Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22479 del 24/09/2018

Cassazione civile sez. I, 24/09/2018, (ud. 26/06/2018, dep. 24/09/2018), n.22479

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 20734/2013 proposto da:

Regione Calabria, in persona del Presidente della Giunta Regionale

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Ottaviano n. 9

presso lo studio, dell’Avvocato Graziano Pungì, rappresentata e

difesa dall’Avvocato Giuseppe Naimo giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MO.IN. S.r.l., già Caruso Costruzioni S.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

G. Mercalli n. 13, presso lo studio dell’Avvocato Arturo Cancrini,

che la rappresenta e difende giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4003/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/7/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/6/2018 dal cons. PAZZI ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Regione Calabria impugnava avanti alla Corte d’Appello di Roma il lodo depositato in data 22 dicembre 2005 presso la camera arbitrale per i lavori pubblici con cui il collegio arbitrale aveva dichiarato risolto il contratto di appalto stipulato il 16 settembre 2002 fra la medesima Regione e Caruso Costruzioni s.r.l. per grave inadempimento dell’amministrazione committente e aveva condannato quest’ultima al pagamento di Euro 475.004,37 oltre interessi, a titolo di maggiori oneri sostenuti dall’impresa e di cui alle riserve iscritte in contabilità.

2. La Corte d’Appello di Roma rigettava tanto l’impugnazione proposta dalla Regione Calabria, nella convinzione che le domande proposte dall’appaltatore rientrassero nella clausola compromissoria prevista in contratto per alcune controversie che sarebbero potute insorgere fra le parti e che il lodo arbitrale non fosse censurabile sotto gli altri profili dedotti, quanto l’impugnazione incidentale di Caruso Costruzioni s.r.l..

3. Ricorre per cassazione avverso questa pronuncia la Regione Calabria affidandosi a sei motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso MO.IN. s.r.l. (già Caruso Costruzioni s.r.l.). Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. E’ opportuno preliminarmente rilevare che l’amministrazione ricorrente ha rappresentato con la memoria da ultimo depositata che “la resistente” avrebbe ceduto il proprio ramo d’azienda, ivi compreso l’appalto oggetto del presente giudizio, a Caruso Costruzioni s.p.a., la quale sarebbe stata di recente attinta da un provvedimento di interdittiva antimafia; in tesi una simile misura precluderebbe all’imprenditore la titolarità della posizione soggettiva funzionale al ricevimento delle somme dovutegli dalla Pubblica Amministrazione e comporterebbe il venir meno dell’interesse ad agire (rectius a contraddire) della resistente.

Il rilievo è inammissibile, dato anche che riguarda vicende relative a un soggetto rimasto estraneo pure al giudizio di legittimità.

5.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 829 c.p.c.: la corte territoriale avrebbe omesso di pronunciare su due motivi (il quarto e il decimo) dell’impugnazione ritenendo erroneamente che gli stessi fossero inammissibili, benchè la deduzione della nullità del lodo per inesistenza della clausola compromissoria le consentisse una libera interpretazione della stessa, al di là dei limiti fissati per l’interpretazione delle altre clausole contrattuali, riservata agli arbitri e sindacabile dal giudice di merito solo per violazione delle norme di ermeneutica contrattuale o difetto assoluto di motivazione.

5.2 Il motivo è inammissibile.

La Regione ricorrente lamenta infatti il mancato esame da parte della corte territoriale delle richieste formulate con i motivi 4 e 10, senza indicare in maniera specifica, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, il preciso contenuto di tali domande e l’atto difensivo in cui le stesse erano state presentate; al contrario, affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili e, dall’altro, che queste domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività (Cass. 4/3/2013 n. 5344, Cass. 31/10/2016 n. 22019).

