Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22470 del 04/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 04/11/2016, (ud. 18/05/2016, dep. 04/11/2016), n.22470

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9306-2015 proposto da:

ENAC – ENTE NAZIONALE PER L’AVIAZIONE CIVILE, C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– ricorrente –

contro

A.V., C.F. (OMISSIS), + ALTRI OMESSI

– intimati –

Nonchè da:

A.V. C.F. (OMISSIS), + ALTRI OMESSI

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

ENAC – ENTE NAZIONALE PER L’AVIAZIONE CIVILE, C.F. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 7867/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/11/2012 r.g.n. 8661/2009 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2016 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

uditi gli Avvocati CAPECCI FRANCESCO e PERRELLA ENRICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

accoglimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale della medesima sede, ha accolto – con sentenza del 19.11.2012 – la domanda degli attuali controricorrenti, ingegneri alle dipendenze dell’Enac, inquadrati nella prima qualifica professionale, volta ad ottenere il riconoscimento del diritto alla corresponsione della retribuzione di posizione con decorrenza dal novembre 1998. La Corte, a seguito di ampia ricognizione delle fonti contrattuali applicabili al caso di specie (in specie, artt. 75, 76, 77, 83, 87, 92 CCNL personale non dirigente 19.12.2001, art. 7 contratto integrativo nazionale 1998-2001, Accordo della Commissione paritetica tra OO.SS. ed amministrazione 19.11.2003), ha ritenuto infondata le domande di pagamento della retribuzione di posizione per il periodo antecedente l’1.1.2002 ed ha accolto le domande con riguardo al periodo successivo (e sino al settembre 2005) ritenendo provato documentalmente l’espletamento degli incarichi da parte degli attuali controricorrenti e suscettibili di essere inclusi nella tipologia esemplificativa effettuata dalla Commissione paritetica, dovendosi ritenere ricorrente una presunzione in ordine alla volontà dell’ente di conferire i suddetti incarichi.

Avverso la sentenza ricorre l’Enac con tre motivi. Resistono i dipendenti con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale fondato su quattro motivi. Entrambi le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’ente ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 70 del 1975, art. 15, D.P.R. n. 411 del 1976, art. 36, art. 83 CCNL personale non dirigente Enac 1998-2001, art. 7 CCNI Enac 1998-2001, artt. 1362, 1363, 1365, 1371 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) rilevando che l’assunzione di responsabilità e la specifica professionalità vantata dai controricorrenti sono fattori intrinsecamente connessi all’appartenenza al ruolo professionale che non possono essere ricondotti agli incarichi di posizione organizzativa disciplinati dall’art. 83 CCNL Enac, trattandosi di svolgimento di ordinarie mansioni di inquadramento. Aggiunge che la Corte territoriale ha errato nel considerare singole e specifiche attività, dovendo riconoscersi la retribuzione di posizione solamente a specifiche posizioni, ossia per una collocazione in termini organizzativi o strategici, e nel trascurare che gli incarichi (dei quali si rivendica la retribuzione di posizione) non sono stati oggetto della procedura di conferimento come disciplinata nel documento adottato dall’ente in data 24.11.2004.

2. Con il secondo motivo l’ente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. nonchè vizio di motivazione avendo, la Corte territoriale, omesso di verificare la sussistenza dei presupposti necessari per il riconoscimento della retribuzione di posizione.

3. Con il terzo motivo l’ente ricorrente deduce nullità della sentenza per difetto di motivazione e violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, nonchè per violazione dell’art. 2697 c.c. avendo la Corte di appello, omesso di motivare sulla sussistenza delle circostanze e delle caratteristiche che debbono accompagnare lo svolgimento dei compiti riconducibili alla retribuzione di posizione e sugli elementi che sorreggono la presunzione di delega, da parte del direttore generale, ai dirigenti ai fini del conferimento degli incarichi.

4. Con i quattro motivi di ricorso incidentale i controricorrenti impugnano esclusivamente il capo di sentenza relativa al rigetto delle somme pretese, a titolo di retribuzione di posizione, per il periodo novembre 1998 – 31.12.2001 e deducono: vizi di motivazione con riguardo alla mancata valutazione, da parte della Corte di appello, dell’art. 1, comma 9, lett. a) dell’Accordo 19.11.2003 (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., artt. 87 e 92 CCNL Enac 1998-2001, D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8, nonchè vizio di motivazione avendo, la Corte territoriale, trascurato che i conteggi delle differenze retributive prodotti in giudizio non erano stati contestati dall’Enac, che il CCNL ex RAI (Registro Aeronautico Italiano) è contratto collettivo del comparto pubblico e non ha bisogno di essere prodotto in giudizio considerato il regime di pubblicità cui è sottoposto, e che, infine, il suddetto CCNL era incluso nei conteggi allegati al ricorso.

