C.B. non ha svolto difese.

Altrettanto sostanzialmente è da dirsi nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, del Ministero della Giustizia e della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Nessuna statuizione pertanto va assunta in ordine alle spese del presente giudizio.

Si dà atto che il ricorso è datato 19.3.2013.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, P.P., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, cit..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2018

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