Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22473 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/10/2020, (ud. 18/11/2019, dep. 16/10/2020), n.22473

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 638-2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato domiciliata in Roma via dei Portoghesi n. 12.

– ricorrente –

contro

M.T. e D.B.A..

-Intimati-

avverso la sentenza della Commissione Tributaria del Molise n.

71/2/11 depositata il 09 novembre 2011;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18 novembre

2019 dal Consigliere Dott. Catello Pandolfi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della CTR n. 71.2.11 depositata il 9.11.11.

La vicenda trae origine dall’esito dell’attività accertativa trasfusa nel p.v.c del 22.11.2002. In base ad esso risultava che la ditta (in verifica) M.T., esercente attività di vendita articoli sportivi, aveva indicato per il 1999 giacenze iniziali pari a lire 231.730.000 inferiore alla somma di lire 1.381.500.000 indicata come valore delle rimanenze finali per l’anno 1998. La differenza, tra i valori delle rimanenze, veniva giustificata dalla contribuente con la vendita di merci a stock per lire 118.248.000, che asseriva essere era già stata decurtata dall’importo indicato come rimanenze iniziali per il 1999, operazione asseritamente comprovata dalla fattura del 1.10.1999.

Attesa la marcata differenza tra i dati, l’Ufficio ipotizzava che la fattura non corrispondesse al vero, nè considerava plausibili le giustificazioni dedotte dalla ditta. Riteneva, a conclusione della verifica, sottratta la rimanenza inziale 1999 da quella finale dell’anno precedente (pari a lire 1.149.770.000) e, ripartita la somma risultante tra i quattro anni interessati (1996-1999), calcolava, per ciascun anno, in lire 287.442.000 il valore dei beni ceduti, su cui applicava una percentuale di ricarico pari a 21.99% di media. Ne risultava la somma di lire 350.650.000 di ricavi evasi, che depurati dei costi (287.442.00), dava luogo ad un utile in nero pari di lire 63.208.000. La ricorrente opponeva gli avvisi di accertamento per gli anni dal 1996 al 1999 e la CTP di Campobasso accoglieva i ricorso riuniti. Il successivo appello dell’Ufficio veniva respinto dalla CTR con la decisione impugnata in questa sede dall’Ufficio con il ricorso in esame fondato su cinque motivi.

Non ha resistito M.T..

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il primo motivo – articolato su tre profili ricondotti al vizio di omessa pronuncia – è da ritenersi infondato.

Con il primo profilo, l’Ufficio ricorrente assume la nullità della pronuncia per essere stata sottoscritta dal giudice anziano, in luogo del Presidente del collegio, collocato a riposo dopo la delibera ma prima del deposito. L’assunto del ricorso urta con la giurisprudenza di questa Corte, che s’intende ribadire, laddove ha affermato che “in tema di sottoscrizione delle sentenze civili, in caso di collocamento in pensione, dimissioni, o comunque in tutte le ipotesi (diverse dal trasferimento ad altra sede o ad altro incarico) in cui il magistrato abbia cessato di fare parte dell’ordine giudiziario, la sottoscrizione della sentenza da parte del medesimo – pur non sussistendo un impedimento assoluto alla sua materiale apposizione – non è coercibile, e ben può essere rifiutata, senza che egli ne debba rispondere penalmente o disciplinarmente. Alla norma di cui all’art. 132 c.p.c., u.c. (secondo cui, se il giudice non può sottoscrivere la sentenza “per morte o altro impedimento”, questa è sottoscritta dal componente più anziano del collegio) non può, infatti, riconoscersi natura eccezionale, risultando, pertanto, senz’altro consentita l’applicazione analogica ed estensiva dell’ipotesi di “altro impedimento” ivi contemplata, la quale deve considerarsi integrata anche dal collocamento a riposo del magistrato. Ne consegue che, ove il presidente del collegio, che ha emesso la sentenza, venga successivamente a cessare dal servizio o rifiuti per qualsiasi motivo di porre in essere gli adempimenti di competenza in ragione delle funzioni già esercitate (verifica della conformità dell’originale della sentenza alla minuta e della rispondenza dei principi indicati nella motivazione della sentenza a quelli affermati nel corso della camera di consiglio; sottoscrizione della sentenza), non è nulla, nè tanto meno inesistente, la sentenza sottoscritta dal giudice componente anziano del collegio giudicante, che a tale stregua ne esplichi le relative incombenze, con l’annotazione di avere sottoscritto in vece del presidente “impedito”, senza che sia peraltro necessario indicare la causa dell’impedimento, sufficiente essendo che egli ne attesti l’esistenza, con una statuizione non censurabile nei successivi gradi di giudizio, non risultando al riguardo prevista alcuna possibilità di impugnazione. (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 4326 del 19/03/2012).