5. Va, preliminarmente, sottolineato che la sentenza in esame (pubblicata dopo l’11.9.2012) ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (D.L. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134). L’intervento di modifica, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014), comporta una ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto, che va circoscritto al “minimo costituzionale”. Come precisato dalle Sezioni unite e dalla successiva giurisprudenza conforme, la formulazione limita il controllo di legittimità all'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, il che significa che la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 16 luglio 2014,n. 16300).

6. I primi due motivi del ricorso principale, per la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente e non meritano accoglimento.

L’Accordo sindacale stipulato il 19.11.2003 in sede di Commissione paritetica tra ente e organizzazioni sindacali (depositato come documento 15 nel giudizio di primo grado e riprodotto nel ricorso per cassazione) prevede che: “Gli incarichi sono conferiti dal direttore generale, su proposta del responsabile della struttura competente. Gli importi annui per la retribuzione della posizione stabiliti dal CCNI sono attribuiti in base al grado di responsabilità connesso e alla rilevanza della funzione secondo lo schema riportato nella tabella allegata”. La disposizione prosegue suddividendo le posizioni organizzative dei professionisti in base a tre funzioni (che, rispettivamente, richiamano le definizioni contenute nell’art. 83, comma 1, lett. a), lett. b) e lett. c) del CCNL 1998-2001) ed aggiunge, poi, che: “Esemplificazioni di categorizzazione delle attività svolte dai professionisti dell’Enac sono riportate nella sopra menzionata tabella”. La suddetta tabella contiene la descrizione di alcune attività quali ad esempio la “Responsabilità di attività ad alta specializzazione (es. Program Manager di gruppi istituiti per l’attività di omologazione, ecc., commissioni ICAO/JAA/AECMA/AIAD)” e la “Rappresentanza in organismi internazionali e comunitari e/o esperto incaricato in gruppi o commissioni con altri enti nazionali ed internazionali, organismi pubblici annona, che richiede attività di coordinamento interno ed esterno “, attività ricondotte alla lett. b) dell’art. 83 CCNL 1998-2001, oppure la “Attività di coordinamento istituita per lo sviluppo e l’esecuzione di attività specialistica (es. Team leader, ecc.)”, attività ricondotta alla lett. c) del citato art. 83.

La Corte ha esaminato la documentazione prodotta dai lavoratori alla luce dell’Accordo sindacale 19.11.2003 ed in particolare della tabella ivi allegata, ove viene direttamente ricollegata la corresponsione della retribuzione di posizione allo svolgimento di determinati e determinati incarichi descritti (seppur in via esemplificativa) con sufficiente specificità nonchè con il richiamo di sigle relative a specifiche Commissioni di livello internazionale, nazionale o regionale. L’esegesi letterale dell’Accordo citato consente di ritenere che le parti sociali – dopo aver effettuato una descrizione di carattere generale delle tre funzioni (di direzione di unità organizzative non dirigenziali e di uffici professionali; di elevata professionalità connesse a specifici obiettivi e progetti; di coordinamento di un gruppo di professionisti) il cui svolgimento da diritto al pagamento della retribuzione di posizione (art. 83 CCNL 1998-2001) – hanno individuato le caratteristiche concrete di tali funzioni elaborando un elenco descrittivo degli incarichi riconducibili a dette funzioni. L’integrazione di uno degli incarichi elencati nella tabella di cui all’Accordo citato consente di riconoscere lo svolgimento di una funzione a cui è ricollegata l’erogazione della retribuzione di posizione. La Corte di merito ha, quindi, effettuato il necessario percorso logico “trifasico” per accertare se gli incarichi risultanti dalla documentazione prodotta dai lavoratori potessero essere ricompresi tra quelle funzioni previste dall’Accordo sindacale 19.11.2003 come determinanti l’assegnazione della retribuzione di posizione.

La Corte d’appello ha, quindi, con motivazione logica e giuridica applicativa dei canoni legali di interpretazione negoziale (e, in particolare, del canone interpretativo del coordinamento delle clausole negoziali l’una con l’altra), affrontato la disamina dell’Accordo sindacale del 19.11.2003, quale disposizione negoziale più specifica rispetto alla formulazione più generica contenuta negli artt. 83 e 92 CCNL Enac e art. 7 CCNI, ed ha ritenuto che le attività allegate in ricorso e provate mediante la documentazione prodotta in giudizio potessero sussumersi nella classificazione degli incarichi come contenuta in maniera dettagliata nella tabella elaborata dalla Commissione paritetica delegata dalle parti sociali.

