Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2249 del 31/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 31/01/2011, (ud. 03/12/2010, dep. 31/01/2011), n.2249

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22988-2006 proposto da:

C.A., legale rappresentante della Ditta CERVETTI ALDO

&

FIGLIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA R. GRAZIOLI LANTE 30,

presso lo studio dell’avvocato LUZI GIANCARLO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANCONELLI GIORDANO, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLE FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 64/2005 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 12/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato LUZI, per delega dell’Avvocato

ANCONELLI, che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. C.A., nella qualità di legale rappresentante della Cernetti Aldo & Figlio s.n.c., propone ricorso per cassazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale – in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento col quale si rettificava il valore di un’area e un fabbricato industriali ai fini dell’Invim decennale – la C.T.R. Emilia Romagna confermava la sentenza di primo grado (che aveva rigettato il ricorso introduttivo), rilevando: che la motivazione della sentenza di primo grado, seppure stringata, era sufficientemente chiara; che l’avviso opposto conteneva tutti gli elementi necessari a comprendere le ragioni della rettifica; in ogni caso che le doglianze concernenti il difetto di motivazione dell’avviso opposto e la mancata applicazione dell’agevolazione prevista dal D.L. n. 55 del 1983, art. 26 non erano state proposte nel ricorso introduttivo ma solo in appello.

2. Con un unico motivo, deducendo “Nullità della motivazione per omissione della stessa. Violazione di legge”, il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata è nulla per inesistenza della motivazione, perchè in essa non sarebbero state esposte argomentazioni giuridicamente valide e perchè detta motivazione non potrebbe neppure essere completata attraverso la motivazione della sentenza di primo grado, essendo anche quest’ultima carente sotto tutti i profili motivazionali. Il ricorrente aggiunge che dalla sentenza non si comprenderebbe sulla base di quale valido accertamento era stata operata la rettifica di valore e che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, nel ricorso introduttivo risultava posta la questione della mancata applicazione della riduzione prevista dal D.L. n. 55 del 1983, art. 26.

La censura concernente la nullità della sentenza per inesistenza della motivazione è infondata.

Come risulta dalla esposizione che precede, una motivazione della sentenza esiste, nel senso che non manca la “succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione” richiesta dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, ed essa non può neppure ritenersi meramente apparente; pertanto non è configurabile l’error in procedendo comportante nullità della sentenza siccome denunciato.

E’ peraltro da aggiungere che l’eventuale omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione rispetto ad uno o più punti decisivi andava denunciata ai sensi dell’art. 5 c.p.c., in maniera autosufficiente e non generica, specificando con chiarezza i punti sui quali la motivazione era in ipotesi viziata ed evidenziando la decisività dei medesimi.

E’ inoltre da evidenziare che, ai fini del vizio denunciato, risulta irrilevante la dedotta incompletezza della motivazione di primo grado, posto che la motivazione della sentenza d’appello non opera un rinvio per relationem alla motivazione della suddetta decisione.

Quanto alla dedotta erroneità della sentenza impugnata per avere i giudici d’appello ritenuto nuova la questione della mancata applicazione della riduzione prevista dal D.L. n. 55 del 1983, art. 26, la censura risulta, a prescindere da altre, possibili considerazioni, inammissibile (innanzitutto perchè priva di autosufficienza, posto che non viene riportato in ricorso il testo dell’atto introduttivo nel quale la questione sarebbe stata posta, e che non sono sufficienti a consentire a questo giudice di valutare la censura sulla base del solo ricorso le poche parole dell’atto introduttivo riportate tra virgolette, potendo le medesime, estrapolate dal contesto, prestarsi a letture non univoche (per l’applicabilità del principio di autosufficienza anche in ipotesi di denuncia di error in procedendo, v. tra numerose altre Cass. n. 9076 del 2006).

E’ infine da aggiungere che se, affermando che “non si comprende sulla base di quale valido accertamento l’Agenzia delle Entrate ha operato la rettifica di valore dell’immobile”, il ricorrente avesse inteso censurare la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici d’appello hanno ritenuto che l’avviso opposto conteneva tutti gli elementi necessari a comprendere le ragioni della rettifica, la censura sarebbe inammissibile per difetto di interesse, non essendo stata censurata in questa sede anche l’altra ratio decidendi espressa in sentenza, secondo la quale le doglianze concernenti il difetto di motivazione dell’avviso opposto erano state proposte per la prima volta in appello; la censura sarebbe peraltro in ogni caso inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo stato riportato in ricorso il testo dell’atto impositivo della cui motivazione si discute.

3. Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2011

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