Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22476 del 27/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 27/09/2017, (ud. 19/07/2017, dep.27/09/2017),  n. 22476

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17936-2014 proposto da:

P.A.M., P.C., PA.AL.,

considerati domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato LODOVICO

SORESI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.A., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPE VINCENZO TORRISI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 530/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 03/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/07/2017 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 3/4/2014, la Corte d’appello di Catania, in parziale accoglimento dell’appello proposto da P.A.M., P.C. ed Pa.Al. (aventi causa di C.C.), e in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha eliminato la condanna degli appellanti (originariamente sollecitata dall’attore C.A.) a ripristinare lo stato dei luoghi concernente i rapporti di pendenza tra il fondo rustico di proprietà degli appellanti e quello confinante di proprietà di C.A., tuttavia confermando, per quel che ancora rileva in questa sede, la condanna degli stessi appellanti a provvedere alla manutenzione del canale di scolo posto a confine tra i fondi delle parti (in misura corrispondente ai costi proporzionalmente determinati in sentenza), oltre al risarcimento dei danni sofferti dal C. a seguito dell’inadempimento, da parte degli appellanti, degli obblighi di manutenzione del ridetto canale di scolo originariamente assunti in forza di una transazione intervenuta ad esito di una precedente controversia insorta tra il C. e la Co. (dante causa degli appellanti);

che, a sostegno della decisione assunta, la corte territoriale, confermata l’insussistenza di alcuna modificazione dello stato dei luoghi da parte del C., e confermato altresì l’obbligo convenzionalmente assunto dalla Co. (e, per derivazione, dagli appellanti) per la manutenzione del ridetto canale di scolo, ha disatteso il gravame degli appellanti in relazione, tanto alla condanna alla manutenzione di detto canale, quanto all’assunzione dei relativi costi (sia pure in misura proporzionale) e al risarcimento dei danni in favore del C.;

che, avverso la sentenza d’appello, P.A.M., P.C. ed Pa.Al. propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

che C.A. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, nonchè per omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere la corte territoriale erroneamente attestato la mancata modificazione, da parte del C., nel corso degli anni, del canale di scolo posto a confine tra i fondi delle parti, in contrasto con tutte le prove documentali e le indagini tecniche condotte nel corso del giudizio e delle precedenti controversie insorte tra le parti, in tal modo erroneamente escludendo il dovere del C. di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi senza pretendere alcuna partecipazione degli odierni ricorrenti alla manutenzione di un canale di scolo profondamente trasformato rispetto agli originari accordi transattivi intercorsi tra le parti;

che il motivo è inammissibile;

che, sul punto, osserva il collegio come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

che, secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);

che, pertanto, dovendo ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza dei ricorrenti deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio e al complesso delle indagini tecniche richiamate (con particolare riguardo all’accertamento negativo dell’avvenuta trasformazione del canale di scolo da parte del C.): valutazione che, viceversa, il giudice a quo risulta aver realizzato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

che, con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione di legge, avendo la corte territoriale trascurato di applicare i contenuti dell’accordo transattivo intercorso tra le parti in data 28 luglio 1977, in forza del quale le parti avevano analiticamente determinato le misure del canale di scolo oggetto di lite, la ripartizione dei relativi costi e della relativa gestione, e l’impegno al mantenimento dei livelli del terreno, pervenendo erroneamente alla condanna degli odierni ricorrenti al risarcimento dei danni in favore del C. in contrasto con il contenuto di detti accordi originari;

che il motivo è infondato;

che, al riguardo, osserva il collegio come la corte territoriale sia pervenuta alla conferma della condanna degli odierni ricorrenti al compimento delle attività di manutenzione del canale di scolo e al risarcimento dei danni sofferti dal C. a seguito dell’inadempimento dei corrispondenti obblighi degli appellanti, proprio sulla base dei contenuti dell’accordo transattivo intercorso tra le parti in data 28 luglio 1977; e tanto, sul presupposto – costituente il risultato di accertamenti in fatto non censurabili in questa sede – della mancata trasformazione dello stato dei luoghi da parte del C. e dell’omesso adempimento, da parte degli odierni ricorrenti, degli obblighi manutentivi assunti dalla Cosentino (dante causa dei ricorrenti) proprio con i richiamati accordi transattivi del luglio 1977;

che, sulla base delle considerazioni sin qui richiamate, rilevata la complessiva infondatezza del ricorso, dev’esserne pronunciato il rigetto, con la conseguente condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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