La censura peraltro manca dei caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata che il ricorso per cassazione deve necessariamente avere (Cass. 14/3/2017 n. 6587, Cass. 5/6/2007 n. 13066), perchè, ove la ricorrente abbia inteso dolersi dell’affermazione della corte distrettuale che ha ritenuto esclusa ogni censura che riguardasse un diverso apprezzamento di fatto effettuato dagli arbitri (pag. 3) reputando che questo principio sia stato applicato anche per limitare l’interpretazione del contenuto della clausola compromissoria, avrebbe dovuto dapprima considerare che subito dopo (pagg. 6 e 7) la Corte d’Appello ha valutato appieno il contenuto di tale clausola, ritenendo che la stessa fosse compatibile con la clausola di individuazione del foro convenzionale e riguardasse anche lavori non contabilizzati oggetto di riserva, quindi spiegare di aver proposto critiche che andavano oltre gli aspetti espressamente considerati dalla sentenza impugnata e concernevano profili trascurati dalla corte distrettuale.

6.1 Il secondo mezzo lamenta la violazione degli artt. 806,807,808 e 810 c.p.c., L. n. 109 del 1994, art. 26,D.M. n. 145 del 2000, artt. 29, 31, 32,33 e art. 34, comma 2, D.P.R. n. 554 del 1999, artt. 150,165 e 1691362,1363,1367 e 1453 c.c.: la corte territoriale avrebbe erroneamente apprezzato il rapporto fra l’art. 42 C.S.A., contenente il rinvio alla L. n. 109 del 1994, art. 26 e l’art. (non 14 ma) 15 del contratto successivamente stipulato, che prevedeva l’attribuzione di ogni vertenza legale fra le parti comunque connessa all’esecuzione del contratto alla cognizione dell’autorità giudiziaria di Catanzaro, in quanto in caso di dubbio in ordine all’interpretazione della clausola compromissoria – tenuto conto peraltro del rapporto cronologico fra le diverse pattuizioni e del fatto che la controversia relativa alla risoluzione del contratto rientrava nell’ambito dell’esecuzione del medesimo, aspetto devoluto alla cognizione del giudice ordinario doveva preferirsi un’interpretazione restrittiva della stessa a favore della competenza della autorità giudiziaria ordinaria; oltre a ciò la corte territoriale avrebbe erroneamente applicato le regole ermeneutiche della pattuizione negoziale, secondo cui, ex art. 1362 c.c., era necessario valutare non solo il contenuto letterale del contratto ma anche il comportamento delle parti, arrivando ad applicare la clausola compromissoria anche a pretese afferenti a riserve e non ad acconti e incorrendo così anch’essa, pur in presenza di una dettagliata censura, in un’inammissibile confusione terminologica.

6.2 Il terzo motivo di doglianza denuncia l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione rispetto a punti decisivi della controversia, perchè la corte territoriale non solo avrebbe trascurato che la corresponsione di acconti per mancata emissione del certificato di pagamento e le pretese correlate a riserve erano concetti nettamente e normativamente distinti, ma avrebbe fatto rientrare nella competenza arbitrale anche la domanda di risoluzione del contratto, che, afferendo alla fase esecutiva, era ricompresa per volere delle parti nella competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria.

6.3 I motivi, da trattarsi congiuntamente in ragione della loro stretta connessione, sono inammissibili sotto alcuni profili, infondati sotto altri.

6.3.1 La corte territoriale, dopo aver preso atto che il capitolato speciale costituiva parte integrante del contratto successivamente stipulato, ha plausibilmente ritenuto che la clausola compromissoria non fosse stata espressamente abrogata nè apparisse incompatibile con l’individuazione di un foro convenzionale, trattandosi di due disposizioni disciplinanti ambiti diversi e in rapporto di integrazione fra loro, dato che la prima non comprendeva tutte le controversie astrattamente ipotizzabili fra le parti, mentre la seconda regolava l’ambito dell’esecuzione rimesso al giudice ordinario.

