Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22469 del 06/08/2021

Cassazione civile sez. I, 06/08/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 06/08/2021), n.22469

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna R. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

M.N., elettivamente domiciliato in Maglie, Corso Cavour, n.

38, presso lo studio dell’avv. Sergio Santese, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 30/1/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/12/2020 dal Cons. Dott. PACILLI GIUSEPPINA ANNA ROSARIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 10 aprile 2019 il tribunale di Lecce ha respinto la domanda di M.N., nativo del (OMISSIS), volta al riconoscimento della protezione internazionale o di quella umanitaria.

Il ricorrente, cittadino del (OMISSIS), aveva esposto di essere rimasto orfano dei genitori in tenera età e, dopo essere stato accolto da un’amica della madre, era andato in Libia per cercare fortuna; dopo essere stato arrestato, era fuggito e giunto in Italia.

In estrema sintesi, il tribunale pugliese ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato in favore del richiedente, non integralmente credibili le sue dichiarazioni e, comunque, i motivi, addotti a sostegno delle sue richieste, inidonei a consentirne l’accoglimento.

Avverso il descritto decreto ricorre per cassazione affidandosi a due motivi, mentre il Ministero dell’Interno non si è costituito ritualmente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e dell’art. 4, comma 3, della direttiva 2004/83/CE. Secondo il ricorrente, il tribunale avrebbe violato l’obbligo di attivare i suoi poteri officiosi, che gli imponevano di cooperare nell’accertamento delle condizioni richieste per l’accoglimento della domanda di protezione internazionale;

II) violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e vizi della motivazione con riguardo al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

Premesso che il requisito della vulnerabilità può ravvisarsi anche laddove si possa presumere che, se costretto a far rientro nel suo paese, lo straniero vedrebbe compromessi la sua dignità e il suo diritto a un’esistenza libera e dignitosa, il ricorrente ha affermato che il tribunale non avrebbe spiegato le ragioni per cui il richiedente, ove fosse rimpatriato, non correrebbe il rischio di subire torture o altre forme di trattamenti inumani o degradanti ovvero di correre un pericolo di vita o incolumità fisica; il medesimo tribunale, poi, non avrebbe proceduto ad adeguatamente comparare, anche mediante l’audizione richiesta, l’integrazione raggiunta in Italia (ove vive in affitto e lavora nel settore del commercio) e le condizioni in cui verrebbe a trovarsi in caso di rientro.

2. Il primo motivo è inammissibile.

Il Tribunale pugliese, infatti, ha osservato che “i fatti narrati dal richiedente non attengono a persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale o opinione politica e, pertanto, anche qualora veritieri, non integrerebbero gli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato”.

Deve rilevarsi che, in base ad un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice si concretizza in presenza di allegazioni del richiedente precise, complete, circostanziate e credibili, e non invece generiche, non personalizzate, stereotipate, approssimative e, a maggior ragione, non credibili. Compete insomma all’interessato innescare l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria attraverso – in primis l’allegazione di situazioni sussumibili in quelle previste dalla normativa (vedi, per tutte: Cass. 12 giugno 2019, n. 15794).

Nella specie, il ricorrente, cittadino del (OMISSIS), come già ricordato, aveva esposto di essere rimasto orfano dei genitori in tenera età e, dopo essere stato accolto da un’amica della madre, era andato in Libia per cercare fortuna, dopo essere stato arrestato, era fuggito e giunto in Italia.

E’ evidente che il timore del ricorrente concretizza una vicenda assolutamente non inquadrabile nel concetto di persecuzione per i motivi di cui si è detto, sicché nessun dovere istruttorio officioso incombeva in capo al giudice di merito.

3. Il secondo motivo, relativo al mancato accoglimento dell’istanza di protezione umanitaria, è inammissibile.

Il Tribunale leccese, con incensurabile apprezzamento di fatto, ha spiegato le ragioni per le quali non ha riscontrato l’esistenza di condizioni di vulnerabilità idonee a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, avendo rimarcato, conclusivamente, che nel paese di origine non esistono situazioni tali da consentire l’emissione della misura e che il ricorrente non aveva dimostrato di avere avviato un concreto percorso di integrazione nel nostro paese.

A fronte di tale rilievo deve rilevarsi, innanzitutto, che questa Corte ha già avuto modo di affermare che, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente anche quello di procedere all’audizione del richiedente, purché sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla commissione territoriale o, se necessario, innanzi al tribunale. Ne deriva che il giudice può respingere una domanda di protezione internazionale se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione, svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Sez. 1, n. 3029 del 31/01/2019, Rv. 652410; Sez. 6, n. 2817 del 31/01/2019, Rv. 652463-01; Sez. 6, n. 32073 del 12/12/2018, Rv. 652088).

Alla luce di tali coordinate ermeneutiche è evidente che, nel caso in esame, non vi era l’obbligo di procedere all’audizione del ricorrente, essendo la domanda manifestamente infondata.

4. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, non essendosi il Ministero dell’Interno costituito ritualmente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di legittimità. Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore contributo, così come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2021

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