La Corte ha, inoltre, correttamente applicato i canoni interpretativi negoziali per verificare la spettanza dell’emolumento economico preteso in occasione dello svolgimento di quei particolari incarichi descritti nella tabella allegata all’Accordo del 19.11.2003, richiamando la clausola negoziale (art. 83, comma 4, CCNL Enac) che espressamente ricollega all’ “espletamento di attività” (con contenuti di alta professionalità e specializzazione) la corresponsione della retribuzione.

7. In ordine al conferimento dell’incarico di posizione organizzativa (terzo motivo del ricorso principale) – considerato che l’art. 7 CCNI 1998-2001 prevede l’attribuzione del potere al direttore generale mentre l’art. 83 CCNL non individua il soggetto che “con atti scritti e motivati” deve assumere la decisione – va rammentato che l’assegnazione delle mansioni superiori che rientra nell’ambito di applicazione dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, comma 5, attribuisce al lavoratore il diritto alla differenza di trattamento economico previsto per la qualifica superiore ricoperta. Invero, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscersi nella misura indicata del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.. Nell’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite della Corte con la sentenza n. 25837 del 2007, la suddetta norma va intesa nel senso che l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost.; tale norma deve trovare integrale applicazione – senza sbarramenti temporali di alcun genere pure nei pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni (v. pure Cass. n. 23741 del 17 settembre 2008 e molte altre successive; tra le più recenti, Cass. n. 4382 del 23 febbraio 2010). Nè la portata applicativa del principio è da intendere come limitata e circoscritta al solo caso in cui le mansioni superiori vengano svolte in esecuzione di un provvedimento di assegnazione, ancorchè nullo; le Sezioni Unite (cfr. Cass. n. 27887 del 2009, che richiama Cass., Sez. Un., 11 dicembre 2007 n. 25837 cit.), sulla base dei principi espressi dalla Corte Costituzionale, hanno rilevato come l’obbligo di integrare il trattamento economico del dipendente nella misura della quantità del lavoro effettivamente prestato prescinda dalla eventuale irregolarità dell’atto o dall’assegnazione o meno dell’impiegato a mansioni superiori e come il mantenere, da parte della pubblica amministrazione, l’impiegato a mansioni superiori, oltre i limiti prefissati per legge, determini una mera illegalità, che però non priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto – ai sensi dell’art. 2126 c.c. e, tramite detta disposizione, dell’art. 36 Cost. – perchè non può ravvisarsi nella violazione della mera legalità quella illiceità che si riscontra, invece, nel contrasto “con norme fondamentali e generali e con i principi basilari pubblicistici dell’ordinamento”, e:che, alla stregua della citata norma codicistica, porta alla negazione di ogni tutela del lavoratore (Corte Cost. 19 giugno 1990 n. 296 attinente ad una fattispecie riguardante il trattamento economico del personale del servizio sanitario nazionale in ipotesi di affidamento di mansioni superiori in violazione del disposto del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 29, comma 2). La Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato l’applicabilità anche al pubblico impiego dell’art. 36 Cost. nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, non ostando a tale riconoscimento, a norma dell’art. 2126 c.c., l’eventuale illegittimità del provvedimento di assegnazione del dipendente a mansioni superiori rispetto a quelle della qualifica di appartenenza (cfr. Corte Cost. sent n. 57/1989, n. 296/1990, n. 236/1992, n. 101/1995, n. 115/2003, n. 229/2003). Neppure il principio dell’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante pubblico concorso è incompatibile con il diritto dell’impiegato, assegnato a mansioni superiori alla sua qualifica, di percepire il trattamento economico della qualifica corrispondente, giusta il principio di equa retribuzione sancito dall’art. 36 Cost. (Corte Cost. 27 maggio 1992 n. 236). Neppure vale a contrastare tale principio la possibilità di abusi conseguenti al riconoscimento del diritto ad un’equa retribuzione ex art. 36 Cost. al lavoratore cui vengano assegnate mansioni superiori al di fuori delle procedure prescritte per l’accesso agli impieghi ed alle qualifiche pubbliche, perchè “il cattivo uso di assegnazione di mansioni superiori impegna la responsabilità disciplinare e patrimoniale (e sinanche penale qualora si finisse per configurare un abuso di ufficio per recare ad altri vantaggio) del dirigente preposto alle gestione dell’organizzazione del lavoro, ma non vale di certo sul piano giuridico a giustificare in alcun modo la lesione di un diritto di cui in precedenza si è evidenziata la rilevanza costituzionale” (in tal senso, S.U., sent. n. 25837 del 2007, cit.). Il diritto a percepire una retribuzione commisurata alle mansioni effettivamente svolte in ragione dei principi di rilievo costituzionale e di diritto comune non è dunque condizionato all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico che disponga l’assegnazione. Le uniche ipotesi in cui può essere disconosciuto il diritto alla retribuzione superiore dovrebbero essere circoscritte ai casi in cui l’espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente (invito o proibente domino) oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente (cfr. Cass. n. 27887 del 2009). In proposito, la Corte costituzionale ha osservato (n. 101 del 1995) che il potere attribuito al dirigente preposto all’organizzazione del lavoro di trasferire temporaneamente un dipendente a mansioni superiori per esigenze straordinarie di servizio è un mezzo indispensabile per assicurare il buon andamento dell’amministrazione; la spettanza al lavoratore del trattamento retributivo corrispondente alle funzioni di fatto espletate è un precetto dell’art. 36 Cost., la cui applicabilità all’impiego pubblico non può essere messa in discussione (cfr. sentenza n. 236 del 1992). L’astratta possibilità di abuso di tale potere e delle sue conseguenze economiche, nella forma di protrazioni illegittime dell’assegnazione a funzioni superiori, non è evidentemente un argomento che possa giustificare una restrizione dell’applicabilità del principio costituzionale di equivalenza della retribuzione al lavoro effettivamente prestato.