La censura non si confronta con una simile motivazione, rappresentando l’esistenza di un dubbio nell’interpretazione delle clausole che al contrario è stato escluso dalla corte territoriale, come a voler sollecitare un’inammissibile nuova valutazione in questa sede del rapporto fra le due pattuizioni e del significato da attribuire al contenuto delle clausole in questione e alla cronologia con cui le stesse sono state pattuite fra le parti.

6.3.2 Trattandosi poi di un appalto di opera pubblica che, come tale, richiede la forma scritta, la mancata attribuzione di alcuna valenza interpretativa al criterio del comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto si rivela corretta anche perchè, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nei contratti per i quali è prevista la forma scritta ad substantiam, la ricerca della comune intenzione delle parti, utilizzabile ove il senso letterale delle parole presenti un margine di equivocità qui non apprezzato, deve essere compiuta, con riferimento agli elementi essenziali del contratto, soltanto attingendo alle manifestazioni di volontà contenute nel testo scritto, mentre non è consentito valutare il comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipulazione del contratto, in quanto non può spiegare rilevanza la formazione del consenso ove non sia stata incorporata nel documento scritto (Cass. 5/3/2018 n. 5112).

6.3.3 La corte territoriale ha ulteriormente confermato ed irreprensibilmente chiarito che la clausola compromissoria si riferiva non solo agli acconti per lavori già contabilizzati dalla direzione lavori, ma anche a quelli per lavori non esattamente contabilizzati, sia per classificazione ed applicazione dei corrispettivi pattuiti che per quantità somministrate, ed oggetto di riserva, atteso che anche questi ultimi concorrono alla formazione progressiva del credito e al raggiungimento dei requisiti capitolari per il pagamento delle rate di acconto, dovendosi ritenere che una diversa interpretazione che limitasse l’esperibilità dell’iniziativa dell’appaltatore nell’ambito di quanto effettivamente contabilizzato nel senso voluto dall’istante sarebbe contraria alla ratio della disciplina normativa, che intende sollecitare l’iniziativa del committente e non consentire a quest’ultimo di inibire il diritto di tutela della controparte tramite la semplice omissione della annotazione delle poste dovute.

Sotto questo profilo i motivi in esame si limitano nella sostanza a riproporre le tesi difensive già disattese dalla corte distrettuale, che riducono la nozione di acconto ai soli lavori contabilizzati nel senso voluto dall’istante, ma non criticano l’interpretazione offerta dagli arbitri e condivisa dal collegio dell’impugnazione circa la definizione della materia rimessa alla cognizione arbitrale.

7.1 Con il quarto motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione dell’art. 386 c.p.c., L. n. 2248 del 1865, artt. 4e 5 D.P.R. n. 554 del 1999, artt. 119 e 121: la corte territoriale avrebbe disapplicato il provvedimento di risoluzione del contratto adottato dalla Regione, ritenendo erroneamente la sostanziale equiparazione dei poteri fra autorità giudiziaria ordinaria e arbitri, ai quali al contrario non vi era possibilità di estendere automaticamente i poteri in punto di disapplicazione degli atti, e non tenendo conto del giudicato formatosi fra le parti, a seguito dell’accoglimento del regolamento di giurisdizione proposto dalla Regione Calabria, in punto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria sulla domanda relativa al provvedimento di risoluzione.

7.2 Il motivo è infondato.

Lo stesso ricorrente ha ricordato che l’ordinanza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 4116/2007, resa sul regolamento preventivo di giurisdizione in controversia pendente tra le stesse parti, dinanzi al giudice amministrativo, per l’annullamento del provvedimento di risoluzione adottato dalla Regione Calabria, ha riconosciuto la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria; più precisamente questa Corte, dopo aver ricordato che le controversie nascenti dall’esecuzione di contratti di appalto di opere pubbliche hanno ad oggetto posizioni di diritto soggettivo inerenti a rapporti contrattuali di natura privatistica, nelle quali non hanno incidenza i poteri discrezionali ed autoritativi della pubblica amministrazione, anche quando questa si sia avvalsa della facoltà conferitale dalla legge di recedere dal rapporto, ha ritenuto che la controversia fra le odierne parti, volta ad accertare le posizioni e le responsabilità dei contraenti nella fase di esecuzione del contratto di appalto, appartenesse alla giurisdizione del Giudice ordinario, quale Giudice dei diritti.

