Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22477 del 24/09/2018

Cassazione civile sez. I, 24/09/2018, (ud. 26/06/2018, dep. 24/09/2018), n.22477

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21059/2013 proposto da:

ICLA Costruzioni Generali S.p.a. in Liquidazione, in persona del

liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Largo Sarti n. 4, presso lo studio dell’Avvocato Domenico Di Falco,

che la rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

Comune di Monreale, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via dei Gracchi n. 187, presso lo studio

dell’Avvocato Giovanni Magnano San Lio, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Girolamo Rizzuto giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 308/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 27/2/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2018 dal cons. Dott. PAZZI ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2572/2002 il Tribunale di Palermo dichiarava risolto il contratto di appalto stipulato in data 29 ottobre 1990 fra il Comune di Monreale e ICLA Costruzioni Generali s.p.a. per grave inadempimento dell’amministrazione committente e, rigettata ogni diversa domanda, condannava quest’ultima al risarcimento del danno conseguente alla sospensione disposta nell’anno 1992 e per opere non contrattualizzate e l’appaltatrice al ristoro del pregiudizio relativo al costo di demolizione per gli interventi realizzati al di fuori del progetto.

2. La decisione n. 423/2006 della Corte d’Appello di Palermo di conferma di tale statuizione veniva cassata da questa Corte, con sentenza n. 28430/2011, nella parte in cui il collegio di merito, accogliendo la domanda di risoluzione per grave inadempimento, aveva ritenuto valido il contratto tra le parti, quando invece lo stesso doveva essere reputato nullo per impossibilità dell’oggetto, e aveva proceduto alla liquidazione delle somme richieste come se il contratto avesse avuto regolare esecuzione.

3. Riassunto il giudizio da parte del Comune di Monreale la Corte d’Appello di Palermo, con sentenza depositata in data 27 febbraio 2013, una volta dichiarata la nullità del contratto di appalto, condannava ICLA alla restituzione di quanto ricevuto in esecuzione del contratto dichiarato nullo e alla ripetizione delle somme a lei corrisposte in attuazione delle sentenze di primo e secondo grado; la corte di merito, disattesa la domanda di risarcimento del danno proposta dall’appaltatore sia per responsabilità extracontrattuale, in ragione della sua novità, sia per i costi di rimessione in pristino, in mancanza di alcun atto illecito fonte di responsabilità risarcitoria, riteneva invece fondata la domanda di ICLA ex art. 2041 c.c. in relazione ai lavori eseguiti in conformità al contratto originario non contabilizzati e non pagati, non coperta da giudicato, il cui ammontare era portato in compensazione con il credito della controparte.

4. Ha proposto ricorso per cassazione avverso questa pronuncia ICLA Costruzioni Generali s.p.a. in liquidazione affidandosi a tre motivi di impugnazione.

Ha resistito con controricorso il Comune di Monreale, che ha proposto anche ricorso incidentale articolato in due motivi di impugnazione. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5.1. Il primo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo già oggetto di discussione fra le parti nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 394 c.p.c. e art. 2041 c.c.: la corte territoriale, nel valutare la domanda di pagamento dei corrispettivi rimasti inevasi a titolo di indebito arricchimento, avrebbe completamente ignorato gli elementi sopravvenuti allegati al fine di dimostrare il definitivo riconoscimento formale dell’utilitas dell’opera da parte dell’ente comunale, in violazione anche dell’art. 394 c.p.c., comma 3, poichè il divieto di nuove conclusioni non impediva di dedurre fatti nuovi verificatisi in un momento successivo a quello utile per la loro prospettazione in giudizio.

5.2 Il secondo motivo lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. e L. n. 2248 del 1865, art. 342 nonchè dei principi codicistici e giurisprudenziali relativi all’azione di indebito arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione: la corte territoriale avrebbe operato un’indebita commistione fra gli elementi costitutivi della mancanza di giusta causa conseguente al venir meno del rapporto contrattuale e il riconoscimento dell’utilitas della prestazione, ritenendo di poter individuare la stessa nella conclusione del contratto di appalto, con la conseguente esclusione dal diritto all’indennizzo dei lavori non conformi al progetto originario, anche in ragione del disposto della L. n. 2248 del 1865, art. 342; al contrario, una volta dichiarata la nullità del contratto di appalto, non era più possibile distinguere tra lavori contrattuali ed extracontrattuali e si doveva verificare il diritto all’indennità rispetto a tutte le opere realizzate e non pagate.

Il giudice del rinvio avrebbe perciò fatto un uso non corretto del principio di diritto indicato nella sentenza di annullamento, cadendo nel manifesto errore di liquidare l’indennizzo come se il rapporto avesse avuto regolare esecuzione piuttosto che verificando ex novo i presupposti della domanda di indebito arricchimento rispetto all’intera prestazione eseguita.