Nel caso di specie, non ricorre alcuno dei presupposti che – alla stregua dei principi sopra esposti e qui pienamente condivisi e ribaditi – avrebbe potuto giustificare l’esclusione del diritto dei ricorrenti alla retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato – e del correlativo obbligo dell’Amministrazione di integrare il. trattamento economico dei dipendenti nella misura della quantità del lavoro effettivamente prestato -, non risultando nemmeno prospettato dall’Enac in primo grado che l’attribuzione degli incarichi corrispondenti a posizioni organizzative avvenne all’insaputa o contro la volontà dell’Azienda (invito o proibente domino), nè risultando allegata altra specifica causa di esclusione, nel senso sopra chiarito.

8. I motivi del ricorso incidentale, che possono essere trattati congiuntamente per la stretta connessione, sono in parte inammissibili e, in ogni caso, infondati.

Va, preliminarmente, rilevato che i ricorrenti in via incidentale deducono quale primo vizio di motivazione ciò che, invece, così come prospettato, va qualificato come violazione dei canoni di interpretazione ermeneutica dell’Accordo sindacale 19.11.2003 (in specie, art. 1, comma 9, lett. a), ritenendo di desumere dall’estrapolazione di un singolo periodo del contratto la delimitazione temporale per l’applicazione dei criteri di quantificazione della retribuzione di posizione.

La Corte ha, invece, correttamente individuato la volontà delle parti, secondo i criteri di cui all’art. 1362 c.c. e segg., effettuando una completa ricostruzione dell’istituto della retribuzione di posizione organizzativa attraverso tutte le fonti contrattuali che lo disciplinano, ossia gli artt. 76, 83 e 92 CCNL Enac 1998-2001, l’art. 7 CCNI 1998-2002 e l’intero testo dell’Accordo sindacale 19.11.2003 dalle quali ha desunto la chiara intenzione di “fissare all’1.1.2002 la data di decorrenza dell’erogazione delle retribuzioni di posizione in favore del personale professionista dell’ente negli importi individuati dall’art. 7 e dalla Commissione Paritetica, prevedendosi che sino alla determinazione dei criteri per l’attribuzione dell’emolumento in parola da parte della Commissione anzidetta (destinati a trovare applicazione appunto dall’1.1.2002), al medesimo personale sarebbe stata corrisposta l’indennità prevista dal precedente CCNL RAI”. In particolare, il giudice di merito ha riportato il testo dell’art. 7 CCNI 1998-2001, rubricato “Retribuzione di posizione”, ove sono previsti gli importi della suddetta retribuzione in riferimento alle diverse funzioni (incarichi) disimpegnate, viene istituita una Commissione paritetica per la definizione dei criteri per l’attribuzione della retribuzione, viene precisato che “Sulla base dei criteri individuati dalla Commissione di cui al presente articolo, l’ente erogherà la retribuzione di posizione a decorrere dall’1.1.2002”, viene, infine, precisato che sino alla determinazione di tali criteri continueranno ad essere erogate le indennità stabilite dal CCNL RAI 14.7.1997. Ha, inoltre, riportato una parte del verbale della Commissione paritetica (Accordo 19.11.2003) ove è stato confermato che, in sede di prima applicazione, il direttore generale “conferma gli incarichi attribuiti e prende atto degli incarichi attribuiti formalmente dall’amministrazione ed effettivamente svolti,… attribuendo le relative differenze economiche che, comunque, non potranno essere fatte risalire al periodo precedente all’1.1.2002″.