Questa statuizione consente di disattendere gli argomenti posti a base della doglianza in esame.

L’argomentata attribuzione al giudice ordinario della giurisdizione sull’annullamento della determinazione per la risoluzione del contratto adottato dalla Regione Calabria impedisce di ravvisare rispetto ad essa la sussistenza di alcuna pregiudizialità amministrativa o esigenza disapplicativa o violazione dell’art. 386 c.p.c.; più precisamente l’ordinanza citata chiarisce che la decisione dell’autorità amministrativa in ordine al rapporto, seppur adottata nelle forme dell’atto amministrativo, non aveva per questo suo solo connotato natura provvedimentale e non cessava di operare nell’ambito delle paritetiche posizioni contrattuali delle parti, di modo che rientrava nei poteri del Giudice ordinario accertare, verificando in via incidentale la legittimità dell’atto rescissorio, se l’amministrazione avesse violato le clausole contrattuali e vulnerato il diritto soggettivo dell’appaltatore a proseguire il rapporto.

D’altra parte l’attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla L. 5 gennaio 1994, n. 25 e dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicchè lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza (tra le altre, Cass. SU n. 24153 del 2013), non incisa dall’ordinanza del 2007.

8.1 Il quinto motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. perchè la corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sul profilo di impugnazione attinente alla mancanza di tempestività e specificità del contenuto delle riserve apposte dalla controparte.

8.2 Il motivo è inammissibile, mancando dei caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata che il ricorso per cassazione deve necessariamente avere (Cass. 14/3/2017 n. 6587, Cass. 5/6/2007 n. 13066).

In realtà la corte territoriale ha espressamente esaminato il motivo di impugnazione di cui si lamenta il mancato vaglio, ritenendo (pag. 10) che la doglianza, malgrado il collegio arbitrale avesse esaminato ogni singola riserva, fosse del tutto generica, in mancanza di un qualsiasi riferimento preciso a una singola riserva e ai criteri per valutarne la tempestività.

9.1 Da ultimo la ricorrente assume la violazione del R.D. n. 350 del 1895, artt. 54D.M. n. 145 del 2000, artt. 31 e 32 e D.P.R. n. 554 del 1999, art. 165: la corte territoriale, benchè la stazione appaltante avesse contestato in dettaglio la mancanza di specificità delle riserve e la conseguente violazione del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 165 aveva erroneamente ritenuto ammissibile l’aggiornamento delle stesse.

9.2 Il motivo è inammissibile.

Il collegio dell’impugnazione ha esaminato le censure sollevate in tema di specificità delle riserve e sulla possibilità di integrare le stesse tramite successivi aggiornamenti ed ha ritenuto che la prima doglianza, come detto al punto precedente, fosse generica e la seconda infondata, poichè rispetto ai fatti produttivi di danno continuativo la riserva, dopo essere stata iscritta contestualmente o immediatamente dopo che i fatti abbiano evidenziato una potenzialità dannosa, può essere in seguito integrata rispetto al quantum.

Il motivo in esame non si confronta nè attacca le valutazioni della corte territoriale, ma insiste nel riproporre le tesi che sono già state sconfessate dal collegio dell’impugnazione.

La censura si rivela così inammissibile, dato che nel ricorso per cassazione la parte non può limitarsi alla mera riproposizione delle tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, operando così una mera contrapposizione del suo giudizio e della sua valutazione a quella espressa dalla sentenza impugnata (Cass. 25/8/2000 n. 11098) senza considerare le ragioni offerte da quest’ ultima.

10. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2018

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