Quanto al secondo e terzo profilo, evidenziati in seno allo stesso primo motivo, con cui sì censura la pronuncia per omessa pronuncia, si ritiene che la doglianza non trovi fondamento.

In particolare, con riferimento al secondo profilo, la sentenza, sia pure in modo succinto, non ha ignorato la posizione dell’Ufficio, secondo cui l’alterazione nella rappresentazione delle rimanenze, contestate alla contribuente, non costituisse un errore formale, ma lo ha solo diversamente valutato, ritendendolo, in ogni caso, non sufficiente, di per sè, a giustificare la presunzione dell’Amministrazione che la cessione di merce di cui alla fattura del 1.10.1999, in realtà, non fosse mai avvenuta.

Quanto al terzo profilo, del primo motivo, la CTR non ha omesso di pronunciarsi sull’ammontare dell’imposte, in ogni caso dovute, pur accedendo alla prospettazione fornita dalla contribuente. Ammontare che, secondo l’Ufficio, la Commissione territoriale avrebbe dovuto determinare. Sol che la Commissione non vi ha provveduto perchè ha ritenuto (pur se errando, come si dirà) inesistente l’evasione.

Venendo al secondo e al terzo motivo, gli stessi possono essere esaminati congiuntamente in quanto attengono entrambi alla prova sulla falsità della fattura e della vendita in stock di merce per lire 118.248.000. Prova che la CTR ritiene non adeguatamente fornita dall’Ufficio, su cui incombeva l’onere di renderla. Ragione per la quale ha rigettato l’appello dell’Amministrazione Finanziaria.

In particolare, la sentenza della CTR ha affermato che “L’ufficio contesta il fatto che il costo della merce ceduta in stoccaggio era stato depurato dalle giacenze iniziali all’1/1/99 mentre la relativa fattura era stata emessa l’1/10/99, per cui contesta una omessa contabilizzazione dei ricavi pari al costo delle merce ceduta. La sola constatazione di tale fatto non appare sufficiente, in quanto l’Ufficio non ha addotto nessuna prova che la cessione in stoccaggio della merce non fosse realmente avvenuta, ma ha basato la sua convinzione sull’errore formale commesso dalla contribuente. Sarebbe stato determinante, ai fini della vertenza, accertare presso la ditta “Occasioni Moda di B.L.” sia l’avvenuta cessione della merce, sia il relativo importo. E’ pertanto compito dell’Ufficio accertatore dimostrare la falsità della fattura contestata”.

Ritiene, cioè, il giudice regionale che l’Ufficio non avesse provata la circostanza che la fattura fosse falsa, come sarebbe stato suo onere.

Al riguardo, erra la Commissione territoriale nel ritenere che l’Ufficio avesse indicato, come unico indice della falsità della fattura, la sola circostanza che essa fosse stata emessa nel ottobre 1999, in riferimento ad una vendita “concordata” nel dicembre del 1998.

