Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22490 del 09/09/2019

Cassazione civile sez. lav., 09/09/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 09/09/2019), n.22490

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4728-2017 proposto da:

L.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 71,

presso lo studio dell’avvocato WALTER FELICIANI, rappresentato e

difeso dall’avvocato RICCARDO LEONARDI;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA CLAUDIO MONTEVERDI 16, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

CONSOLO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 171/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 18/02/2016 R.G.N. 881/2014.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che con sentenza n. 171/2016, pubblicata il 18 febbraio 2016, la Corte di appello di L’Aquila, decidendo in sede di rinvio ex artt. 392 ss. c.p.c., ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Macerata aveva respinto la domanda di L.E. volta ad ottenere, nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana S.p.A., l’accertamento del diritto all’inquadramento nell’Area V – Quadri (profilo di “Capo Tecnico Sovrintendente”), in luogo dell’inquadramento riconosciutogli quale “Capo Tecnico” (Area IV – 7 livello del c.c.n.l. di settore 1990/92), in relazione alle mansioni di responsabile del Tronco Lavori di Tolentino, svolte dapprima in forma saltuaria, dall’1/11/1997 al 10/12/2001, e dall’11/12/2001 in forma continuativa; con la condanna della società datrice di lavoro al riconoscimento della qualifica superiore con decorrenza dal 13/3/2002 e al pagamento delle conseguenti differenze retributive a far data dall’11/12/2001;

– che a sostegno della propria decisione la Corte di appello di L’Aquila ha osservato che il lavoratore non aveva assolto l’onere della prova sullo stesso gravante, nulla risultando dimostrato in giudizio nè in punto di titolarità di posizioni organizzative o funzionali, nè con riguardo all’esercizio di funzioni di rappresentanza e di gestione delle risorse, nè con riferimento al riconoscimento di una “autonomia decisionale” piena e correlata ad una “diretta responsabilità sui risultati”, secondo la declaratoria dell’Area V – Quadri;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore con sei motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito con controricorso Rete Ferroviaria Italiana;

rilevato:

che con il primo motivo di ricorso viene dedotta ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la Corte di appello omesso di pronunciare sull’eccezione di giudicato interno proposta con riferimento alla domanda di pagamento delle differenze retributive per le singole giornate di assegnazione a mansioni superiori nel periodo dall’1 novembre 1997 al 10 dicembre 2001;

– che con il secondo viene dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., per avere la Corte di appello di L’Aquila, pronunciandosi su tale domanda e rigettandola, determinato la formazione di giudicati contrastanti in relazione alla sentenza (poi cassata) della Corte di appello di Ancona, che l’aveva invece accolta e che in tale capo non era stata impugnata da Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. con il ricorso per cassazione;

– che con il terzo viene dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte di appello omesso di esaminare le istanze istruttorie di interrogatorio formale del legale rappresentante della società e di prova per testi sui fatti come capitolati e articolati nel ricorso introduttivo del giudizio, sebbene tali istanze, solo parzialmente accolte dal giudice di primo grado, fossero state reiterate in ogni sede successiva ed anche con la comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di riassunzione;

– che con il quarto viene ancora dedotto il vizio di cui all’art. 360, n. 5, per avere la Corte di appello totalmente omesso di valutare i documenti prodotti dal ricorrente, attestanti lo svolgimento delle mansioni superiori rivendicate, e per avere altresì omesso di tenere nella dovuta considerazione le dichiarazioni rese dai testimoni sentiti nel giudizio di primo grado a controprova sui capitoli formulati dalla società, sebbene esse comprovassero la tesi del ricorrente;

– che con il quinto viene dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2103,2697 e 2729 c.c., per avere la Corte territoriale trascurato di valutare in senso favorevole al lavoratore la presunzione, secondo la quale, essendo il ricorrente l’unico presente sull’impianto, non si sarebbe potuto escludere che egli svolgesse le mansioni proprie della qualifica rivendicata con le correlate autonomia e responsabilità;