5.3 Entrambi i motivi sono inammissibili.

L’amministrazione controricorrente ha depositato in giudizio la sentenza n. 140/2016 pronunciata dal Tribunale di Palermo, oramai divenuta cosa giudicata, con la quale è stata rigetta la domanda di indebito arricchimento proposta ex art. 2041 c.c. da ICLA Costruzioni Generali s.p.a. nei confronti del Comune di Monreale al fine di ottenere la liquidazione di un indennizzo in misura pari all’intero valore delle opere eseguite nella struttura dell’ex liceo (OMISSIS); ciò “non solo alla luce della parziale litispendenza della domanda…. oggetto di vaglio davanti alla Corte di Cassazione, ma anche per totale carenza del presupposto dell’utilità dell’opera” (pag. 9).

Il carattere globale della pretesa da ultimo presentata da ICLA Costruzioni Generali s.p.a. non lascia dubbi in merito al fatto che la decisione sopra richiamata ricomprenda anche la domanda formulata ai sensi dell’art. 2041 c.c. nel primo grado di questo procedimento “nei limiti dei lavori non contabilizzati e non pagati”.

Ne consegue l’inammissibilità dei motivi in esame, entrambi funzionali all’accoglimento della domanda di arricchimento senza causa, per sopravvenuta carenza di interesse, in presenza di un giudicato esterno nel frattempo intervenuto fra le parti involgente anche la pretesa presentata per il medesimo titolo nell’ambito di questo procedimento, giacchè l’interesse ad impugnare discende dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole alla parte (Cass. 29/1/2007 n. 1829; Cass., Sez. U., 16/6/2006 n. 13916).

6.1 Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente si duole dell’intervenuta violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., dato che la corte territoriale avrebbe integralmente accolto la domanda di ripetizione avanzata dal Comune ai sensi dell’art. 2033 c.c. malgrado l’illegittimo ampliamento del petitum immediato compiuto dalla controparte, che aveva fatto lievitare le proprie richieste dalla somma di Euro 812.275,24 originariamente pretesa a Euro 1.049.492,22.

6.2 Il motivo è infondato.

Non inficia l’ammissibilità della doglianza in esame la deduzione di un vizio di ultrapetizione sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purchè si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia; ne consegue che è ammissibile il ricorso per cassazione che lamenti la violazione di una norma processuale, ancorchè la censura sia prospettata sotto il profilo della violazione di norma sostanziale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, anzichè sotto il profilo dell’error in procedendo, di cui al citato art. 360, n. 4 (Cass. 6/10/2017 n. 23381, Cass. 29/8/2013 n. 19882, Cass. 21/1/2013 n. 1370).

Il tenore dell’originaria comparsa di risposta – a cui questa Corte può accedere, essendo stata chiamata a vagliare un presunto vizio di natura processuale – attesta la sostanziale volontà dell’amministrazione municipale convenuta di ottenere la restituzione della totalità delle somme corrisposte all’appaltatore, a prescindere dai ripetuti errori commessi nel loro computo.

Una simile originaria manifestazione di volontà non impediva quindi al collegio del rinvio di esaminare la domanda nei termini richiesti, coincidenti del resto con quelli indicati dalla corte territoriale fin dalla sua prima statuizione, tralasciando la somma precisata nelle originarie conclusioni, frutto di un mero errore materiale, tenuto conto peraltro sia della mancanza di alcuna contestazione al riguardo (come rilevato a pag. 6 della sentenza qui impugnata), sia del fatto che le variazioni puramente quantitative del petitum, che non alterino i termini sostanziali della controversia e non introducano nuovi temi di indagine, non sono vietate, perchè non comportano alcuna violazione del principio del contraddittorio, nè menomazione del diritto di difesa dell’altra parte (Cass. 20/4/2007 n. 9522, Cass. 22/5/2000 n. 6638).

7.1 Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112,99,324 e 394 c.p.c., artt. 2909 e 2041 c.c. e D.L. n. 66 del 1989, art. 23: la corte territoriale avrebbe erroneamente accolto l’eccezione di compensazione in relazione ai lavori contabilizzati, non pagati e conformi al progetto, individuando l’utilitas nella conclusione del contratto, da considerarsi come riconoscimento implicito di una simile qualità; ciò sia perchè l’eccezione di compensazione formulata in sede di riassunzione si fondava su fatti costitutivi sopravvenuti nel corso del 2011 e totalmente diversi da quelli valorizzati dal collegio del rinvio, sia perchè in questo modo era stato eluso il giudicato formatosi sulla domanda ex art. 2041 c.c. a seguito della sentenza della Corte territoriale n. 423/2006, sia perchè l’atto di riconoscimento dell’utilitas non poteva precedere la realizzazione dell’opera, dato che non può essere riconosciuto un vantaggio rispetto a un’entità non ancora esistente, sia perchè l’azione di arricchimento era inammissibile per mancanza di sussidiarietà, ben potendo la controparte agire ai sensi del D.L. n. 66 del 1989, art. 66, commi 3 e 4, convertito nella L. n. 144 del 1989.