Nella presente fattispecie, la Corte territoriale, con interpretazione ermeneutica corretta e con argomentazione logica, ha spiegato che – dalla disamina sistematica di tutte le fonti che regolano l’istituto retributivo preteso – emerge una chiara ed univoca volontà delle parti di riservare la nuova disciplina a periodo successivo all’1.1.2002.

Non risulta, pertanto, alcuna lacuna motivazionale nella sentenza impugnata che consenta, alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di accogliere il vizio motivazionale censurato dai ricorrenti.

In ogni caso, il vizio motivazionale è basato su un mero estratto di una lettera dell’Accordo sindacale del 19.11.2003 (l’art. 9, lett. a), avulso dal contesto negoziale nel quale è incluso (ossia l’Accordo innanzi citato, che è fonte sottordinata al CCNI 1998-2001) nonchè l’argomentazione risulta nuova, non essendo stato indicato il punto del ricorso introduttivo del giudizio ove si esponeva tale ricostruzione esegetica (le stesse parti dichiarano di aver sottoposto la questione al giudice solamente con le memorie autorizzate in primo grado per l’udienza del 12.5.2008).

8.1 Gli ulteriori motivi del ricorso incidentale vanno respinti in quanto strettamente connessi al primo motivo innanzi esaminato. La Corte di appello ha rilevato, con le argomentazioni innanzi riportate, che per il periodo precedente all’1.1.2002 non potevano essere utilizzate le quantificazioni (misure minime e massime) della retribuzione di posizione previste dall’art. 7 del CCNI 1998-2001 in quanto le fonti negoziali richiamavano espressamente il CCNL precedente, ossia il CCNL RAI, e che se anche si intendeva utilizzare l’importo minimo previsto dall’art. 92 CCNL Enac, le medesime fonti negoziali prevedevano la decurtazione dagli importi riconosciuti delle somme percepite dai dipendenti a titolo di indennità professionale. Ebbene, la Corte territoriale ha rilevato che, dai conteggi allegati dai dipendenti, non risultava alcuna somma differenziale a favore degli attuali controricorrenti in quanto la decurtazione dell’indennità professionale era stata effettuata sugli importi massimi previsti dall’art. 7 CCNI 1998-2001, importi in vigore solamente dall’1.1.2002. Il giudice ha, pertanto, respinto la domanda subordinata avanzata dai dipendenti non rinvenendo il presupposto costitutivo del loro diritto (logicamente e cronologicamente antecedente alla verifica dell’esattezza del quantum preteso), non potendosi applicare agli stessi i parametri retributivi quantificati dall’art. 7 CCNI 1998-2001 ed utilizzati, invece, nel ricorso introduttivo dai dipendenti per quantificare le somme pretese, non emergendo alcun diritto a somme differenziali; non è, inoltre, emerso (con onere di specificazione a carico dei ricorrenti in via incidentale, che non hanno riportato alcuna parte del ricorso introduttivo del giudizio) che i dipendenti abbiano dedotto, nel ricorso introduttivo del giudizio, il diritto al pagamento della retribuzione di posizione in base ai parametri previsti dal CCNL RAI nè è emerso che conteggi di tal sorta siano stati allegati al ricorso introduttivo del giudizio.

La sentenza impugnata non è incorsa in alcuna contraddizione motivazionale, posto che secondo giurisprudenza consolidata (Cass. S.U. n. 761 del 2002 e quindi ex multis Cass. Lav. 4051 del 2011 e 12408 del 2013) – il difetto di specifica contestazione dei conteggi elaborati dall’attore per la quantificazione del credito oggetto di domanda di condanna, allorchè il convenuto si limiti a negare in radice l’esistenza del credito avversario, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti, non semplicemente alle regole legali o contrattuali di elaborazione dei conteggi medesimi, e sempre che si tratti di fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione sull'”an debeatur”. La Corte ha respinto la domanda dei lavoratori non semplicemente per l’erroneità del criterio di computo bensì in carenza del fatto costitutivo del diritto sulla base del quale erano stati elaborati.

9. In conclusione, il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno respinti. Le spese di lite sono compensate in considerazione della reciproca soccombenza.

10. Il ricorso principale e quello incidentale sono stati notificati rispettivamente il 5.4.2013 e il 20.5.2013, dunque in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al… momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2016

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