– che con il sesto viene infine dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e 2103 c.c., nonchè delle disposizioni dell’Ordine di Servizio n. 14/1987 per omessa applicazione del criterio letterale, avendo la Corte erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio la disposizione del citato Ordine di Servizio, secondo cui il Capo Tecnico Aggiunto al Tronco di Linea sostituisce il Titolare del Tronco nelle funzioni a questo attribuite, in caso di assenza o impedimento, mentre nel caso concreto non vi era un Dirigente del Tronco da sostituire per assenza o impedimento temporanei ma lo svolgimento da parte del ricorrente di una funzione vicaria piena ed effettiva;

osservato;

che il primo e il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili per difetto del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6;

– che, infatti, il lavoratore si è limitato ad estrapolare, dal ricorso per cassazione della società, talune frasi, contenenti richiami alla verifica dell’inquadramento e all’attribuzione della qualifica superiore, senza dare effettiva dimostrazione delle (eventuali) ridotte censure con lo stesso proposte avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona;

– che, in proposito, non rileva la deduzione, con il primo motivo, del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione al quale la Corte di cassazione è anche “giudice del fatto”, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali, posto che, anche nell’ambito del vizio di legittimità concernente l’attività processuale, deve distinguersi la fase di ammissione da quella – cronologicamente successiva – relativa al controllo della fondatezza della censura: ed infatti, se è vero che la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il “potere-dovere” di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale “potere-dovere” è necessario, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi puntualmente gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui chiede il riesame e, quindi, è indispensabile che il corrispondente motivo presenti tutti i requisiti di ammissibilità e contenga, pertanto, tutti gli elementi necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 9559/2017, ove anche ampi riferimenti a precedenti conformi);

– che, d’altra parte, indicazioni nel senso voluto dal ricorrente non sono presenti neppure nella sentenza rescindente (n. 13061/2014), là dove viene riportato il contenuto del motivo – unico ma articolato in distinte critiche di violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di carenza motivazionale – del ricorso di Rete Ferroviaria Italiana (“Lamenta che la decisione della Corte d’Appello si sia basata su congetture del tutto generiche ed arbitrarie e prive di riscontro fattuale, mentre la valutazione avrebbe dovuto consistere nell’accertamento della corrispondenza o meno delle mansioni concretamente svolte con il profilo rivendicato o con quello posseduto. Quanto ai requisiti dell’autonomia e responsabilità, sostiene che la loro sussistenza sarebbe stata affermata in carenza di prova e malgrado le formulate contestazioni”) e, con esso, segnalata un’ampiezza di censure riferibili all’intero compendio delle domande proposte;

– che risultano parimenti inammissibili il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso;

– che, in particolare, si osserva che il terzo motivo non si conforma al consolidato principio, secondo il quale “il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. n. 17915/2010; conforme, fra le più recenti, n. 19985/2017): controllo, sulla decisività dei fatti da provare, tanto più necessario nel caso di specie, posto che – come rilevato nella sentenza impugnata (p. 4, secondo capoverso) – Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. non ha sollevato obiezioni in ordine all’effettivo svolgimento dei compiti analiticamente elencati nel ricorso introduttivo del giudizio, sicchè, ove si tratti di chiarire se in tale svolgimento il L. abbia avuto “autonomia decisionale”, allora non è dubbio che la riproduzione dei capitoli fosse a tale fine indispensabile come indispensabile la specifica discussione circa la loro decisività;

– che il quarto motivo è inammissibile, nel profilo relativo all’omessa valutazione della documentazione prodotta, per le stesse considerazioni già svolte a proposito del terzo; mentre, nelle residue censure, tende chiaramente a sollecitare una rilettura e un diverso apprezzamento del materiale probatorio che è estraneo alle funzioni assegnate a questa Corte di legittimità ed invece proprio del giudice di merito, al quale esclusivamente spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 25608/2013, fra le molte conformi);

– che il quinto motivo è inammissibile là dove denuncia ex art. 360, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., posto che tale censura “è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del ‘nuovò art. 360 c.p.c., n. 5): Cass. n. 13395/2018; ed è altresì inammissibile là dove denuncia il medesimo vizio con riferimento all’art. 2729 c.c., posto che “in tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., n. 5: Cass. n. 1234/2019;

– che il sesto motivo è infondato, restando comunque integre, in quanto non censurate adeguatamente, le motivazioni rese in sentenza nei precedenti paragrafi e, in particolare, in quelli sub b) e c), da sole idonee e sufficienti a fondare la decisione finale della Corte di merito;

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2019

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