Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22491 del 27/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/10/2011, (ud. 14/06/2011, dep. 27/10/2011), n.22491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.M.A., elettivamente domiciliata in Roma, Viale

Carso n, 23, presso lo studio dell’Avv. DAMIZIA Maria Rosaria, che lo

rappresenta e difende come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via

della Frezza 17 presso l’Avvocatura Centrale dello stesso Istituto,

rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Lanzetta

Elisabetta e Massimiliano Morelli per procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma n.

4917/2008 del 12.06.2008/2.07.2009 nella causa iscritta al n. 6332

R.G. dell’anno 2005;

Udita la relazione svolta in Camera di Consiglio dal Consigliere

Dott. Alessandro De Renzis in data 14.06.2011;

Udito l’Avv. Maria Rosaria Damizia per il ricorrente e l’Avv. Mauro

Ricci per il controricorrente;

vista fa relazione ex art. 380 bis c.p.c. in data 18.04.2011 del

Cons. Dott. Alessandro De Renzis;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. FINOCCHI

GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo

con riguardo al trattamento integrativo.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1. La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 4917 del 2008, in accoglimento dell’appello principale dell’INPS e in parziale riforma la decisione di primo grado del Tribunale di Latina, ha rigettato la domanda proposta da D.M.A., dipendente dell’INPS, diretta ad ottenere l’accertamento e la dichiarazione di illegittimità della determinazione della retribuzione annua utile ai fini dei calcolo del trattamento di previdenza e di quiescenza, comprendendo nella stessa retribuzione tutte le voci di cui all’art. 5 del regolamento del Fondo integrativo, all’art. 28 del CCCNL 1998/2001, all’art. 19 del contratto collettivo nazionale integrativo 1998/2001 ed in particolare del salario di professionalità ed ogni altra indennità avente carattere fisso e continuativo.

La Corte territoriale ha anche rigettato l’appello incidentale, proposto dall’appellata D., ritenendo legittima la trattenuta del contributo di solidarietà 2% di cui alla L. n. 144 del 1999, art. 64, comma 5. Ricorre la D. con tre motivi, cui resiste l’INPS. 2.1-Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione degli artt. 112, 334, 434 e 342 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, sostenendo che l’INPS aveva appellato la sentenza di primo grado solo in punto di determinazione della buonuscita, di modo che la statuizione relativa al trattamento di previdenza integrativa era da ritenersi passata in giudicato e non passibile di riesame da parte del giudice di appello.

2.2.- Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata, deducendo l’erroneità delle conclusioni, cui era giunta, con riferimento alle voci stipendiali da calcolare ai fini della determinazione dell’indennità di buonuscita, al pari di quanto avviene per la determinazione del trattamento integrativo di previdenza. Tutto ciò in relazione all’art. 19, comma 2 del contratto collettivo integrativo INPS 1998/2001, che prevede nell’ambito dell’unica quota – denominata assegno di garanzia della retribuzione – il salario di professionalità e l’indennità di funzione. Trattasi di componenti retributive correlate alla professionalità del lavoratore, non rilevando la non definitività dell’attribuzione patrimoniale (in questo senso quesito pag. 16 ricorso).

2-3. Con il terzo motivo la ricorrente contesta la sentenza impugnata, in relazione alla L. n. 144 del 1999, art. 64, comma 5 e dell’art. 22 del regolamento per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale a rapporto di impiego dell’INPS, per avere ritenuto dovuto il contributo di solidarietà del 2% da detrarsi dalla retribuzione in godimento e da calcolarsi sulla pensione integrativa del personale, come quello in questione, non ancora cessato dal servizio.

3. Il primo e il secondo motivo sono inammissibili per la parte con la quale si censura la sentenza impugnata per la statuizione adottata a proposito del computo della pensione integrativa. La D. al momento della proposizione della domanda era, infatti, ancora alle dipendenze dell’INPS e non vantava un interesse attuale alla determinazione delle modalità di calcolo della anzidetta pensione integrativa, e ciò in forza del principio generale secondo cui le prestazioni pensionistiche vengono liquidate in base alla disciplina normativa vigente al momento della liquidazione stessa, salva l’esistenza di espresse disposizioni in senso contrario.

4. Gli anzidetti motivi sono infondati per la parte in viene censurata la statuizione sul punto del trattamento di fine rapporto.

Al riguardo va osservato che le Sezioni Unite di questa Corte (in particolare S.U. sentenza n. 7154 del 25 marzo 2010 ed altre coeve), esclusa l’assimilazione del regime di computo della pensione integrativa e di quello del trattamento di quiescenza o di fine rapporto sostenuto dal ricorrente, hanno affermato che per determinare la base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti pubblici del c.d. parastato, la L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 13 di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 cod. civ.), non derogabile neppure in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un’indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all’autonomia regolamentare dei singoli enti solo l’eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio.

Il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo assume valenza tecnico – giuridica, sicchè deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari (nella specie, l’indennità di funzione L. n. 88 del 1989, ex art. 5, comma 2 il salario di professionalità o assegno di garanzia e le indennità particolari per compiti di vigilanza per i dipendenti INPS) e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti come quello dell’INPS, che prevedono, ai fini dei trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo.

5. Anche il terzo motivo è infondato, essendo intervenuta sul punto disposizione normativa (segnatamente D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 18, comma 19 convertito nella L. n. 111 del 2011), che, superando il contrario indirizzo di questa Corte (cfr Cass. n. 13454 del 3 giugno 2010; Cass. n. 18074 del 12 maggio 2009), ha precisato che la L. n. 144 del 1999, art. 64, comma 5 si interpreta nel senso che il contributo di solidarietà sulle “prestazioni integrative” dell’assicurazione generale obbligatoria è dovuto sia dagli ex- dipendenti già collocati a riposo sia dai lavoratori ancora in servizio.

6. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato Ricorrono giustificate ragioni per compensare le spese del giudizio di cassazione in quanto i definitivi orientamenti della Corte di cassazione sono intervenuti soltanto dopo la proposizione del ricorso e, per quanto riguarda il terzo motivo, la legge di interpretazione autentica testimonia dell’incertezza Interpretativa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2011 e il 14 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2011

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