Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2248 del 31/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 31/01/2011, (ud. 03/12/2010, dep. 31/01/2011), n.2248

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21843-2006 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliata in ROMA VIA ALPINO

PROSPERO 76, presso lo studio dell’avvocato PRESTA TONINO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FORTUNATO COSIMO, giusta delega

in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI COSENZA in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 57/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

CATANZARO, depositata il 21/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. M.S. propone ricorso per cassazione (seguito da memoria depositata oltre i termini di cui all’art. 378 c.p.c.) nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di liquidazione Invim con irrogazione di sanzioni in relazione alla rettifica del valore finale di un immobile dichiarato nell’atto di compravendita del medesimo, la C.T.R. Calabria confermava la sentenza di primo grado (che aveva rigettato il ricorso della contribuente) rilevando che l’atto impugnato era una semplice liquidazione in quanto conseguente alla richiesta di applicazione della L. n. 70 del 1988, art. 12, e che pertanto non era stato recato alcun vulnera alla difesa della contribuente.

2. Col primo motivo di ricorso, deducendo violazione del D.L. n. 70 del 1988, art. 12 e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, la ricorrente sostiene di avere, con l’atto d’appello, contestato di non essere stata posta in condizione di verificare la valutazione operata dall’Ute e di esercitare il diritto di difesa, precisando che l’avviso di liquidazione opposto non faceva riferimento ai criteri e ai parametri di attribuzione della rendita catastale, ma, al fine del ricalcolo dell’Invim, si limitava ad indicare solo il valore iniziale e quello finale dell’immobile. La ricorrente precisa che quando, come nella specie, l’atto di classamento non sia stato notificato al contribuente, le relative contestazioni possono essere fatte valere nella causa di impugnazione avverso l’avviso di liquidazione, ma a tal fine l’avviso di liquidazione deve contenere gli elementi essenziali dell’atto presupposto, onde consentire il concreto esercizio della tutela giurisdizionale.

Col secondo motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente sostiene di essersi doluta “sin dal ricorso di primo grado” sia dell’attribuzione di un valore spropositato in relazione alla modestia dell’immobile sia del fatto di non aver potuto contraddire o confutare la valutazione del bene, laddove i giudici di appello si sono limitati apoditticamente ad affermare che, trattandosi di una semplice liquidazione, la difesa della contribuente non era stata in alcun modo paralizzata.

Col terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.L. n. 70 del 1988, art. 12 oltre che vizio di motivazione, la ricorrente afferma di avere dichiarato e documentato in appello che, a seguito di apposita istanza volta a rimarcare l’incongruenza della rendita attribuita sia per le caratteristiche dell’immobile che per la realtà socio-economica del contesto urbano, l’UTE di Cosenza aveva provveduto a rettificare la rendita determinandola in L. 186.000 e che sul punto la C.T.R. aveva omesso ogni statuizione e motivazione.

Col quarto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76 oltre che vizio di motivazione, la ricorrente rileva che l’atto di compravendita è stato registrato il 7.7.1992 mentre l’avviso di liquidazione risulta notificato il 25.7.1996, con la conseguenza che l’amministrazione sarebbe decaduta dal potere di liquidare la maggiore imposta. La ricorrente precisa di avere posto la questione sia in primo grado che in appello senza che la C.T.R. si pronunciasse in alcun modo in proposito.

La censure esposte sono inammissibili sotto diversi profili.

Preliminarmente giova rilevare, in relazione a tutti i motivi sopra esaminati, che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che non può essere fatto valere con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (come nella specie è accaduto) in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma deve essere fatta valere attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c. (v. Cass. n. 11844 del 2006; n. 24856 del 2006 e n. 12952 del 2007).

E’ inoltre da evidenziare che dalla sentenza impugnata non risulta che le questioni proposte nei motivi in esame fossero state già proposte nei giudizi di merito e la ricorrente, limitandosi ad affermare di aver proposto dette questioni nel ricorso introduttivo e/o nell’atto d’appello, non riporta in questa sede, come richiesto dal principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, i passaggi degli atti processuali nei quali tali questioni furono asseritamente proposte (ed eventualmente riproposte).

E’ peraltro da aggiungere che la censura esposta nel primo motivo presuppone che risulti accertato che l’avviso opposto non faceva riferimento ai criteri e ai parametri di attribuzione della rendita catastale, ma tanto non emerge dalla sentenza, e la ricorrente non riporta in ricorso il testo del suddetto avviso, come avrebbe dovuto, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione nè l’avviso de quo (costituente atto sul quale la censura è fondata) risulta depositato unitamente al ricorso, come richiesto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., n. 4.

Quanto alla censura proposta nel terzo motivo, la contribuente non ha riportato in ricorso il contenuto dell’atto di rettifica della rendita catastale asseritamente allegato e documentato in appello – del quale lamenta l’omessa considerazione da parte dei giudici della C.T.R. nè tale documento, sul quale la censura è fondata, risulta depositato unitamente al ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 4.

Infine, con riguardo alla censura esposta nel quarto motivo, la ricorrente non riporta in ricorso (nè deposita ex art. 369 c.p.c., n. 4) gli atti dai quali emergerebbe la denunciata decadenza.

3. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. In assenza di attività difensiva, nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2011

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