Per contro, l’Ufficio aveva dedotto anche altre circostanze significative, riassunte nel ricorso, quali la mancata esibizione ai verificatori del necessario documento di trasporto, le incomplete modalità di compilazione della fattura, sia per la genericità della descrizione dei beni ceduti, che per la mancata indicazione del costo dei singoli beni e l’omessa apposizione della firma del cessionario. Fattori che privavano il documento di ogni possibilità di trarne elementi di controllo sulla effettività della cessione e dei prezzi realmente praticati. Resta così non eliminata la perplessità, espressa dell’Ufficio, sulla non veridicità del forte scarto tra il valore delle rimanenze cedute, pari ad oltre un miliardo e i ricavi pari a circa 99 milioni. Scarto, giustificato dal contribuente come del tutto fisiologico per la vetustà dei modelli ceduti, “praticamente fuori mercato”. Senza però che tale aspetto fosse verificabile per il sopravvenuto fallimento della ditta cessionaria e senza che tale caratteristica delle merci sia stata altrimenti supportata.

L’Ufficio ha, dunque, esposto una solida e articolata base presuntiva che, contrariamente a quanto assunto dal giudice regionale, sarebbe stato onere non dell’Ufficio, ma del contribuente superare, laddove questi ha dedotto solo enunciazioni prive di riscontri.

E’, infatti, da ritenere, come desumibile dai principi affermati da questa Corte (Sez. 5, Sent. n. 877/2019; Sez. 5, Sent. n. 4410/2020), che in tema di rettifica dei redditi d’impresa, l’accertamento di un reddito maggiore derivante dalla vendita di merce, compiuto con metodo analitico induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), secondo periodo, può fondarsi – in assenza di verificabili spiegazioni del contribuente – sull’obiettiva divaricazione fra il prezzo sostenuto e quello di mercato, con operatività in perdita dell’imprenditore, in quanto costituente elemento indiziario grave e preciso di un comportamento contrastante con i criteri di economicità e con gli scopi propri dell’attività imprenditoriale.

Pertanto, in presenza di una siffatta situazione, riscontrabile nel caso in esame, avrebbe dovuto essere il contribuente, per superare le gravi presunzioni dell’Ufficio, a dimostrare la “plausibilità” del prezzo praticato, in quanto analogo a quello costantemente pattuito in precedenti transazioni ovvero praticato anche da altri operatori dello stesso mercato di riferimento o, ancora, rimanendo allo specifico caso in esame, proporzionato ai particolari motivi di svalutazione della merce.

Infine, il quarto e il quinto motivo sono anch’essi valutabili unitamente in quanto censurano entrambi la decisione della CTR, per aver indebitamente esaminato la doglianza della contribuente sulla “spalmatura”, del maggior ricavo accertato, anche sui tre anni precedenti al 1999.

In particolare, è fondato il quarto motivo in base alla condivisibile valutazione, espressa dall’Ufficio, sul difetto d’interesse dell’appellante a sollevare la suddetta obiezione, non derivandone, a suo vantaggio, alcun effetto modificativo dell’esito dell’accertamento. Come pure, lo rende fondato il rilievo che la parte non avesse sollevato tale obiezione anche in primo grado.

E’ parimenti fondato, quanto al quinto motivo, l’erroneità dell’affermazione della CTR secondo cui, per argomentare la ripartizione, del maggior reddito accertato, su quattro anni, l’Ufficio avrebbe fatto ricorso, a supporto dell’iter logico dell’accertamento, ad una doppia presunzione. Una prima, in base alla quale avrebbe desunto che l’occultamento dei ricavi era iniziato prima del 1999 ed una seconda, dalla quale avrebbe tratto che, in ciascuno degli anni precedenti al ‘99, l’occultamento sarebbe stato pari al 25%. l’Ufficio, per contro, deduce, che la CTR non avrebbe dovuto neanche esaminare tale aspetto, perchè il divieto di doppia presunzione, come si desume dallo “stralcio” del ricorso di I grado della contribuente, non era stato sollevato nelle precedenti fasi, per cui la CTR era incorsa nel vizio di ultrapetizione. Vanno, pertanto, accolti i motivi di ricorso tranne il primo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Molise in diversa composizione per il riesame in relazione ai motivi accolti ed anche per la definizione delle spese.

P.Q.M.

Accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo, infondato il primo. Cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Molise in diversa compensazione, per il riesame in relazione ai motivi accolti ed anche per la definizione delle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio il 18 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

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