7.2 Il motivo deve reputarsi fondato, seppur per ragioni difformi da quelle addotte dal ricorrente incidentale.

In vero la corte territoriale ha ritenuto la fondatezza della domanda ex art. 2041 c.c., fatta valere in primo grado in via subordinata ed esaminabile una volta acclarata la nullità del contratto, nei limiti dei lavori non contabilizzati e non pagati conformi al progetto originario riconoscendo a questo titolo un indennizzo che è stato portato in compensazione con quanto dovuto a ICLA Costruzioni Generali s.p.a. ai sensi dell’art. 2033 c.c. a titolo di ripetizione per le somme pagate in esecuzione delle sentenze di primo e secondo grado.

Il giudicato esterno nel frattempo formatosi tuttavia ha escluso la sussistenza di un qualsiasi profilo di indebito arricchimento in capo all’amministrazione municipale convenuta.

Ne consegue la necessità di cassare la sentenza impugnata nella parte in cui è stata disposta la compensazione ed eliminare il controcredito ivi riconosciuto all’impresa appaltatrice ex art. 2041 c.c.

8.1 Il secondo motivo del controricorso prospetta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112,99,324 e 394 c.p.c., artt. 2909,1346 e 1418 c.c., L. n. 47 del 1985, artt. 4 e 7 L.R. Sicilia N. 37 del 1985, artt. 1, 2 e 7: la corte territoriale avrebbe erroneamente non considerato il formarsi di un giudicato in merito alla necessaria demolizione delle opere extraprogetto, il cui portato, una volta stabilita la nullità del contratto, non poteva che estendersi a tutti gli interventi, stante il loro carattere abusivo; peraltro il collegio del rinvio aveva erroneamente ritenuto che un’opera abusiva non costituisse illecito, dato che tale carattere derivava direttamente dalla legge.

8.2 Il motivo è infondato sotto il primo profilo, inammissibile rispetto al secondo.

8.2.1 A norma dell’art. 2909 c.c. il giudicato fa stato fra le parti nei limiti oggettivi costituiti dai suoi elementi costitutivi, ovvero il titolo della stessa azione e il bene della vita che ne forma oggetto.

Il giudicato formatosi si riferisce quindi al dedotto risarcimento del danno per costi di demolizione, nei limiti delle spese necessarie per abbattere le opere non ricomprese nel progetto, e non è possibile ampliarne i limiti inserendovi un bene della vita che ha acquistato la medesima natura per effetto di una successiva statuizione.

8.2.2 La corte territoriale ha respinto la domanda risarcitoria per costi di rimessione in pristino dello stato dei luoghi vuoi in mancanza della deduzione da parte del Comune di Monreale di una condotta illecita imputabile alla controparte, vuoi per l’impossibilità di configurare un fatto illecito fonte di responsabilità risarcitoria in capo all’appaltatore.

A fronte delle plurime ragioni offerte, distinte e autonome fra loro, il ricorrente non ha sollevato alcuna censura rispetto al primo dei motivi illustrati, rendendo così inammissibile l’intera impugnazione proposta (si vedano in questo senso Cass. 9/5/2017 n. 11222, Cass. 27/7/2017 n. 18641).

9. In conclusione, in forza dei motivi sopra illustrati, il ricorso principale deve essere respinto al pari del secondo motivo del ricorso incidentale.

Occorrerà invece cassare la sentenza impugnata nei limiti conseguenti all’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, condannare ICLA Costruzioni Generali s.p.a. al pagamento in favore del Comune di Monreale della somma di Euro 313.074,50, oltre interessi come già riconosciuti all’interno della sentenza della Corte d’Appello di Palermo depositata in data 27 febbraio 2013, con conferma di ogni altra statuizione, ivi compresa quella relativa alla regolazione delle spese di lite.

Le spese del giudizio di legittimità andranno integralmente compensate, ex art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo applicabile ratione temporis, in considerazione del fatto che le statuizioni assunte in questa sede trovano in larga parte fondamento nel giudicato esterno formatosi dopo l’introduzione del giudizio di legittimità e della reciproca soccombenza rispetto ai motivi di ricorso non interessati dalla statuizione nel frattempo intervenuta.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, rigetta il secondo motivo del ricorso incidentale, accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna ICLA Costruzioni Generali s.p.a. al pagamento in favore del Comune di Monreale della somma di Euro 313.074,50, oltre interessi come già riconosciuti all’interno della sentenza n. 308/2013 della Corte d’Appello di Palermo depositata in data 27 febbraio 2013.

Conferma tutte le altre statuizioni, ivi compresa quella sulle spese. Compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2018

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